Lunedì 19 ottobre 2015 alle 16,00 nella Sala rettangolare del Coro di Notte del Monastero dei Benedettini (Catania) discuteremo con Pietro Perconti del suo libro
La prova del budino. Il senso comune e la nuova scienza della mente
Lunedì 19 ottobre 2015 alle 16,00 nella Sala rettangolare del Coro di Notte del Monastero dei Benedettini (Catania) discuteremo con Pietro Perconti del suo libro
La prova del budino. Il senso comune e la nuova scienza della mente
Giovedì 8 ottobre 2015 alle 17,00 nella Sala rotonda del Coro di Notte del Monastero dei Benedettini (Catania) presenterò il libro di Alessandro Giuliana Nun è timpu.
Picasso e le sue passioni
Castello Ursino – Catania
A cura di Stefano Cecchetto e Dolores Durán Úcar
Sino al 28 giugno 2015
Duecento opere di Picasso. Soprattutto incisioni. Varie ceramiche -vasi e piatti- e alcuni oli. Tutte opere che si dipanano in mezzo ai segni greco-romani e medioevali del magnifico Castello voluto a Catania da Federico II.
Tra questi antichi spazi emergono le tauromachie, dove la crudele e inaccettabile morte del toro si trasforma anch’essa in segno. Nel semplice e bellissimo Baccanale del 1955 vi è il segno mediterraneo: il mare, il verde, le colonne, il canto, la luce. I Vingt poèmes de Gongora sono il segno poetico. I segni delle ceramiche dipinte trasformano questi oggetti in enti semantici e non soltanto d’uso. Il più suggestivo è una brocca con fondo nero sul quale si staglia un Picador. Il segno geometrico vive nella serie dedicata alla Carmen, incisioni senza sangue, senza passioni, senza amore, senza dolore, pura forma. Il segno figurativo è in cinque incisioni a colori di impianto neoclassico, tra realismo magico e puntillismo. Il segno politico domina nella Figura di donna ispirata alla Guerra di Spagna, non presente in mostra ma visibile in una installazione che ne spiega la forte valenza antifranchista, con questa «dama dal culo cristiano che getta delle monete ai soldati mori difensori della vergine». La mostruosità della figura umanoanimale -simbolo della nobiltà spagnola di fede cattolica che esulta per la vittoria del dittatore- è il segno atroce del potere.
Il segno, infine, della scrittura nella quale Picasso disse che «no, la pittura non è stata inventata per decorare appartamenti. Essa è un’arma di offesa e di difesa dal nemico».
Nell’ambito del Maggio dei Libri, venerdì 15 maggio 2015 alle 17.00 al Palazzo della Cultura – Palazzo Platamone di Catania parteciperò alla presentazione del volume Con un altro sguardo. Piccola introduzione alla filosofia interculturale di Giuseppe Cognetti, Donzelli Editore 2015.
Venerdì 13.2.2015 alle 16,30 nell’Aula A1 del Monastero dei Benedettini (Catania) terrò una relazione -dal titolo Sulla religiosità dei Siciliani e dei loro scrittori a partire da Ernesto De Martino– nell’ambito del Convegno La Sicilia come metafora: due secoli di letteratura nazionale.
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L’argomento è serio e piuttosto triste ma ho scelto un titolo gaddiano -che ora è compreso nella raccolta Accoppiamenti giudiziosi– perché si tratta anche di un argomento un po’ grottesco. L’Ateneo di Catania, nel quale ho il piacere e la responsabilità di insegnare e fare ricerca, sta infatti attraversando un momento particolare, per comprendere il quale può forse essere utile leggere un documento assai vivace del Cuda (Coordinamento di docenti, amministrativi, studenti, strutturati e precari dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica libera, aperta e democratica).
Per capire ciò di cui parla questo testo credo sia opportuno riepilogare i risultati delle elezioni per la carica di Rettore che si tennero il 21 e il 28 febbraio 2013, risultati che sono pubblicamente consultabili qui: http://www2.unict.it/elezioni/index.php
La prima cifra si riferisce ai voti ottenuti nella prima tornata, la seconda cifra a quelli della seconda tornata, dopo il ritiro del secondo classificato -Prof. Giuseppe Vecchio- dalla competizione elettorale.
Riepilogo dei voti per singolo candidato (Dati consolidati)
Vittorio Calabrese: 2 – 15
Enrico Iachello: 108 – 13
Giacomo Pignataro: 745 – 1225
Giuseppe Vecchio: 661 – 112
Bianche: 25 – 72
Nulle: 15 – 28
Il testo del Cuda fa riferimento a ciò da cui la vicenda è nata, vale a dire una sentenza emessa lo scorso 18 novembre dal giudice del lavoro Patrizia Mirenda in merito al ricorso del Dott. Lucio Maggio contro l’Ateneo di Catania per il suo reintegro nell’incarico di Direttore generale. Credo sia importante conoscere l’effettivo contenuto di tale sentenza.
«Le doglianze poste a base dell’affermazione secondo cui la revoca dell’incarico sarebbe stata irritualmente assunta non sembrano fondate, dovendosi evidenziare, da un lato, che la revoca deliberata dal CdA non costituisce l’esito di un procedimento disciplinare (con la conseguenza che non sono pertinenti gli argomenti spesi dal ricorrente in ordine alla insussistenza di un vincolo di subordinazione gerarchica del direttore generale rispetto al CdA), venendo in rilievo, piuttosto, la responsabilità dirigenziale del direttore generale dell’Ateneo siccome configurata dall’art. 11 comma 6 del vigente Statuto, e, dall’altro, che sembrano essere state rispettate le garanzie procedimentali previste dal detto articolo» (p. 18).
«Ciò premesso, deve osservarsi che l’assunto del ricorrente secondo il quale l’avvio della procedura disciplinata dall’art. 11 comma 6, dello Statuto, ove non preceduta da un preventivo accertamento delle accuse da parte di un organo terzo, si tradurrebbe nell’esercizio di un potere disciplinare del tutto abusivo, è privo di fondamento» (pp. 18-19)
«Reputa questo giudice che anche sotto tale aspetto le doglianze del ricorrente non siano condivisibili giacchè se è vero che il CdA diede mandato al rettore di contestare le sole gravi irregolarità connesse con la vicenda della proroga dei contratti a termine dei dirigenti, l’articolo 11 comma 6 dello Statuto non prevede che il rettore debba ricevere dal CdA un mandato che individui previamente l’oggetto della contestazione». (p. 20)
«Le considerazioni sopra esposte inducono ad escludere la ricorrenza del fumus boni iuris rispetto alla dedotta illegittimità, sotto il profilo del rispetto delle garanzie procedimentali, della delibera di revoca dell’incarico di direttore generale» (p. 20)
«Le considerazioni espresse appaiono sufficienti a far ritenere, pur nella sommarietà che connota tale fase, la parvenza del buon diritto in capo al ricorrente e ad escludere la ricorrenza dei presupposti voluti dallo Statuto e dal contratto per la revoca dell’incarico» (p. 25)
«Reputa il Tribunale che il ricorrente abbia fornito elementi concreti da cui desumere sia l’allegata impossibilità di conservare integro il bagaglio professionale acquisito e la perdita di chance di carriera e di potenzialità occupazionali, sia, e soprattutto, la lesione della propria immagine professionale» (26) E qui il giudice sembra chiaramente riferirsi alla parte del ricorso nel quale il ricorrente lamenta «un serio impoverimento del suo bagaglio professionale impedendone l’ulteriore sviluppo e impedendogli di iscriversi nell’elenco degli idonei alla nomina di direttore generale o di direttore amministrativo delle aziende del servizio sanitario della regione Sicilia» (p. 12).
Si tratta, come si vede, di una sentenza circoscritta, della quale lo stesso giudice evidenzia per ben quattro volte la natura ancora «sommaria» (pp. 17, 24 e 25 [due ricorrenze]). L’aggettivo giustamente usato dal Rettore Pignataro in una sua mail del 28.11.2014 -«fantasioso»- va dunque attribuito non soltanto ad alcune interpretazioni giornalistiche della sentenza ma pure alle tesi di qualche amico del Dott. Lucio Maggio. Si tratta di interpretazioni anche provocatorie. Aggettivo, quest’ultimo, che va inteso sotto la fattispecie della figura retorica dell’eufemismo. A chi fosse interessato sono pronto a inviare il testo completo della sentenza.
Piergiorgio Branzi – Keeri Matilda Koutaniemi – Irina Litvinenko
Cucine del Monastero dei Benedettini – Catania
Sino al 31 ottobre 2014 (apertura ore 17-19)
Tre sguardi diversi sul mondo, sugli umani, sul tempo.
Piergiorgio Branzi fotografa la storia nell’Italia e nell’Europa degli anni Cinquanta. E la trasforma nell’Italia del Cinquecento. Non nei contenuti, naturalmente, ma nell’ordine assoluto della composizione. Gli occhi, il corpo, la postura di una bambina davanti a un bancone con due uova e con accanto una bilancia richiamano la figura del matematico Luca Pacioli dipinto nel 1495 da Jacopo de Barbari. I ritratti -che siano immobili o in divenire- e i luoghi -che siano abitati o vuoti- splendono della geometria dei Maestri che inventarono in Italia la pittura.
Keeri Matilda Koutaniemi fa della fotografia la narrazione di un evento drammatico: la mutilazione genitale di due ragazzine in un villaggio del Kenya. Narra la preparazione, la violenza, il dolore, il pianto, la profonda malinconia degli occhi di queste donne, torturate dalle madri, dalle zie e dalle nonne, come loro stesse lo furono dalle proprie antenate.
Irina Litvinenko fa della fotografia un’ironica astrazione dei corpi di modelli e modelle la cui leggiadria è un totale artificio. Non c’è infatti nulla di naturale in due uomini che al posto della barba hanno dei fiori, nulla di naturale nelle modelle avvolte nel velo o nella plastica che fanno di loro delle sculture e che le trasformano nelle divertite icone della moda contemporanea.
Questa mostra organizzata nell’ambito del Med Photo Fest 2014 riassume storia, narrazione e astrazione: tre delle categorie universali dell’arte fotografica.