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Paranoie

Dopo Il gioco al massacro riporto qui un nuovo documento del Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica.
Spero che questa accurata ricostruzione degli eventi serva a comprendere meglio che cosa sta accadendo a Catania.

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Il caos della paura e la forza del buon senso

L’Ateneo di Catania è nuovamente sotto i riflettori.
Qualcuno sembra terrorizzato dal fatto che l’attuale Rettore giunga all’esito naturale del suo mandato, ovvero il 2019. Per questo qualcuno il 2019 è troppo lontano, soprattutto troppo pericoloso, troppo fuori controllo.
Per comprendere che cosa stia accadendo sarà necessario vedere con pazienza – e per un attimo “da fuori” – dentro quale narrazione ci troviamo catapultati; e come questa narrazione, passo dopo passo, sia stata volutamente costruita nel corso degli ultimi due anni.

L’invenzione del caos

Alcuni “Organi di stampa” – in particolare uno, la testata online SUDPRESS – portano avanti da tempo e in modo martellante e ossessivo una tesi, di continuo gridata e urlata (spesso si urla e grida se si ha paura di ciò che le urla e le grida nascondono); e questa tesi – elemento importante se non fondamentale – ha una esatta data d’inizio, che corrisponde al manifestarsi del contrasto tra il dr. Lucio Maggio, allora Direttore Generale nominato dalla precedente gestione, e l’Amministrazione attuale.
In realtà, il conflitto non è né è mai stato tra il  Rettore Pignataro e il Direttore generale dott. Maggio; il contrasto è sorto invece e in modo chiaro tra l’Amministrazione con i suoi Organi rappresentativi da un lato (in primis il Consiglio di Amministrazione, salvo alcuni dei consiglieri nominati dal precedente rettore, e poi il Senato Accademico), e l’ex Direttore Generale dall’altro. L’Amministrazione, sostenuta dalla quasi totalità dei direttori di dipartimento, dei docenti, del personale tecnico-amministrativo e delle associazioni sindacali, ha ritenuto che la gestione del Maggio sia stata illegittima su alcuni specifici e significativi passaggi amministrativi (la proroga autonoma e non concordata di alcune figure dirigenziali a tempo determinato e la decisione non rispettosa del regolamento su alcuni appalti di consistente importo, tra tutte); e soprattutto la comunità universitaria ha ritenuto che tale gestione sia stata radicalmente improntata a  una concezione e una pratica autocratiche, come tale inidonee a una conduzione equilibrata del ruolo che la legge assegna al DG. Questa tesi è una persecuzione ad hominem, o è piuttosto corroborata da elementi fondati e che i lavoratori e le lavoratrici dell’Ateneo hanno sperimentato quotidianamente? Questa seconda ipotesi è facilmente dimostrabile. Nel periodo della sua gestione, infatti, il dr. Maggio compie un processo di accentramento amministrativo che rende ardua se non impossibile la fisiologica dinamica tra dipartimenti e uffici centrali, per missioni non marginali ma fondamentali come il coordinamento di didattica e ricerca (l’ateneo in quegli anni scivola, tra l’altro, agli ultimi posti nelle performance della didattica a livello nazionale); si spinge addirittura (durante la breve fase del suo reintegro, dal 1/12/2014 al 22/1/2015) a emanare direttive che inibiscono i dirigenti e i funzionari dal parlare con gli organi di governo e i direttori di dipartimento senza una previa “autorizzazione” del DG stesso. Il DG teorizza la superiorità della funzione, certo importante ma amministrativa ed esecutiva, che la legge gli assegna, rispetto al ruolo degli organi d’indirizzo democraticamente eletti  o nominati; sostanziali effetti di paralisi della gestione amministrativa stessa);  ed è curioso, a dir poco, che egli non “scopra” tale sua centralità gestionale-politica, questa sua missione di centro focale dell’universo accademico, all’inizio della sua funzione (prima di Direttore Amministrativo e poi di Direttore Generale sotto l’amministrazione Recca): ma che tale illuminazione lo colga solo all’indomani dell’elezione del candidato che Recca stesso aveva combattuto fino all’ultimo, pur non potendone impedire l’elezione quasi plebiscitaria, ovvero Pignataro… Strano, vero?
Questo quadro, certo conflittuale ma anche “fisiologico” nella vita della Pubblica Amministrazione, viene sistematicamente deformato dal suddetto “organo di stampa”.
Il mandato è: drammatizzare e personalizzare. E soprattutto dipingere la vita dell’Ateneo – complessa e difficile, come quella di tutti gli atenei italiani in età di crisi e tagli strutturali – come un girone infernale di interessi e clientele. Il che forse è stato vero un tempo (a volte si proietta il passato sul presente), ma oggi di certo non è più.
Chi può accusare di irregolarità penalmente rilevanti chicchessia senza prove inoppugnabili? Nessuno che sia corretto con se stesso e con gli altri. Se il dr. Maggio lo fa, noi non lo seguiremo. Gli ricordiamo però un unico passaggio della sua vita professionale di dirigente, semplicemente, tra i moltissimi possibili, che dovrebbe spingerlo a maggior cautela e più serena capacità di contenimento: infatti, in occasione del tristissimo scandalo del Mailgate per il quale il prof. Recca è inquisito e per il quale l’Ateneo si è costituito parte civile, almeno un’intercettazione ambientale lo vede al tavolo col past rettore e un funzionario, mentre il primo indica le azioni necessarie e utili ad addossare a taluni le responsabilità, condivise, di quell’evento nefasto. Questo è del tutto inoppugnabile, ahinoi. Non sappiamo se qualche magistrato chiederà mai al dr. Maggio di rispondere di tale evidenza; ma l’evidenza resta. Sorvoliamo su altri passaggi, dunque, e continuiamo la nostra narrazione.
Non prima però di esserci posti una domanda, che sorge spontanea: perché mai un organo di stampa, che si definisce di giornalismo d’inchiesta,  dovrebbe sposare con tale perseveranza e violenza la tesi di una parte in un conflitto tutto sommato marginale? Perché SUDPRESS diventa il megafono della difesa del dr. Maggio? A questa domanda non troviamo risposta. Ma il dato è anch’esso difficilmente oppugnabile.

La paranoia penale 

La “strategia di pressione” del dr. Maggio – di cui ci sfugge la logica etica e istituzionale – non è tanto, francamente, importante in sé. Essa diviene piuttosto importante in quanto parte di una strategia ancor più complessiva di pressione sull’ateneo e  sul Rettore, attraverso una vera e propria forma di bombardamento mediatico. Questa strategia è viziata da una nemmeno tanto sotterranea paranoia penale e inquisitoriale. Chi vive una tale paranoia, chi concepisce un tale rapporto con il suo luogo di lavoro e i suoi colleghi, tradisce una realtà nemmeno troppo difficile da capire: egli nutre tremendi dubbi non sull’incolumità degli altri (su cui vorrebbe scatenare folgori e pestilenze e  distruzioni), ma su di sé, sulla sua sicurezza, sulla sua stessa incolumità. Ognuno ha i suoi fantasmi, ha anche diritto di averli e coltivarli; ma nessuno è titolato a trasferirli sugli altri né, soprattutto, sulle istituzioni che operano per il bene comune.
Questa “strategia” è dunque dettata dalla paura patologica di chi la ordisce e persegue. E ciò è psicologicamente semplice da capire quanto eticamente triste e difficile da accettare.
Il medesimo schema narrativo viene oggi utilizzato per la vicenda dello Statuto. Lo stesso Rettore che ha creato il vulnus istituzionale dello Statuto illegittimo per il MIUR (nel 2011) usa la vicenda per tentare la vendetta giudiziaria nei confronti del suo avversario.
Il copione è il medesimo. Recca si fa passare quale paladino della legalità, esempio positivo e difensore della legittimità costituzionale (dopo aver fatto quello che ha fatto).
Il Rettore Pignataro viene additato come già decaduto (con grave ma consueta confusione tra desideri e realtà) e come esempio negativo di renitenza all’applicazione di sentenze esecutive e inoppugnabili (anche quando non lo sono).
Infine, la natura del conflitto giudiziario viene drammatizzata e personalizzata in modo infantile. Infatti, la vicenda del contenzioso sullo Statuto non è un conflitto, come caricaturalmente rappresentato, tra un singolo rettore e il Consiglio di Giustizia Amministrativa; la natura vera di quel conflitto è altra, del tutto, ed è quella di un conflitto tra MIUR e CGA sull’applicazione e sugli esiti della Legge 240, generato come polpetta avvelenata dalla passata gestione di Recca, e utilizzato dall’entourage recchiano per ottenere un capovolgimento giudiziario dell’elzione democratica di questa amministrazione (torneremo su questo punto).
C’è un ultimo aspetto. Il dr. Maggio, con grande tempismo, fa sfornare al suo esercito di avvocati (si vede che ha i mezzi per sostenerne le spese), quasi ogni settimana ormai, minacce di denunce o denunce penali vere e proprie contro il Rettore Pignataro. E – fatto davvero inconsueto! – sono gli stessi avvocati a produrre e divulgare dei comunicati stampa. La prima di queste, con una memoria di 1200 pagine (!!!), invero archiviata – supponiamo nel ludibrio degli organi inquirenti – accusa il Pignataro addirittura di “maltrattamenti familiari”; e ancora querele per diffamazione, denunce per danno psicologico, mobbing, inadempienza alle sentenze… manca solo una denuncia per terrorismo internazionale (ma confidiamo che sia in preparazione).
Perché tutta questa enfasi sulle denunce penali?
Vediamo due obiettivi, oggettivamente comprensibili (da un certo punto di vista): il primo è  tenere alta la pressione mediatica tentando di convincere l’opinione pubblica locale (molto distratta, ahinoi, anche nelle sue testate giornalistiche più “titolate”) che la quantità sia qualità. Convincere anzi della qualità attraverso la quantità. Ma avere il bancone pieno di merce è inutile, se la merce è falsa. Siamo ormai consumatori accaniti e smagati, un po’ tutti…
Un secondo obiettivo è però più sottile: ovvero quello di ottenere una qualche forma di inibizione penale in caso di nuove elezioni del rettore (auspicate da qualcuno che fa male i conti, ma di molto). Questo secondo obiettivo ci pare ben lontano dal raggiungersi, ma, se questa seconda ipotesi fosse vera, sarebbe una semplice mascalzonata, che nessun docente dell’ateneo è disposto a sopportare e di cui ogni cittadino avvertito del nostro territorio dovrebbe essere cosciente.

 Ognuno risponde delle sue azioni

Immaginate di essere un genitore la cui figlia o il cui figlio sta per compiere la scelta della vita: l’iscrizione ad un corso universitario, il bivio del proprio futuro lavorativo ed esistenziale. Immaginate che la giovane o il giovane si vogliano iscrivere all’Università di Catania. Come potrà farlo, con serenità, dinanzi ad una rappresentazione mediatica che espone l’Ateneo alla gogna quotidiana? “Tutti contro tutti”, “Muro contro muro”, “Organi azzerati”, “Caos all’Università di Catania”…
Chi guadagna (pochissimi) e chi perde (tutti noi) da questa rappresentazione apocalittica del caos viziata da una paranoia e da una paura “penali” profonde?
Il danno è oggettivo. Crediamo sia venuto il momento di chiedere conto di questo danno, come degli altri che si sono verificati in passato. Il tempo del silenzio è finito. Per questo riteniamo si tratti di valutare l’opportunità di controdenunce e di azioni penali collettive volte a tutelare la vita e l’immagine del nostro Ateneo; che è il nostro luogo di lavoro e la nostra missione sociale.
Quando il prof. Recca era Rettore, noi del CUDA lo abbiamo contrastato apertamente. Abbiamo denunciato le sue scelte e criticato gli atti della sua amministrazione: le linee guida per i provvedimenti disciplinari; i provvedimenti disciplinari stessi; la politica delle lauree honoris causa; la scelta di fare il rettore e insieme il presidente regionale del partito di Cuffaro, con un conflitto di interessi inopportuno  ed essendo dunque politicamente vicino all’allora Presidente della Regione Sicilia nel periodo in cui maturavano gli esiti che avrebbero condotto alla condanna di questi per concorso esterno in associazione mafiosa; lo scandalo Mailgate, gravissimo; le scelte sul mancato pagamento dei ricercatori per la didattica frontale; e potremmo continuare…
Abbiamo criticato e contrastato Recca. Ma l’abbiamo contrastato A VISO APERTO; candidandoci nelle elezioni degli organi, venendo isolati e additati, fregandocene dei servi , dei pavidi e degli opportunisti (che allora fiorivano) della prima e della seconda ora, ma continuando a metterci la faccia, senza spostare mai la contesa dal piano politico a quello giudiziario, salvo denunciare e motivare pubblicamente quello che non ci convinceva se non ci convinceva.
Abbiamo condotto una battaglia politica.
Chi sposta immotivatamente e sistematicamente il confronto sulle scelte amministrative sul piano del complotto o della vendetta giudiziaria si pone di fatto fuori dal sistema fisiologico di funzionamento di una comunità. E, soprattutto, mostra debolezza e paura.
Ci chiediamo allora: paura di cosa? Cosa si teme?
Che qualcosa del passato venga alla luce? Che scelte, procedure di appalto, sistemi di controllo magari pressati da interessi privati passino al vaglio degli organi competenti? Accadrà, quando accadrà, inevitabilmente. Se ne faccia ciascuno una ragione. Noi continuiamo a pensare alla vita dell’università; la magistratura penserà al resto, vogliamo credere e confidiamo, con imparzialità e rigore.
La risposta della comunità universitaria catanese di fronte alla “crisi” di questi giorni è stata ed è compatta: si vedano i documenti, le prese di posizione di tutti i direttori (meno uno…), di varie sigle sindacali.
Crediamo però che – per il futuro del nostro ateneo – si debba ragionare ancor più a fondo di come si è fatto finora sugli effetti della passata gestione, su ciò che è accaduto e su come è accaduto, senza mettere la testa sotto la sabbia, senza tacere la realtà delle paure e delle pavidità colpevoli, perché il presente è figlio del passato; e riteniamo che si debbano ampliare gli spazi di riflessione, dibattito e dialogo aperto e franco sull’università e sui suoi problemi, locali e nazionali. Solo così si potrà con ancora più forza non solo difendere un presente, ma rilanciare la nostra università e costruire un futuro di fisiologico confronto e di reciproco rispetto, senza padrini né padroni, in una comunità di ricercatori liberi, responsabili della loro funzione in questo contesto che di libertà e cultura ha bisogno vitale; e consapevoli della possibilità unica, loro offerta, di promuovere benessere morale e materiale delle nuove generazioni.
Dire tutto questo, oggi, senza paura, senza ipocrisia, è già investire su un futuro migliore. Ne abbiamo bisogno, anzi dobbiamo farlo.

IL CUDA

Il gioco al massacro

Nel febbraio del 2013 l’Università di Catania elesse un nuovo Rettore -Giacomo Pignataro- con una percentuale di voti che non lasciava dubbi sulla volontà del corpo accademico di segnare una discontinuità con la precedente amministrazione. La quale però non si è rassegnata a tale risultato e ha operato in molti modi per capovolgerlo. L’episodio più recente è raccontato nel documento del CUDA che riporto per intero, condividendone i contenuti e le intenzioni. È bene che soprattutto gli studenti sappiano come si intende paralizzare la vita della loro Università, con grave danno per tutti.

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Questa storia narra di un ateneo presso il quale la parola legalità faticava a far rima con realtà, giustizia e legittimità.
C’era un rettore che aveva dato corso a una legge solo nelle parti in cui gli piaceva. Questa legge gli imponeva di adottare uno statuto raccordandosi con altri attori istituzionali (il MINISTERO). Ma lui niente: lo statuto è mio e me lo faccio come voglio io; anzi, lo approvo “a prescindere”. E se qualcuno si lamenta, vada a raccontarlo ai giudici. Io me ne infischio; anzi, me ne frego.
Nel 2011, questo rettore manda tanti saluti al Ministero e fa approvare uno statuto “fai da te”.
In quegli stessi anni, questo rettore che non amava tanto essere disturbato, e che si segnala anche per il conferimento di laurea honoris causa a un signore – un uomo d’onore, direbbe Shakespeare – che l’ha, ci dicono, successivamente riposta nel poco spazio lasciato libero dagli incartamenti di tutte le pendenze giudiziarie che lo riguardano, questo rettore, amante delle regole, amante del confronto pacato con tutti, si segnala per aver promosso un’azione disciplinare contro un preside, uno tra i pochi docenti del Suo ateneo a farlo in verità, che osa biasimare, ah ingeneroso!, la sua gestione amministrativa.
In quegli stessi anni, il medesimo rettore, uso a discutere ragionevolmente con quanti non riescono a vedere i sacrifici che fa ogni giorno per mandare avanti la baracca, pensa bene di lanciare in politica la moglie di un suo sottoposto. Ma nel farlo si affida, poveruomo, alla collaborazione di maldestri esecutori che gli combinano un guaio con risvolti penali.
Sempre negli stessi anni lo stesso rettore si segnala, nella sua azione politica indefessa, per un esilarante doppio incarico che evidenzia l’ateneo come indiscussa anomalia nel panorama nazionale: presidente regionale dell’UDC – partito dell’allora presidente della Regione Cuffaro Totò – e immarcescibile rettore…
Ora, diciamo noi, ma è possibile che un tale lavoratore indefesso debba anche tollerare che i soliti sfascisti, gufi e rosiconi facciano commenti su tutte le cose buone che fa. Per di più disprezzandole, non cogliendone la bellezza, la purezza, il disinteresse. Ma la libertà di pensiero può mai divenire libertà di scassare i cabbasisi a un santo? No, e infatti arrivano le linee guida comportamentali in caso di azioni disciplinari, incostituzionali e illiberali, tanto da scatenare una polemica nazionale.
Le vite dei santi, genere letterario importantissimo, ispirano una sequela della santità, fanno proseliti. Oggi ci pare che questo esempio di difensore delle regole abbia giuridicamente ispirato una collega, già componente del Cda, che si è accorta che c’era del marcio a Catania.
Menomale. Menomale che ha caricato la sveglia, dato fiato alle trombe, fatto suonare le campane.
C’è un giudice a Berlino, anzi a Palermo, e finalmente c’è, dopo una parentesi di oscurantismo e notte e nebbia, un po’ di luce anche a Catania (dove nel frattempo ricorso-fotocopia è stato presentato, proprio dal già rettore, con perfetto tempismo e pervicace attivismo giudiziario…).

A conclusione di questa doverosa, lunga e ricca (ma di povertà) premessa storica – perché la tendenza a dimenticare è una tentazione diffusa nel nostro Paese e dalle nostre cuffariane parti in ispecie – ecco il punto. Proprio da parte di chi ha creato un vulnus grave e dunque una condizione di potenziale ingovernabilità e stallo istituzionale (con l’approvazione dello Statuto “a prescindere”) viene oggi agitato quel vulnus, per dire che l’attuale amministrazione è illegittima, non ha titolo, e che un rettore votato da  oltre l’80% dell’ateneo è abusivo. Addirittura, in un’ultimissima esternazione a mezzo stampa, avente per oggetto niente di meno che “elezioni del nuovo rettore”, il prof. Recca, in abborracciato blasone istituzionale, dichiara “grande soddisfazione” per la sentenza del CGA che a suo dire azzererebbe tutte le cariche dell’ateneo (Rettore compreso) e si lancia come suo solito in accuse incontrollate e ardite nei confronti dell’attuale Rettore (mentre allestisce già gazebi elettorali agostani e lancia prevedibili candidature civetta). Scorda, il Recca (o finge di scordare e ignorare), che la stessa sentenza del CGA da lui osannata lo censura gravemente, ribadendo testualmente (come già la sentenza di primo grado) che “male ha fatto il rettore Recca” (si veda p. 12, rigo  7 e seguenti della stessa) ad avviare un contenzioso così pernicioso per l’Ateneo approvando lo Statuto in conflitto con MIUR e TAR.
Ma oggi il prof. Recca – con ennesima e metamorfica giravolta –  si erge a paladino della “legalità”! Fantastico! Abbiamo avuto notizia che alcuni colleghi, appena ricevuta la sua esternazione, l’hanno prontamente stampata e incorniciata, ponendola in bella mostra tra una foto di Totò e una di Dario Argento…
E dunque, e veniamo al punto, c’è da chiedersi: perché tale accanimento nei confronti della presente amministrazione? Un’amministrazione che noi abbiamo sostenuto ma con franchezza e libertà criticato su alcuni aspetti, anche rilevanti, della sua azione (tra questi la composizione troppo gerarchica e poco rappresentativa del SA [Senato Accademico] nel nuovo Statuto, o la posizione contraria assunta nella protesta sullo Stop VQR [Valutazione Qualità della Ricerca]); ma un’amministrazione che – non dimentichiamolo – ripristinando forme fisiologiche di confronto e dibattito (prima inimmaginabili), ha ereditato e affrontato, con importanti risultati, una crisi fortissima del nostro ateneo nella didattica e nella ricerca (nel settennio precedente altre erano le priorità), che ha  ripristinato modalità trasparenti di gestione degli appalti, che si è costituita parte civile nell’avvilente affaire del mailgate, che ha affrontato situazioni gravi e complesse – segnalandole  a tutti gli organi competenti – come la lievitazione esorbitante dei costi della Torre biologica e del contratto Global Service stipulato in precedenza dall’ateneo (solo per citare alcune delle azioni “sensibili” di questa amministrazione)?
Siamo in presenza di un gioco al massacro? Ovvero di un gioco in cui chi non ha nulla più da guadagnare nell’attuale situazione, ma tutto da perdere nel perdurare di azioni di trasparenza amministrativa, gioca il tutto per tutto, il “la va o la spacca”, il “muoia Sansone con tutti i Filistei”?
Calma, calma, con le illazioni. Diciamo calma a tutte le colleghe e i colleghi (circa un migliaio) che si stanno ponendo questa esatta domanda in queste settimane e in questi giorni.
E in attesa che si stabilizzi il contenuto – invero non chiaro e talora sibillino – della recente sentenza del CGA (si chiede il rinnovo degli organi statutari escluso o compreso il rettore? La prima ipotesi sembrerebbe ben più probabile a rigor di legge e di logica…), ci pare di potere dire una cosa, con serenità.
A chi ha ispirato, sostenuto, incoraggiato, promosso le recenti azioni giudiziarie vorremmo dire che noi non abbiamo MAI avuto paura delle regole né di chi le applica in un determinato momento. Se non ci piacciono le rispettiamo, ma cerchiamo di cambiarle e anche di cambiare chi le fa e le applica (se democraticamente eletto).
Il passato non ritorna mai uguale a prima e noi siamo ancora qui.
Pensiamo, dunque, che il  nostro ateneo non possa più di tanto stare al palo a farsi indebolire da interessi obliqui e giochi al massacro. Se l’incertezza dovesse perdurare, in assenza di un’interpretazione autentica della sentenza, aggravata anche da un gioco di rimpalli giuridici e di  indignazioni tanto strillate quanto interessate, c’è – in extrema ratio – un modo semplice per risolvere la questione. Tornare  a votare. E se (in questo ipotetico scenario) il Rettore Pignataro vorrà ricandidarsi e presenterà un programma condivisibile, lo sosterremo convintamente come abbiamo fatto la volta passata, per dare sia serenità e continuità alla gestione amministrativa quanto per migliorarla e rafforzarla dove possibile e necessario: ciò che riteniamo sia nell’intendimento della stragrande maggioranza dell’ateneo, docenti, personale amministrativo e studenti. Perché – come ricorda Machiavelli nei suoi Discorsi – “la malignità non è doma dal tempo né da alcuno dono”. Ma la volontà collettiva, serena e vigile, può sanare e correggere storture che il tempo lascia in eredità. Ma non per sempre.

CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica)

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