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Mente & cervello 47 – Novembre 2008


La permanenza dei significati e delle intenzionalità è la memoria. Essa costituisce il nucleo più profondo della mente, quello in cui convergono la dimensione fisico-neuronale e quella coscienzialistico-immateriale. A questo tema sono dedicati alcuni degli articoli del numero di novembre 2008 di M&C. Anche il ricordare conferma che la mente non è una res ma è un fieri, non una sostanza ma una funzione. I ricordi, infatti, non vengono “depositati” in nessun cassetto ma «vengono creati modificando la forza delle connessioni tra centinaia, migliaia, se non milioni di neuroni, che facilitano la ricomparsa di schemi di attività specifici» (R.Stickgold e J.M.Ellenbogen, pag. 36); il sonno serve a consolidare -alla lettera- tali connessioni e quindi sembra finalmente chiarita la ragione per cui abbiamo bisogno di dormire: per fissare i ricordi e quindi per essere ancora noi stessi.
Anche altri animali e non solo mammiferi -i corvi, ad esempio- «hanno una memoria straordinaria, tanto da ricordarsi con precisione un volto umano, anche dopo parecchio tempo» (F.Sgarbossa, 21) e questo apre all’importante argomento della mente animale, affrontato da J.Vlahos dal punto di vista del disagio mentale, delle cure e dei farmaci che vengono erogati agli animali non umani. Il pregiudizio cartesiano è stato completamene smentito: gli animali «sviluppano malattie mentali che somigliano in maniera inquietante a quelle umane, e rispondono agli stessi farmaci» (52); e anche le ragioni sembrano analoghe, visto che molto del disagio mentale nasce «dalle vite innaturali che i proprietari li costringono a condurre» (56), vite, spazi e tempi innaturali anche per noi. Il sistema limbico, che controlla le emozioni, funziona infatti in modo assai simile in tutti i mammiferi. Darwin affermò giustamente che «la differenza tra la mente dell’uomo e quelle degli animali superiori, per grande che sia, certamente è una differenza di grado e non di genere» (cit. a p. 56).
L’animalità dell’Homo sapiens sapiens spiega anche la particolare attrazione dei maschi di questa specie -come anche di alcune scimmie- per la pornografia. La ragione è persino banale: «per i maschi è adattativo, cioè vantaggioso in termini evoluzionistici, essere reattivi di fronte alle possibilità di accoppiarsi, anche velocemente e senza troppo impegno, per diffondere i propri geni sul pianeta (…) E ai mammiferi maschi generalmente conviene tentare di fecondare il più alto numero di donne possibile e quindi essere veloce e ricettivo di fronte alla visione di una donna disponibile» (S.Bencivelli, 26-27).
Un argomento diverso e didatticamente assai utile è quello che concerne l’imperversare di psicologi e «neuromiti nelle scuole», come se presentarsi con un camice bianco o utilizzare un linguaggio neurobiologico attribuisse per ciò stesso una qualche verità ed efficacia alle affermazioni di molti sedicenti esperti dell’educare. E invece «gli insegnanti non devono abdicare la loro responsabilità di educatori delegando in modo acritico la loro competenza alle fandonie di divulgatori senza scrupoli» (R.Cubelli – S. Della Sala, 84). I due studiosi sostengono anche -e giustamente- che alla base di molti interventi inopportuni o dannosi delle neuroscienze in ambito didattico starebbe «la commistione tra mente e cervello diffusa anche tra gli addetti ai lavori, ossia l’idea che lo studio del funzionamento fisiologico e biologico del cervello sia sufficiente a comprendere i processi mentali e i meccanismi di acquisizione della conoscenza. Lo studio del cervello e lo studio dei processi cognitivi non sono sinonimi, non si pongono i medesimi obiettivi e rappresentano livelli di conoscenza diversi» (82).
Osservazioni critiche che ci riportano alla necessità di un approccio filosofico per la comprensione della mente e della memoria, come sostiene anche Nelson Cowan dell’Università del Missouri: «per determinare la verità sarà quindi necessario affiancare alle moderne tecniche di brain imaging i vecchi metodi comportamentali e il ragionamento filosofico sul funzionamento della mente. In un articolo del 1971 intitolato Art in Bits and Chunks, lo psicologo della percezione Rudolf Arnheim affermava che lo strumento più importante per uno psicologo è la sua poltrona. E questo sembra valido anche per le ricerche sul cervello» (49).
Segnalo, infine, una intrigante intervista di Loredana Lipperini a Francesco Dimitri, uno dei maggiori scrittori italiani di fantasy -che non è un genere per ragazzini o per sognatori…- autore di un romanzo dal titolo Pan ambientato in una Roma contemporanea attraversata dalla crudeltà orgiastica del dio greco. Dimitri sostiene che «i sogni scientifici stiano mostrando la corda e che siamo in tempi di risveglio: in questo senso l’arrivo di Pan è davvero imminente. Il che non significa diventare luddisti. Una parte degli avanzamenti scientifici sono stati non semplicemente anticipati dalla letteratura, ma condizionati. Penso a Verne. Al cyberpunk. E penso a Mark Pesce, l’inventore del Vrml (Virtual Reality Modeling Language), che è un occultista: e ha realizzato l’estensione tecnologica di una propria idea esoterica» (45). E comunque Pan non è mai morto, come ci ricorda Hillman, poiché egli è l’unità psicosomatica che siamo. È nel trionfo del corpo che -nonostante il grido riferito da Plutarco che pose fine al mondo antico- Pan è vivo e sempre lo rimarrà. Sempre, finché un corpo umano e animale pulserà del desiderio di vita e del suo terrore.

 

Mente & cervello 48 – Dicembre 2008

Sorpresa! (ma lo si sa da tempo…): molte specie animali sono bisessuali e praticano quindi l’omosessualità, probabilmente «per distendere le tensioni sociali, per proteggere i propri piccoli oppure per preservare la fertilità quando non vi sono partner disponibili del sesso opposto…o semplicemente perché è divertente» (E.V. Driscoli, p. 39). Che cos’è quindi natura? Che cosa contronatura? E che cosa -ancora- è cultura? Dovremmo, in realtà, abbandonare sia l’antropocentrismo (che è una vera e propria malattia del sapere, oltre che gesto di assoluta vanità) sia ogni forma di dualismo, compreso quello tra scienze del cervello e filosofia della mente.
Stanno infatti per cadere «come questa rivista non cessa di sottolineare -scrive Enrico Bellone-, le barriere che separano la scienze del cervello dalle riflessioni sulla mente, e che per molto tempo hanno creduto di distinguere le funzioni cerebrali dalla produzione di cultura» (3). Uno degli esiti dello scientismo è invece la scissione fra queste due dimensioni dell’unità psicosomatica a favore del solo organismo e cioè dell’unica dimensione che i metodi quantitativi siano in grado di osservare. La corporeità umana è corpo oggettivo e corpo vissuto, entrambi immersi in un ambiente fisico col quale scambiano energia e informazione, in relazione profonda con gli altri corpi, insieme ai quali costituiscono un mondo di simboli e di significati che è il solo mondo nel quale gli umani possano vivere e cioè non solo sussistere ma anche esistere.

Esistenza che è fatta spesso di inquietudine, a volte di angoscia; dimensioni, queste, anch’esse naturali ma che non poca psicologia intende patologizzare. E si arriva a casi davvero criminali come quelli raccontati da K. Lambert e S.O. Lilienfeld. Episodi nei quali è lo psicoterapeuta a creare -letteralmente- disturbi psicologici gravissimi come schizofrenie, personalità alternative -alters-, falsi ricordi orribili (come violenze sessuali subite da parte dei genitori) che intessono ogni istante e dai quali più non ci si libera: «prima di cominciare la terapia, Sheri soffriva di una leggera insonnia e di blandi stati d’ansia. Dopo l’inizio della terapia [condotta dal Dott. Kenneth Olson] cominciò ad avere emicranie, vertigini, mal di schiena, nausea e disturbi intestinali (…) A dieci anni di distanza, Sheri continua ad assumere farmaci psicotropi, sperimenta immagini e pensieri intrusivi, è ancora senza lavoro e socialmente isolata» (59).

Un consiglio dunque? Tenersi ben lontani dagli psicoterapeuti, da questo ibrido tra confessori, medici e stregoni, il cui autocompiacimento e narcisismo possono indurre a ritagliare addosso al paziente «la psicopatologia che in quel momento lo gratifica, usando il proprio “sapere” come fonte di potere. Questi terapeuti possono pretendere ammirazione incondizionata dai loro assistiti; sono però anche molto vulnerabili a ogni passo del paziente verso l’autonomia, che percepiscono come un abbandono o un tradimento» (F. Cro, 93). Non solo: alcuni psicoterapeuti -come appunto Olson nei confronti di Sheri Storm- possono rovinare per sempre le vite degli incauti che affidano la propria psiche, e quindi la vita, a soggetti «con tendenze, psicopatiche, sadiche o incestuose» (Id., 94).

La salute della memoria, invece, coincide con la salute della persona. Ricordare e dimenticare costituiscono un contrappunto essenziale nella vita della mente, la curiosità è fondamentale per la sopravvivenza dei neuroni e questo «può aiutare a spiegare come mai gli studiosi, che presumibilmente vivono in un mondo intellettualmente più ricco, siano meno suscettibili all’Alzheimer» (A. Levine, 99-100). Letteratura, matematica, filosofia, insomma, fanno bene alla salute.

Numerosi gli altri temi affrontati in questo numero della Rivista: dal disagio natalizio alle stragi nelle scuole statunitensi (ma non solo), dai canoni estetici alle coppie (etnicamente) miste…

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