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Il concerto

di Radu Mihaileanu
(Le concert)
Francia, Italia, Romania, Belgio 2009
Con Tahar Aleksei Guskov (Andreï Filipov), Dmitri Nazarov (Sacha Grossman), Mélanie Laurent (Anne-Marie Jacquet), Miou-Miou (Guylène de La Rivière) Valeri Barinov (Ivan Gavrilov)
Trailer del film

Andreï Filipov osò opporsi a Brezhnev che voleva estromettere i musicisti ebrei dal Bolshoi e per questo venne ridotto da direttore d’orchestra a uomo delle pulizie. Mentre è intento al suo lavoro, arriva un fax da Parigi con l’invito a tenervi un concerto. Come invaso da un sogno, Andreï torna a riunire i vecchi compagni e con l’aiuto di una pittoresca folla di gitani arriva in Francia, dove -dopo molte traversie- riesce a suonare insieme alla violinista Anne-Marie Jacquet, celebre, giovane, bravissima e anche in qualche modo legata al Bolshoi. L’esecuzione del Concerto per Violino e Orchestra di Tchaikovsky suggella la potenza della musica e della fiaba.

Tonalità favolistica che Radu Mihaileanu aveva già utilizzato in Train de vie. Gli ebrei che in quel film erano in fuga dai Lager nazionalsocialisti sono ora stati umiliati da un altro totalitarismo burocratico e ottuso. All’ironia -che diventa anche autoironia verso il mondo ebraico- e all’umorismo, il regista aggiunge qui lo squarcio su una realtà storica troppo spesso nascosta, quella per la quale il comunismo sovietico fu anch’esso duramente antisemita in molte delle sue fasi.
Certo, a volte la favola è troppo favola ma in questo film si ride, si ascolta della buona musica e si riflette.

La Russia di Cartier-Bresson

Henri Cartier-Bresson. Russia
Genova – Palazzo Ducale
Sino al 14 febbraio 2010

Cartier-Bresson visitò l’Unione Sovietica nel 1954 e nel 1972. All’indomani della morte di Stalin e nel pieno della Guerra Fredda. Ma ciò che il suo sguardo incomparabile sa cogliere è la costante antropologica che precede di molto le rivoluzioni e che a esse sopravvive. I santi, le icone, la fede che traspira dagli sguardi sono gli stessi sia che vengano rivolti alle Madonne ortodosse sia che abbiano come oggetto Stalin e gli altri santi del partito comunista. L’entusiasmo e la dedizione di milioni di russi al regime sembrano autentici. I bambini in divisa delle scuole elementari si alternano a una borsa oggetto di desiderio delle massaie moscovite; le gigantografie di Lenin -per quanto enormi tanto da coprire interi palazzi- sembrano sparire al confronto con gli immensi spazi della Russia profonda. La sensazione è che le tradizioni culturali, religiose, simboliche siano sopravvissute anche al dogmatismo rivoluzionario e che invece si stiano dissolvendo a contatto con il liberismo, che tutto riduce a merce e moneta. L’occhio di Cartier-Bresson suggerisce forse una triste verità: gli umani si adattano meglio alla servitù del gregge che alla libertà della polis.

Cosmonauta

di Susanna Nicchiarelli
Italia, 2009
Con: Marianna Raschillà (Luciana), Sergio Rubini (Armando), Claudia Pandolfi (Rosalba), Susanna Nicchiarelli (Marisa), Angelo Orlando (Leonardo)
Trailer del film

cosmonauta

1957-1963. In un quartiere romano la sedicenne Luciana e suo fratello partecipano attivamente alla vita della locale sezione del PCI, entusiasmandosi per le imprese spaziali dell’Unione Sovietica, litigando col patrigno assai perbenista, intrecciando amori e delusioni.
Infarcito dei filmati d’epoca che documentano le imprese di Laika e di Gagarin e con l’ambizione di ricostruire l’Italia di quegli anni, si tratta in realtà di uno dei tanti film giovanilistici pieno zeppo di facili sentimentalismi e con i personaggi del tutto stereotipati. Solo la protagonista dà un tocco di autentica simpatia a un’opera che si illude di essere qualcosa di diverso dai vari film adolescenziali solo perché i ragazzi di cui parla sono -o credono di essere- comunisti. Malinconico e noioso.

Il lavoro intellettuale come professione

(Wissenschaft als Beruf – Politik als Beruf, 1918)
di Max Weber
Traduzione di Antonio Giolitti
Einaudi, Torino 1994
Pagine XLII-121

In due conferenze tenute nel 1918 all’Università di Monaco, Max Weber raccoglie il senso delle sue riflessioni e della sua dottrina. Affrontando il problema della scienza e della politica come Beruf, vocazione e professione, Weber enuncia alcuni dei temi chiave del suo pensiero: le modalità attraverso le quali si seleziona una classe dirigente; lo Stato quale organismo che «esige per sé (con successo) il monopolio della forza fisica legittima» (pag. 48); i tre tipi di potere e le loro caratteristiche: tradizione, carisma, norma; etica della convinzione ed etica della responsabilità; scienza contemporanea e specializzazione; razionalità e disincantamento del mondo.

Chi senta di possedere il dono (Gabe) della scienza e voglia coltivarlo con serietà e fecondità deve prima di tutto distinguere fra le proprie personali opinioni e le acquisizioni scientifiche che raggiunge e anteporre sempre le seconde alle prime. Quando poi lo studioso sia anche un insegnante, è suo specifico dovere non utilizzare l’inevitabile prestigio rispetto agli allievi per farsi propagandista di un’idea dalla cattedra, poiché«tra le pareti dell’aula d’insegnamento una sola virtù ha valore: la semplice probità intellettuale» (42). Pur nella lucida consapevolezza che «nessuna scienza è assolutamente priva di presupposti» (39), lo studioso deve mirare alla verità raggiungibile nel suo tempo e rispetto all’oggetto di indagine. Ciò diventa possibile solo tramite il duro lavoro che non da ispirazioni improvvise si aspetta chissà quali rivelazioni ma dalla costanza dell’impegno quotidiano. Un tale rigore consente poi a chi insegna di esporre tutti quei fatti “imbarazzanti” dai quali scaturiscono le domande e quindi il sapere.

Una simile etica della ricerca consente a Weber di osservare la realtà storica e politica senza pregiudizi e di poter formulare quindi delle valutazioni spregiudicate e a volte persino profetiche. Fra queste ultime sono di particolare rilievo quelle dedicate alle conseguenze di una pace punitiva verso la Germania (previsioni analoghe a quelle di Lloyd George e Keynes) e alla dinamica della Rivoluzione sovietica. Lo sferzante giudizio sull’Ottobre come «un carnevale che si ammanta del nome altisonante di ‘rivoluzione’» (101) è giustificato in primo luogo dalla constatazione che i bolscevichi vanno restaurando gran parte delle istituzioni borghesi contro cui sono insorti, al semplice e vitale scopo di far funzionare lo stato e l’economia, e poi dalla acuta conoscenza della dinamica di tutte le rivoluzioni.

Il realismo di Weber consiste in due principali elementi: la consapevolezza che in politica il mezzo decisivo è la forza e la conseguente, netta, distinzione fra politica e religione. Weber descrive in maniera accurata i meccanismi del potere in luoghi diversi e in differenti epoche, dallo spoil system statunitense alle clientele dei partiti europei con le loro distribuzioni di impieghi e prebende. Se l’esercizio del potere è un fine in se stesso, «per godere del senso di prestigio che ne deriva» (49), «non si dà aberrazione dell’attività politica più deleteria dello sfoggio pacchiano del potere e del vanaglorioso compiacersi nel sentimento della potenza, o, in generale, di ogni culto del potere semplicemente come tale» (103). Si direbbe che Weber abbia previsto quali forme di degenerazione dell’attività politica si sarebbero presentate in Italia nei nostri anni. In quanto attività esclusivamente mondana, la politica necessita della violenza e del compromesso. Chi dunque «anela alla salute della propria anima e alla salvezza di quella altrui, non le cerca attraverso la politica» (117).

Da questi presupposti realistici scaturisce quello che è stato definito il cesarismo quale unico antidoto alle degenerazioni della società di massa. In realtà Weber ritiene che le forme della democrazia contemporanea siano già di per sé «una dittatura fondata sullo sfruttamento della natura sentimentale delle masse» (89). In tale condizione una democrazia senza capi carismatici si consegna al dominio dei politici di professione, privi di progetti e di capacità che non siano quelli del mero utilizzo personale del potere. La fiducia weberiana verso il carisma è certo eccessiva e ambigua, ciò non toglie che la descrizione delle democrazie di massa come regimi partitocratici in mano a notabili rimanga esatta.

Il più intimo pensiero di Weber emerge nelle righe conclusive di queste conferenze, laddove lo studioso sostiene -con un’energia che maschera l’amarezza di fondo- come abbia vocazione per la politica solo chi di fronte alla volgarità e stupidità degli uomini non si ritiri disgustato, voglia ancora offrire un progetto e un itinerario e dica a se stesso: «Non importa, continuiamo!» (121). In tale affermazione convergono il rigore etico, il realismo antropologico, l’ottimismo della volontà che ispirano dalla prima all’ultima frase questo testo. Che Weber si sia alla fine ritirato dall’attività politica dopo una fase di intenso impegno non rappresenta un suo privato fallimento ma la conferma dell’impossibilità di fatto -da parte di chi indaga criticamente sulla realtà- di accostarsi all’insipienza delle masse. Lo stesso fallimento di Platone.

La cimice

di Vladimir Majakovskij
Teatro Strehler – Milano
Traduzione Fausto Malcovati
Con: Francesca Ciocchetti, Francesco Colella, Pierluigi Corallo, Giovanni Crippa, Massimo De Francovich, Gianluigi Fogacci, Melania Giglio, Marco Grossi, Sergio Leone, Bruna Rossi, Paolo Rossi
Regia Serena Sinigaglia
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sino al 24 maggio 2009

Trailer dello spettacolo

cimice

Nel 1928 Prisypkin è stufo di essere un operaio, ritiene di aver fatto il suo dovere di proletario e ora intende sposarsi con la figlia di una parrucchiera. Lui porterà in dote il titolo di “compagno”, lei i rubli. Durante la festa di matrimonio scoppia un incendio. Muoion tutti, tranne Prisypkin che viene ibernato nel ghiaccio della cantina, da dove è resuscitato nel 1979.

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Che – Guerriglia

di Steven Soderbergh
(Che: Part Two)
USA-Francia-Spagna, 2008
Con: Benicio Del Toro (Ernesto Guevara), Jordi Mollà (Capitano Vargas)
Trailer del film

che_guerriglia_2

Lasciata Cuba, rifiutate prebende ministeriali e agiatezza economica, Guevara cerca di instaurare regimi rivoluzionari in Venezuela, Congo, Bolivia. È qui che l’esercito governativo e gli uomini della CIA lo braccano, lo catturano, lo uccidono a sangue freddo.

La seconda parte di questo film conferma l’originalità e i caratteri della prima. Anzi li accentua. Si assiste infatti al tramonto del progetto visionario di liberare l’intera America Latina. Più che i nemici di classe, sono i contadini stessi a non capire Guevara, a denunciarlo, a consegnarlo al governo boliviano. Il film comincia con l’immagine televisiva di Fidel Castro che legge la lettera d’addio del suo compagno e si svolge poi quasi per intero in una giungla senza direzione, senza prospettive, senza luce. Il Che vi appare simile al guerrigliero italiano Carlo Pisacane che i contadini respingono perché rivoluzionario, senza religione, sbandato. È la storia di uno sconfitto, di un uomo assai lontano dall’icona vincente, epica, da martire. Un film asciutto e duro, che trova il suo culmine nella drammatica scena in soggettiva di Guevara morente.

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