Skip to content


Distanza e libertà

L’editoriale di Marco Tarchi sul numero 322 di Diorama letterario mi trova stavolta in radicale disaccordo. Mi sembra infatti grave e incoerente che una rivista la quale giustamente in ogni numero sottolinea la pervasività del potere nell’impedire la parola, accusi di «spudoratezza» e «irresponsabilità» i redattori di Charlie Hebdo (p. 3). Che costoro abbiano in passato chiesto a loro volta di censurare dei movimenti o abbiano espulso alcuni loro collaboratori è vero ed è esecrabile, ma questo non giustifica la richiesta del «diritto al rispetto delle altrui credenze» di tipo religioso o altro (3). Per l’idea, ad esempio, che io ho del divino e del sacro -un’idea profonda e radicale- la credenza che un qualche Dio si riduca al livello umano, o che addirittura mandi un suo figlio per salvare la specie umana, è né più né meno che una bestemmia, è blasfemia. Ogni volta che ascolto questa storia -e si può immaginare come la ascolti di continuo- io mi sento offeso, radicalmente offeso. Che cosa fare dunque? Denunciare per blasfemia e per offese alla mia concezione del Sacro i cristiani ogni volta che questi aprono bocca? Che un Dio abbia a cuore le vicende umane sino a soffrire e morire per questa «Elendes Eintagsgeschlecht, des Zufalls Kinder und der Mühsal [stirpe miserabile ed effimera figlia del caso e della pena]» (Nietzsche, La nascita della tragedia, § 31) è per me una bestemmia; anche che il Dio possa avere un figlio da immolare per gli umani è una bestemmia, come d’altra parte lo stesso Caifa dichiarò stracciandosi le vesti davanti a Jeshu-ha-Notzri. Come si vede, ciascuno può essere offeso da bestemmie diverse e per evitarlo l’unica strada sarebbe il silenzio assoluto, vale a dire la morte. Alain de Benoist -pur molto critico anche lui verso Charlie Hebdo– ricorda l’affermazione di Rosa Luxemburg per la quale «la libertà è sempre la libertà di chi la pensa diversamente» (20) ed esprime questa differenza anche in modo radicale.
Sempre De Benoist difende in modo argomentato le tesi di Jean-Claude Michéa contro i mandarini della sinistra (quelli francesi sono sempre assai temibili) che lo accusano di tradimento per aver semplicemente detto la verità, e cioè che la sinistra ha rotto con la classe operaia e con il socialismo ed è ormai «stata corrotta dal pensiero liberale» (32). È per questo che «Michéa non esita a dire, come Pier Paolo Pasolini, Cornielius Castoriadis, Christopher Lasch e molti altri, che lo spartiacque destra-sinistra è oggi divenuto obsoleto e mistificatore» (29). Questi e tanti altri studiosi -Orwell e Debord tra i più espliciti- hanno sempre rifiutato l’«idea ripugnante per cui un intellettuale non deve dire ciò che pensa, ma ciò che immagina di dover dire in funzione degli ultimi sondaggi elettorali» (31).
È a partire dalla libertà di espressione e di distanza che si può essere ebrei -come Alain Finkielkraut, Élisabeth Lévy, Éric Zimmer- e rifiutare l’’industria dell’olocausto’ o la reductio ad Hitlerum di ogni avversario dell’occidentalismo (14).
È a partire dalla libertà di espressione e di distanza che si può respingere l’esaltazione della ‘Grande Guerra’, ricordando che «quella guerra fu un abominio e che da essa sono scaturiti tutti gli orrori del XX secolo», una guerra che annientò la classe operaia, sancendo la fine delle rivoluzioni sociali che avevano costellato l’Ottocento; di questo evento fondamentale bisogna ricordarsi oggi più che mai, «oggi, nel momento in cui quegli stessi che nel 1914 volevano contenere la potenza tedesca cercano adesso di accerchiare la potenza russa» (De Benoist, 21-22), non per difendere il diritto degli ucraini all’autodeterminazione ma per distruggere o almeno controllare tutte le strutture politiche ed economiche che non si sottomettano all’ultraliberismo della troika e di Wall Street, «ovvero il mondialismo anglosassone» (Michel Lhomme, 38).
È a partire dalla libertà di espressione e di distanza rispetto alla rivendicazione contemporanea dell’ignoranza, che si può dire -come fa Michéa, ricordato da de Benoist- «che l’oblio della storia e delle lettere classiche non è affatto una ‘disfunzione’ della scuola, bensì lo scopo esatto che ad essa è ormai assegnato». L’oblio del passato, il disprezzo verso le lingue e culture antiche, l’ironia nei confronti delle ricerche accademiche non immediatamente trasformabili in brevetti commerciali, corrispondono «alle esigenze congiunte della sinistra liberale, dell’industria del tempo libero e del padronato. Per questo la scuola attuale fabbrica dei cretini in serie, cioè degli incolti spinti esclusivamente dall’immediatezza dei loro desideri mercantili» (15). Come è noto, Erasmo da Rotterdam disse una volta che «quando ho un po’ di denaro mi compro dei libri, e se me ne resta acquisto del cibo e dei vestiti» (cit. da de Benoist, 15). Ma Erasmo era un uomo libero e distante.

Je suis (aussi) Ahmed

La paura delle parole arriva al parossismo. E lo fa proprio dove tutti in massa hanno detto Je suis Charlie. A Nizza infatti è stato interrogato Ahmed, un bambino di 8 anni che aveva ‘osato’ giustificare gli assassini di Charlie Hebdo. Non solo: «D’après le directeur départemental de la sécurité publique, Marcel Authier, l’enfant avait déjà refusé de participer à la minute de silence et de prendre part à une ronde de solidarité dans l’école au lendemain de l’attaque de Charlie Hebdo» («Apologie du terrorisme : pourquoi un enfant de 8 ans a-t-il été entendu par la police ?», Le Monde, 29.1.2015). A quanto pare, la polizia ha poi affermato di non aver formalizzato nessuna accusa a carico del bambino (e dei suoi genitori) perché Ahmed ‘non capiva il significato di ciò che ha detto’. Se invece lo avesse capito, sarebbe stato diverso? Portare davanti alla polizia un bambino o chiunque altro per aver soltanto detto ‘Io sto con i terroristi’, questo è fascismo, sì, questo è stalinismo, questo è Inquisizione. Quanti in Italia dicevano di non voler stare «né con lo Stato né con le Brigate Rosse» -compresi Alberto Moravia, Leonardo Sciascia e altri- meritavano dunque di essere sospettati, solo per aver detto quelle parole, di essere pronti a prendere le armi? È la conferma che quando si comincia ad aver paura delle parole non si sa dove si possa finire, o meglio lo si sa benissimo. E dunque Je suis (aussi) Ahmed.

Libertà di espressione

Il 7 gennaio ho scritto di getto a proposito del massacro di Charlie Hebdo poiché quel giorno è stata colpita nel modo più violento e ripugnante la libertà di parola, anche la libertà di bestemmiare. Cosa che la rivista parigina fa costantemente contro i simboli ebraici, cristiani, islamici. Penso infatti che l’essere umano sia tempo e linguaggio, che Homo sapiens sia un animale simbolico e che dunque la libertà di esprimere ciò che pensa –qualunque cosa pensi– sia una funzione intrinseca al suo essere. Spinoza ha argomentato con grande chiarezza che agli individui si può proibire di parlare ma non di pensare (o almeno per fortuna non ancora) e che dunque il risultato di ogni censura è l’ipocrisia collettiva. Secoli di storia del potere, degli Stati moderni, delle Inquisizioni lo dimostrano. E quindi si debbono eventualmente perseguire le azioni e mai le parole in modo che le controversie dottrinali non si trasformino in scatenata violenza: «& quod ad seditiones attinet, quæ specie religionis concitantur, eæ profecto inde tantum oriuntur, quod leges de rebus speculativis conduntur, & quod opiniones tanquam scelera pro crimine habentur, & damnantur; quarum defensores et asseclæ non publicæe saluti, sed odio ac sævitiæ adversariorum tantum immolantur. Quod si ex jure imperii non nisi facta arguerentur, & dicta impune essent, nulla juris specie similes seditiones ornari possent, nec controversiæ in seditiones verterentur» (Tractatus theologico-politicus, Præfatio, § 7).
Pertanto io credo che la libertà di espressione non debba avere alcun limite, poiché appena si cominciano a porre dei confini, rischia di essere prima o poi cancellata. Contro ogni atteggiamento autoritario travestito da garanzia collettiva, penso che tale libertà debba essere garantita a qualunque idea, anche a quella che -secondo i criteri di una determinata società- appare la più ‘aberrante’: che sia l’eliocentrismo per la comunità scientifica antica, il cristianesimo per i politeisti, il politeismo per i cristiani, l’ateismo per il medioevo (e oltre), la blasfemia per le società musulmane, il nazionalsocialismo per le società democratiche, lo stalinismo per la società nordamericana, il fondamentalismo islamico e il razzismo per le società politicamente corrette.
Chi si dovesse sentire personalmente insultato da qualcuno, può ricorrere ai tribunali imputando di diffamazione chi lo ha attaccato. Ma chiedere che i tribunali condannino ciò che viene detto o scritto sui princîpi che per l’uno o l’altro sono indubitabili, fondamentali, venerabili, oppure che -peggio- delle leggi proibiscano preventivamente la formulazione di idee, concetti e anche pregiudizi significa che si è falsamente libertari, significa che si vuole la libertà di parola per le parole con le quali concordiamo. Rosa Luxemburg ha ben detto che «Freiheit ist immer nur Freiheit des anders Denkenden [la libertà è sempre solo la libertà di chi la pensa diversamente]» (Zur russischen Revolution, IV).
La libertà di espressione non si deve fermare davanti a nessun principio, nessun dogma politico-culturale, nessun libro ‘rivelato’. Se sembrava ovvio che nessuno dovesse venir inquisito o ucciso per le sue bestemmie, ora ci accorgiamo di avere ancora bisogno dell’illuminismo e della sua dimensione radicale, eversiva dell’ordine della parole.
Attenderei inutilmente la solidarietà del Foglio o della Lega Nord con chi dovesse disegnare la Madonna come una prostituta. E temo che attenderei altrettanto vanamente la solidarietà dei ‘democratici’ (per autodefinizione) nei confronti dei negazionisti dello sterminio ebraico. E infatti ora molti esponenti della destra cominciano a capire che Charlie Hebdo bestemmia pure la trinità -e prendono quindi le distanze-, molti esponenti della sinistra cominciano a capire che Charlie Hebdo è un po’ razzista -e prendono quindi le distanze. E nell’orgia dello ‘scontro di civiltà’ il potere si va appropriando per i propri scopi dell’azione  di un gruppo di fanatici «sottomessi» al Profeta: capitali militarizzate, richiesta di leggi speciali, moltiplicazione dei controlli, estendersi delle censure. Al di là della retorica spettacolare del Je sui Charlie il massacro contro Charlie Hebdo rischia di trasformarsi in un’ulteriore occasione per «sorvegliare e punire».

Dante, Maometto e Charlie Hebdo

«Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.

Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ‘l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi e con le man s’aperse il petto,
dicendo: ‘Or vedi com’ io mi dilacco!”

vedi come storpiato è Mäometto!’»

(Inferno, XXVIII, 22-31).

Così Dante Alighieri descrive la figura ripugnante dello ‘scismatico’ Maometto, tagliato/squartato come lui volle tagliare/squartare l’unità cristiana del Mediterraneo. Ancora una volta i monoteismi confermano tutta la loro carica di violenza, gli uni contro gli altri. Nel presente i CharlieHebdo_Maomettopiù pericolosi e armati di tali monoteismi sono quello di Israele e quello degli islamisti. Massacrare i redattori del giornale parigino Charlie Hebdo perché hanno «offeso il Profeta» è semplicemente ripugnante. E conferma ancora una volta tutta la violenza insita nell’Identità senza Differenza, nell’Uno.

veil-charlie-hebdo«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. Non avere altri dèi di fronte a me. […]  Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Deuteronomio, cap. 5, versetti 6-10).
«Allah testimonia, e con Lui gli Angeli e i sapienti, che non c’è dio all’infuori di Lui, Colui Che realizza la giustizia. Non c’è dio all’infuori di Lui, l’Eccelso, il Saggio». (Corano, sura III, versetto 18).
«Egli Allah è Unico, Allah è l’Assoluto. Non ha generato, non è stato generato e nessuno è eguale a Lui» (Corano, sura CXII, versetti 1-4).
«E i miscredenti che muoiono nella miscredenza, saranno maledetti da Allah, dagli angeli e da tutti gli uomini. Rimarranno in questo stato in eterno e il castigo non sarà loro alleviato, né avranno attenuanti. Il vostro Dio è il Dio Unico, non c’è altro dio che Lui, il Compassionevole, il Misericordioso» (Corano, sura II, versetti 161-163).

Vai alla barra degli strumenti