In «Identità, individuo, soggetto tra moderno e postmoderno»
A cura di Valerio Meattini e Luigi Pastore
Mimesis, Milano 2009
Pagine 91- 109
In «Identità, individuo, soggetto tra moderno e postmoderno»
A cura di Valerio Meattini e Luigi Pastore
Mimesis, Milano 2009
Pagine 91- 109
di Alda Merini
con venti opere inedite di Mimmo Paladino
Frassinelli, Milano 2003
Pagine 128
Se poesia è anche scorgere fra le pieghe dello spazio l’invisibile, gli angeli, «pulviscolo amoroso e traccia dell’amore divino» (pag. 54), sono «queste forme senza vesti e ornatissime, questi desideri chiari che hanno lingue di solo silenzio, questa pioggia di grazia che cade sulle nostre miserie» (53).
Sabato 26 settembre 2009 – ore 18,00
Relazione al Convegno “Miti di ieri e miti di oggi”
in occasione del XL Premio Letterario Brancati-Zafferana
Auditorium di Zafferana Etnea
in Il Giornale della Filosofia n. 24 – Corpo / Corporeità
Ottobre-Dicembre 2008 (uscita luglio 2009)
Pagine 3-7
Presentazione del numero – pagina 2
A.G.Biuso, Corpo / Corporeità
A.G.Biuso, Il corpo, la sua sfera
Roberto Marchesini, Dal corpo abitato al corpo dimensione (pp. 8-15)
Gaetano Vittone, Esperienza del corpo e soggettività (pp. 16-18)
Lauretana Giuseppina Anastasi, Il corpo femminile: un presunto scontro di civiltà (pp.19-25)
Giuseppe Raciti, Charles Darwin e il problema del chorismos (pp. 26-29)
Pino A. Quartana, Aporie del relativismo culturale (pp. 30- 31)
Frammenti di un discorso amoroso
di Roland Barthes
(Fragments d’un discours amoureux, 1977)
Trad. di Renzo Guidieri
Einaudi, Torino 1979
Pagine 218
Echi del tao, dello zen, della mistica medioevale, del romanticismo, dell’arte contemporanea tentano di esprimere l’indicibile, di dire l’ineffabile. Non un sommario d’amore o dell’amore una sociologia ma un dizionario per frammenti che accoglie l’innamorato e del suo sentimento fa parola.
Un discorso amoroso che non conosce medietas, teso nello spasimo, nell’eversione di ogni istituzione, nell’oscenità del rovesciamento per il quale «ciò che è indecente non è più la sessualità, ma la sentimentalità -censurata in nome di ciò che, in fondo, non è che un’altra morale» (pag. 149), nella potenza dell’immaginario, nell’ambiguità del «non voler prendere» che desidera solo prendere (213). L’Altro è una figura del desiderio, del nostro e di quello diffuso nel corpo collettivo, nella filogenesi della specie. L’amato è per l’innamorato l’imprendibile che rimane desiderio -e dunque è la pienezza dell’assenza. L’ultimo “ricordo di cose lette e vissute” con cui il libro si chiude è di Ruysbroeck (1293-1381): «Il vino migliore e il più squisito, e anche il più inebriante […] di cui, senza berlo, l’anima annichilita è inebriata, anima libera ed ebbra! dimentica, dimenticata, ebbra di ciò che non beve e che mai berrà!» (213). Pur sapendo che non raggiungerò mai l’amorosa quiete delle tue braccia, in cui spasimi e drammi saranno appagati e redenti, io continuo a spogliarmi di ogni cosa, continuo a barattare la mia forza con l’istante del tuo sguardo, a rinunciare al mio sorriso per il tuo. Teso verso l’impossibile, il mio discorso è un soliloquio.
L’Altro, infatti, non esiste. «È dunque un innamorato che parla e che dice» (11) la serie delle figure da dizionario in cui il libro consiste, da Abbraccio, Abito, Adorabile a Verità, Vie d’uscita, Voler prendere. «Una figura è fondata», scrive Barthes, «se almeno una persona può dire: “Com’è vero tutto ciò! Riconosco questa scena del linguaggio”» (6). Il linguaggio avvolge l’umano sin dal suo apparire, è l’umano nella concretezza del suo agire, esistere, comprendere, comunicare, pensare. L’innamorarsi è una delle pratiche linguistiche che della parola sanno esprimere l’intera potenza nel racconto che la mente narra a se stessa, che il corpo dice. Riconosciamo dunque nelle figure e nelle scene del libro di Barthes la vita.
[Anche a partire da questo testo ho svolto alcune lezioni sull’amore]
La embodied cognition «vede i concetti come rappresentazioni corporee con basi nelle percezioni, azioni ed emozioni». Se finora mancavano delle prove sperimentali «di come l’incarnazione attraverso il gesto possa avere un ruolo nell’apprendimento di nuovi concetti», ora alcuni studi sulla gestualità umana hanno dimostrato come il “gesticolare” non serva soltanto a far comprendere meglio agli altri che cosa intendiamo dire ma anche a pensare ciò che poi diremo (E.Campana, p. 103).
La decostruzione schopenahueriana e nietzscheana dell’etica dimostra che se per azioni morali si intendono azioni compiute solo per altruismo, allora non esistono azioni morali. Constatazione che ci apparirebbe ovvia se non fossimo permeati di richieste impossibili e innaturali come quelle di alcuni precetti cristiani. Un articolo di D.Ovadia dedicato al “piacere di donare” offre la conferma sperimentale (se ce ne fosse bisogno) di tale banalità: «È evidente che chi dona trae un certo beneficio dal proprio gesto» (pag. 36), non foss’altro la gratificazione per averlo compiuto.