Skip to content


Fuorilegge

Anna carissima – «È il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della Banca Privata Italiana [la banca di Sindona], atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. […] È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell’Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti? Ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici […] Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto […] » – Giorgio Ambrosoli, assassinato nel 1979.

Se l’andava cercando – «Certo [Giorgio Ambrosoli] era una persona che in termini romaneschi io direi: se l’andava cercando» – Giulio Andreotti (video della dichiarazione)

Il 2 maggio del 2003 la II Sezione penale della Corte di Cassazione non ha assolto Andreotti dal reato di «concorso esterno in associazione mafiosa» ma ha dichiarato prescritto il reato, confermando quindi la sua colpevolezza.

*******

Oggi, «la corte d’appello di Milano ha confermato la condanna in primo grado a quattro anni per frode fiscale a carico di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset. Tra le pene accessorie previste per Berlusconi c’è l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, e quella dalle cariche societarie per tre anni. Tre dei quattro anni per i quali l’ex presidente del consiglio è stato condannato sono coperti dall’indulto. Il processo Mediaset è uno dei procedimenti giudiziari a carico di Silvio Berlusconi. L’inchiesta, nata da un filone del processo All Iberian, riguarda la compravendita di diritti televisivi da parte di Mediaset attraverso società offshore, riconducibili al gruppo di Berlusconi. Silvio Berlusconi è accusato di appropriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio. Secondo il tribunale, Mediaset comprava diritti di film girati negli Stati Uniti attraverso società offshore, che a loro volta li cedevano ad altre società gemelle, facendo lievitare il prezzo a ogni passaggio. Questo processo permetteva alla società di nascondere dei fondi neri».

Fonte: Internazionale, 8.5.2013
Dunque è ufficiale: il governo italiano è sotto il controllo di un fuorilegge, una specie di Al Capone condannato a quattro anni di carcere per reati fiscali. Di tale bandito il Partito Democratico è attualmente alleato politico.

*******

Andreotti e Berlusconi, così come Craxi, Ceausescu, Mussolini e tanti, tanti altri.
Lo Stato è questo: una guerra civile tra bande, alcune delle quali si chiamano «criminali», altre si chiamano «forze dell’ordine». Quelle forze che, come è accaduto a Genova nel 2001 e di recente anche a Catania proteggono i malviventi e picchiano ragazzi e persone che agiscono affinché il potere non debba sempre rimanere in mano a costoro. Ma il potere è per sua natura criminale e criminogeno: «Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d’obbedienza / fino a un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza. / Però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni / da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni» (De André, «Nella mia ora di libertà», da Storia di un impiegato [1973]).
Forse l’anarchismo non fa i conti con le pulsioni più profonde della natura umana ma, certo, esso rimane l’unico progetto politico che si possa condividere rimanendo liberi. I fuorilegge Andreotti e Berlusconi lo dimostrano ancora una volta.

 

Coralli

I grandi Capolavori del Corallo.
I coralli di Trapani del XVII e XVIII secolo

Fondazione Puglisi Cosentino  – Catania
A cura di Valeria Li Vigni
Sino al 5 maggio 2013 – Dal 18 maggio al 30 giugno 2013 la mostra sarà visitabile al Museo Pepoli di Trapani

 

Nell’acqua intere civiltà hanno cercato sostentamento, potenza, meraviglia. E una Wunderkammer accoglie il visitatore che inizia il suo itinerario tra i coralli sradicati dalle rocce profonde per farli diventare amuleti, talismani, crocifissi, monetiere, scatolette, ciondoli, collane, rosari, ostensori, calici, orecchini, specchi. E persino presepi con strutture architettoniche. Come un Mida capace di plasmare e di annientare, qualunque materia sia toccata dall’umano si fa  forma, simbolo, artificio.
Forma della mente che nel rosso del corallo ritrova la morte di un dio alla tortura o il raggrumarsi dell’alga al contatto con il sangue della testa spiccata da Teseo alla Medusa. Simbolo cosmico e privato di una benedizione da portare con sé sin dalla nascita, riproduzione nella materia dura del corallo della forza di altri animali e degli dèi. Artificio di un artigianato una volta splendente e ora declinante ma sempre capace di modellare il ramo vivente del corallo in ogni desiderio voluto da chi compra.
Da Trapani a Catania, dalla Grecia a Gibilterra il rosso vitreo e sensuale del corallo può ben essere metafora del sangue che in questo mare è stato sparso per cercare sostentamento, potenza, meraviglia.

Bach. Il come e l'altrove

21 settembre 2012 – Teatro Coppola – Catania
JSB – Come Bach
Primo studio

di Lavoro Nero Teatro

Interpreti
Cristiano Nocera – voce recitante
Johanne Maitre – oboe
Enrico Dibbenardo – clavicembalo

 

«Immaginate una pozza di neve sciolta…», così comincia questa narrazione della vita di JSB. Una pozza d’acqua vicino alla quale un bambino di dieci anni, da poco rimasto orfano, attende. E poi la formazione da autodidatta, i viaggi a piedi per centinaia di chilometri tra le diverse regioni della Germania, i primi incarichi, i conflitti, gli amori. L’amore assoluto è per Frau Musik, per la Signora Musica. Ma forse neppure Johann Sebastian Bach si rendeva conto di che cosa la musica avrebbe fatto per lui e lui per la musica. Bach non è infatti un musicista, un compositore, un artista, per quanto eccelso. Bach è la musica. A partire da lui tutto è cambiato, il contrappunto è diventato la regola del pulsare e dello stare; la concertazione ha assunto arditezze prima impensabili; a essere “ben temperata” è stata la vita di chi nelle sue note disumane si immerge. Disumane perché probabilmente Bach è stato un’entità venuta dall’altrove a insegnarci che cosa possano fare il silenzio e i suoni tra loro mescolati. Ma Bach è stato anche un umano -uno di quegli umani che da soli giustificano l’esistenza della specie- e questo spettacolo racconta la sua calda e spesso difficile umanità. Un work in progress come lo ha definito Cristiano Nocera, autore e voce recitante, che sulla base della documentazione disponibile sta costruendo e ricostruendo gli anni della vita di Bach. E lo sta facendo, con rigore e leggerezza, per quel Teatro Coppola che da luogo abbandonato e dismesso dagli immondi amministratori di Catania è diventato uno dei centri culturali più vivaci della città.
La voce bella e calda di Nocera si è alternata alle note eseguite dai musicisti. E Bach è tornato tra noi. Noi «come Bach».

La mafia subumana

Amo molto Leonardo Sciascia. Ammiro la sua scrittura limpida, ironica e tagliente, la sua anima intrisa di un disincanto malinconico e millenario come quello di tutti i siciliani, come il mio. E tuttavia è vero che molte tra le sue parole possono essere volte in apologia della mafia.
Qualche giorno fa, ad esempio, durante una festa/concerto in una delle zone più delinquenziali di Catania sono stati per l’ennesima volta rivendicati i livelli antropologici che Don Mariano Arena -il mafioso protagonista del Giorno della civetta– squaderna con arroganza davanti al capitano dei carabinieri Bellodi: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà…». E Bellodi riconosce che anche Don Mariano è certamente «un uomo». In un’altra pagina Sciascia immagina quanto Stendhal avrebbe amato la Sicilia se l’avesse visitata davvero -invece di fare soltanto finta- e si spinge a dire che «come il “fosco Alfieri” in cerca della “pianta uomo”, nel mafioso ne avrebbe visto il più esaltante rigoglio».
È anche quest’ammirazione per l’antropologia mafiosa a rendere inguaribile la metastasi che è Cosa Nostra. Sembra che Sciascia veda nel fenomeno mafioso qualcosa di “sublime” nel senso kantiano: terrificante e affascinante insieme. E invece i mafiosi siciliani, questi escrementi di fogna che recitano rosari assassini in buche costruite sotto le loro stalle o i loro palazzi senza gusto; questi amministratori e deputati di un’ignoranza crassa come le loro menti; questi imprenditori, avvocati, banchieri e persino “bibliofili” dalla violenza senza limiti sono -tutti- dei subumani. Non costituiscono «il più esaltante rigoglio» dell’umanità ma la decomposta putredine di una pianta morta, il cui fetore ammorba la Sicilia.

 

Lo spazio immaginato, il tempo vissuto

Catania del ‘600
vista da Renzo Di Salvatore

Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero – Catania
Sino al 31 luglio 2012

Si abita su una stratificazione di luoghi, di strutture, di morti e di memorie. Si abita lo spazio e le case. È difficile immaginare quale aspetto potessero avere in tempi lontani le contrade che ora ospitano le nostre vite. Renzo Di Salvatore ha tentato questa immaginazione. E ha creato delle tele ingenue e limpide, delle opere che vogliono essere documentarie e nello stesso tempo sono totalmente inventate.
La dizione ufficiale è Mostra di originali ed inedite vedute di Catania com’era prima del 1693. Ospitati nella magnifica Sala Vaccarini della Biblioteca Civica e Ursino Recupero, questi quadri descrivono una Catania medioevale, vicina al mare e a ridosso delle campagne, circondata da mura e bastioni, ricca di porte. Una città che non esiste più e che forse non è mai esistita. Eppure queste opere trasmettono una singolare sensazione a chi, come me, abita vicino alla Biblioteca e ad alcune delle strutture urbane che Di Salvatore descrive e che sono sopravvissute alla furia dei terremoti e degli umani. Vedo quindi la Torre del Vescovo -ultimo residuo della città medioevale, protetta e abbandonata da una inferriata a pochi passi da casa mia- tornare al centro di un paesaggio urbano e rurale con lo sfondo del vulcano; vedo l’anfiteatro romano oggi in  Piazza Stesicoro e già nel Seicento imponente e prezioso rudere prospiciente le mura.

Non è un caso che Di Salvatore sia stato disegnatore di anatomia. Le città sono infatti dei veri e propri corpi, degli organismi che vivono nella stratificazione materica dei luoghi abitati da secoli e millenni, le cui trasformazioni e rovine pulsano di un tempo puro. La rovina è la storia ridiventata natura, libera dai flussi del mutamento e quindi fuori dalla temporalità umana. Ma un paesaggio di rovine rimane sempre una sintesi di temporalità diverse e appartenenti sia ai singoli sia alle collettività; paesaggio che nasce dall’essere il mondo uno spazio prima di tutto mentale. Che quindi muta di segno e di senso al variare delle culture collettive, delle tonalità emotive individuali, dei paradigmi storici. Molto più di altre manifestazioni naturali e culturali, i luoghi ci trasmettono il senso della potenza dissolvitrice del tempo. E tuttavia la consapevolezza del tramonto del sé che è implicita nella progressiva acquisizione delle strutture temporali genera anche il senso del Sé come baluardo contro il dissolvimento.

Catania sì bella e perduta

Catania 1870-1939. Cultura Memoria Tutela
ex Quartiere militare borbonico già Manifattura tabacchi – Catania
A cura di Irene Donatella Aprile
Sino al 25 marzo 2012

Per quasi un secolo molte operaie hanno buttato sangue e polmoni in questo luogo, trasformato nella manifattura dei tabacchi. Prima era stato il Quartiere militare edificato allo scopo di controllare la città dopo i moti del 1820-21. Adesso è diventata la sede del futuro (quanto?) Museo Archeologico regionale. Intanto, dietro l’imponente facciata neoclassica ospita una mostra documentaria di ineguale livello nelle sue sei sezioni ma certamente di grande interesse.
Paesaggio urbano mostra i progetti e le modifiche che tra fine Ottocento e primi Novecento privarono (e tuttora privano) Catania del suo mare. Da un lato, infatti, venne ampliato il porto ma dall’altro fu costruito proprio sulla costa il lungo viadotto ferroviario (i cosiddetti “Archi della marina”) che fa da ostacolo a un contatto diretto della città con il mare, tanto più dopo il successivo interramento degli archi stessi, sotto i quali all’inizio passava ancora l’acqua.
La sezione Archeologia espone una selezione, in verità piuttosto ridotta, di vasi, rilievi, statue conservate nel museo civico.
Quello dedicato all’Arte è lo spazio più ampio ed eclettico: pupi siciliani, dipinti di pittori non soltanto locali operanti nel periodo, gli eleganti arredi e quadri della Camera di commercio, collezioni private.
Una sezione specifica è dedicata alle Case della memoria, le case museo di Giovanni Verga, di Mario Rapisardi, di Alessandro Abate, l’interessantissima Casa del mutilato, con il suo intreccio di déco e di razionalismo modernista.
Editoria mostra la vivacità culturale che mai (per fortuna) è venuta meno in Sicilia. Un semplice e lungo elenco dei nomi degli scrittori più noti conferma come quest’Isola sia ancora un luogo di bellezza e di pensiero. L’editoria scolastica e i periodici documentano soprattutto la progressiva e totale subordinazione della scuola al fascismo. I libri di testo e i giornali per bambini e ragazzi sono tutti volti alla lode del Duce, alla ripetizione ossessiva delle sue formule, alla monumentalizzazione imperiale della storia italiana. È comunque molto intrigante osservare le copertine di questi libri e riviste: Il Balilla, Il Corriere dei piccoli, Emporium, La cucina italiana, La lettura, Le vie d’Italia (del Touring Club).
La sezione fondamentale per capire il senso della mostra è Architettura. Pur composto soltanto da progetti e da fotografie, è uno spazio che fa comprendere quanto sia bella ed elegante questa città. Catania pullula di ville neoclassiche, liberty, déco. Concentrate in particolare in viale Regina Margherita, sopravvivono anche in via Etnea, Tomaselli, Leucatia, Umberto, in viale Rapisardi, in corso Italia e in altri quartieri. Lo scempio urbanistico e il disordine architettonico degli anni Sessanta e Settanta hanno rubato alla città la sua armonia ma non sono stati capaci di fare tabula rasa di alcuni degli edifici più belli eretti in Sicilia nei decenni 1870-1940. Alcune di queste costruzioni sono in stato di profondo degrado -clamoroso il caso di Villa Manganelli-, altre sono invece state restaurate o non hanno mai perduto la loro forza: il cinema Odeon, il Palazzo della Borsa, Villa Pancari, caratterizzata da un armonioso liberty privo degli eccessi decorativi; è opera dell’architetto Paolo Lanzerotti, che fu molto attivo nella sua città e la cui vita (1875-1944) coincise con l’arco temporale documentato dalla mostra. 
Mostra che consiglio di visitare in quest’ultima settimana di apertura, nonostante i suoi proibitivi orari “catanesi” (9-13 tutti i giorni, con due sole aperture pomeridiane martedì e giovedì dalle 9 alle 18).
È bella Catania, nonostante lo stupro subìto da parte dei palazzinari, degli ignoranti, degli amministratori corrottissimi e incapaci che da decenni la governano senza pause con l’attiva complicità dei professionisti, dell’Università, del popolo. Tutti soggetti che sembrano contenti che lo spazio urbano nel quale si svolge la loro vita continui a essere violentato. Ma sotto il suo cielo azzurro e splendido la città mostra ancora, a chi sappia guardare, tutta la sua eleganza.

Vai alla barra degli strumenti