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Silentium

Centro Culturale San Fedele- Milano
Inner_Spaces#1
Christian Fennesz, concerto inaugurale
26 settembre 2016

In questo primo concerto della stagione 2016-2017 di Inner_Spaces, la lunga performance di Christian Fennesz ha mescolato suoni computazionali con la chitarra, trattata sempre elettronicamente. Il risultato mi è parso piuttosto banale e francamente noioso.
Molto più coinvolgenti sono stati i due brani iniziali del gruppo milanese T.E.S.O, ispirati a Gustav Mahler e Arvo Pärt, e quello dell’e-cor ensemble che ha ripreso anch’esso le musiche del compositore estone. La rielaborazione di Silentium ha confermato la grandezza tecnica e il genio creativo di Pärt, le cui opere sembrano dialogare con quanto c’è di più antico e di più sacro nella struttura sonora del mondo.
Propongo l’ascolto di Silentium nell’esecuzione della Tapiola Sinfonietta & Jean-Jacques Kantorow. Il brano fa parte dell’opera Tabula rasa for Two Violins, Strings and Prepared Piano (1977).

[audio:https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2016/11/Pärt.-Tabula-rasa-for-Two-Violins-Strings-and-Prepared-Piano_-II.-Silentium_-Senza-moto.mp3]

Corpo sonoro

25 gennaio 2016 –  Auditorium San Fedele – Milano
De Natura Sonorum
(Inner_Spaces 2016 #1)
Musiche di Barry Truax e Bernard Parmégiani
Videomapping Andrew Quinn
Regia acusmatica di Giovanni Cospito e Dante Tanzi

RiverrunDell’Acusmonium Sator ho parlato qui già più volte: Acusmatici, elettronici, concreti; 2001. Sinfonia nello spazioMusica / Numeri. La nuova occasione è il primo concerto dell’edizione 2016 di Inner_Spaces. Concerto che ha visto il tutto esaurito con un pubblico molto giovane. Questo è confortante anche perché si è trattato di composizioni per nulla facili.
Barry Truax –Riverrun, 1986- fa quasi toccare la musica attraverso una scrittura granulare, quantistica e insieme fluviale. Bernard Parmégiani –De Natura Sonorum, 1975- cerca di restituire la potenza dei suoni che avvengono in natura e la loro essenza. Questo secondo brano è stato accompagnato dalle immagini di Andrew Quinn, suggestive -certo- ma che rischiano di distrarre dal cuore sonoro della composizione.
Immersi in suoni che giungono da tutte le parti e che penetrano nel corpo di chi ascolta, chi si applaude alla fine di un concerto dove gli unici umani a eseguire qualcosa sono coloro che guidano i computer? Si applaudono le macchine? No. Si applaudono le 50 casse -molte delle quali non visibili- dell’Acusmonium Sator? No. Si applaude la musica, quell’intervallo matematico nello spaziotempo verso il quale gli umani si sentono attratti dalla nascita.
Propongo l’ascolto di un estratto da Riverrun.

[audio:Riverrun.mp3]

 

Bresson / Schopenhauer

Au hasard Balthazar
di Robert Bresson
Francia-Svezia, 1966
Con: Anne Wiazemsky (Marie), François Lafarge (Gerard), Walter Green (Jacques), Philippe Asselin (Padre di Marie), Nathalie Joyaut (Madre di Marie)

Battezzato con il nome di Balthazar dai suoi padroncini, un asino attraversa la vita in un borgo e nelle campagne francesi. Il suo occhio oggettivo assiste alle azioni degli umani, alla loro violenza,  insensatezza, malvagità. Al loro pianto e alle loro menzogne. Caricato di pesi, ridicolizzato in un circo, oberato di lavoro, frustato e preso a calci, utilizzato per il contrabbando, si spegnerà in un mattino di luce, circondato da un gregge. Il legame più costante di Balthazar è con Marie, una ragazza altrettanto sola e perduta, e con Arnold, un ubriaco che lo picchia e che qualche volta lo protegge.
Ciò che segna questo capolavoro è l’assoluta sobrietà dello sguardo cinematografico, l’oggettività degli eventi -come un piano inclinato, come una legge della materia che va da sé, senza volontà di alcuno-, la sapienza del montaggio capace di trasformare in pensiero un qualunque fotogramma. Il mondo degli esseri umani vi viene descritto per quello che è, per quello che è sempre stato, per quello che sempre sarà: un mondo perduto.
E soprattutto vi appare la distanza e la vicinanza tra l’umano e l’altro animale. Distanza nell’essere l’altro animale libero dal male libero dal bene. Vicinanza nella sciagura che per l’animale rappresenta l’incontro con l’umano.
Proiettato qualche giorno fa al Centro San Fedele di Milano, al film è seguita l’analisi di un filosofo cattolico. Il quale ha accentuato la simbologia cristologica dell’asino -certamente presente in Bresson- ma che ha quasi con disprezzo respinto la dimensione anche animalistica dell’opera. Non c’è niente da fare, ha ragione Schopenhauer:

Si guardino invece le atrocità inaudite che nei paesi cristiani la massa commette contro gli animali, ammazzandoli, ridendo e spesso senza nessuno scopo, mutilandoli e torturandoli, e perfino quando si tratti di animali che direttamente procurano il pane all’uomo, come i cavalli, che anche in vecchiaia vengono strapazzati fino all’estremo delle forze, perché si cerca di tirare l’ultimo midollo dalle loro povere ossa, finché non crollano sotto le bastonate del padrone. In verità verrebbe da dire che gli esseri umani sono i diavoli sulla terra e le bestie le anime torturate. Queste sono le conseguenze di quella ‘scena di insediamento’ nel giardino del paradiso. Infatti soltanto la violenza o la religione possono avere influenza sul volgo: ma per quello che riguarda gli animali il cristianesimo ci pianta vergognosamente in asso. […] Non già pietà, ma giustizia si deve all’animale.
(Parerga e Paralipomena tomo II, a cura di G. Colli, Adelphi 1981, pp. 488-489)

Queste parole potrebbero ben costituire una summa di Au hasard Balthazar. Le ragioni del vero e proprio accanimento teoretico e pratico del cristianesimo e della sua teologia contro la Natura, e in particolare contro il mondo animale, sono chiare. Esse affondano nell’antropocentrismo biblico, in una cosmologia che fa dell’essere umano il senso e il padrone dell’universo, in una teologia convinta che persino il Dio si sia fatto uomo e sia morto per la nostra specie, in una escatologia che riserva a tutto ciò che non è umano un solo destino: la nientificazione. Sono altri i miti e le religioni che possono aiutarci a riconoscere nello sguardo dell’animale, nell’occhio di Balthazar, un’alterità senza la quale è l’umano a essere niente.

Tensione

Auditorium San Fedele – Milano – 13 ottobre 2014
Cercles – Ex nihilo nihil fit
Musiche di: Alessandro Ratoci, Fredy Vallejos, Januibe Tejera
Sound reactive visuals (interazione suono/immagine) a cura di: Claudio Cavallari e Giorgio Partesana
Ensemble ICTUS: Tom Pauwels (chitarra), Michael Schmid (flauto), Jean-Luc Plouvier (piano e tastiere)

 

Il pianoforte preparato, due flauti traversi (di cui uno a testata curva), una chitarra elettrica utilizzata anche come strumento a percussione. E tre esecutori capaci di sprigionare da questi strumenti i suoni meno scontati. 
Si comincia con poche battute sul pianoforte -a indicare il vuoto dal quale le cose si generano-e si prosegue inoltrandosi nella complessità della materia sonora. Le immagini, invece, mi sono sembrate piuttosto prevedibili e poco coerenti con la tensione dei suoni.

Di Alessandro Ratoci -uno dei tre compositori- propongo l’ascolto di Col Favore delle Tenebre da «Historia Monstrorum» (2011)

 

 

[audio:Ratoci_tenebre.mp3]

Musica / Numeri

Centro culturale San Fedele – Milano, 17 giugno 2013
NOTTE ACUSMATICA / Omaggio ad A. Tarkovskij
Musiche acusmatiche di Giovanni Cospito e Alexandre Yterce e nuova opera del Gruppo Phonologia

Tre composizioni. Hurbinek … I suoi occhi di Giovanni Cospito, Omaggio ad A. Tarkovskij del Gruppo Phonologia e Commencements di Alexandre Yterce.
Cospito rende lievi gli algoritmi attraverso una scrittura che non si impone all’ascolto ma semplicemente lo sollecita. Il Gruppo Phonologia è formato dai finalisti dell’omonimo premio e ha voluto rendere omaggio alle atmosfere rarefatte e tragiche del cinema di Tarkovskij. Commencements è ispirata ai quattro elementi empedoclei, al loro porsi all’inizio e dentro ogni inizio, dentro ogni cominciamento della materia.
Questi brani di musica elettronica e acusmatica hanno colmato l’auditorium del San Fedele di rumori (sì, anche di rumori), di bisbiglii, di masse sonore potenti e indistinte, di numeri. In modo da non dimenticare ciò che da Pitagora in poi ben sappiamo: che prima di essere sentimento la musica è aritmetica. Per questo essa è anche un paradosso: la più intangibile delle espressioni umane ha bisogno per esistere di riempire lo spazio di suoni prodotti da qualche apparato strumentale e ha bisogno di un udito che sappia decifrarne il significato oltre la tecnicità del significante.

 

Nostalgia della luce

L’infinito nel finito
Paolo Zermani, Giovanni Chiaramonte, David Simpson e foto di scena da film di Andrej Tarkovskij
Centro Culturale San Fedele – Milano
A cura di Andrea Dall’Asta SJ
Sino al 2 febbraio 2013

Nostalghia (Andrej Tarkovskij, 1983) fu girato nella luce di alcuni dei luoghi più mistici dell’Italia centrale e la luce è ciò a cui ciascuno dei personaggi tende come alla vera dimora dell’umano. In questa mostra intima ed essenziale, le foto di scena di quel film si coniugano alle calde architetture di Paolo Zermani, alle geometriche fotografie di Giovanni Chiaramonte e ai dipinti monocromatici di David Simpson. Di essi, il curatore Andrea Dall’Asta scrive che «mostrano una particolare capacità di diffondere la luce, in quanto mescolati a un composto particolare di titanio e di cristalli. […] La superficie del quadro sembra scomparire, diventando vibrazione luminosa che non può essere catturata o imprigionata».
Immagini e strutture nelle quali lo spazio mostra di essere il tempo, la forma presente del tempo. In una di esse la luce fende la tenebra come una lama dentro il dolore di esserci. Lo stesso dolore di Nostalghia.

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