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Banda & Jazz

Giacomo Tantillo & The Zisas: Bandistikamente
Castelbuono – 21 agosto 2024

Giacomo Tantillo, palermitano, è uno dei maggiori e più innovativi jazzisti italiani. Ho avuto la fortuna di ascoltarlo, insieme all’ensemble The Zisas e alla voce di Eleonora Tomasino, nella piazza del Castello di Castelbuono lo scorso mese di agosto. I brani composti da Tantillo o da lui rivisitati costituiscono un riuscito tentativo di coniugare la tradizione bandistica italiana e siciliana con i ritmi del jazz.
Chi c’era è stato dunque coinvolto nella festa di una banda felice e nella malinconia di una banda quasi funebre, ha ascoltato i suoni sincopati o distesi della solista. Tutti fondati e amalgamati con la tromba di Tantillo, squillante inno alla vitalità del sangue vivo, della storia accolta, della memoria conservata, della gioia di fare musica insieme, di dare a ogni strumento la libertà di improvvisare (dinamica nel jazz fondamentale), sempre all’interno però di un progetto sonoro, espressivo e culturale condiviso e comune.
Il problema dell’ascolto di molta musica jazz (anche se naturalmente non soltanto di essa) è che qualunque registrazione non può, davvero non può, restituire la vibrazione, la potenza, il divertimento dell’esecuzione dal vivo, dell’esecuzione vera. Mi limito quindi a proporre due video e una registrazione su Spotify. Il primo video è il brano Ligonziana, eseguito con la stessa formazione che ha suonato a Castelbuono. Il secondo è L’Orientale, cantato per le strade con una banda. Il file audio è Zingarella, un classico del repertorio bandistico che durante il concerto di Castelbuono ha prodotto l’intenso coinvolgimento che questa musica sempre sa creare.

Castelbuono

Intanto partendo dalla zona etnea ci si arriva attraversando i magnifici, freschi, silenziosi boschi dei Monti Nebrodi. Dopo Cesarò (arroccata su uno sperone di roccia che al di là del Simeto guarda tutta la magnificenza dell’Etna) e prima di Sant’Agata di Militello c’è solo San Fratello (arroccato anch’esso tra i monti e il mare). Nel mezzo faggi, querce, lecci, roverelle e altri alberi, il respiro della Terra. Nel mezzo cavalli, piccoli maiali neri, mandrie di mucche, greggi di pecore e capre. Nel mezzo la nebbia anche ad agosto, la pioggia, la frescura.
Poi l’autostrada da Sant’Agata sino a Castelbuono. Dove le case e le strade sono circondate da montagne, alture, boschi che si vedono, intravedono e ammirano da ogni punto del paese. Dove l’intrico delle stradine medioevali scandisce un’armonia fatta di pietre, di scalinate e di una toponomastica nella quale una stradina a gradoni, ricolma di belle piante, è intitolata a «Giovanni III di Ventimiglia, I Principe di Castelbuono (1550-1619)».
Fu infatti la famiglia dei Ventimiglia, originaria della Liguria, a fortificare questo luogo con un Castello che al paese dà non soltanto il nome ma anche l’identità e la bellezza. L’esterno è di una semplicità che ben si coniuga alla potenza. L’interno è sede del Museo Civico, articolato nelle sezioni di archeologia medioevale, urbanistica (attualmente chiusa), arte sacra, arte moderna e contemporanea e l’assai bella Cappella Palatina, decorata in ogni angolo dagli stucchi di Giuseppe e Giacomo Serpotta.
A breve distanza dal Castello si trova la Matrice Vecchia, un vero e proprio museo d’arte sacra dentro il quale si rincorrono affreschi medioevali alle colonne, il fastoso Polittico rinascimentale dell’Altare Maggiore e una cripta interamente decorata da affreschi che narrano la Passione.
Tra le altre (tante) chiese, due sono di particolare rilievo: la prima è San Francesco d’Assisi, che ospita il mausoleo e le tombe dei Ventimiglia e un bel chiostro dove meditare; la seconda è dedicata alla Madonna dell’Itria, un edificio in non ottime condizioni e il cui ingresso è in parte occupato e nascosto dai tavolini di un bar ma che ha un altare dedicato alla Vergine Odigitria, una singolare madonna viaggiatrice.
Tutto a Castelbuono ruota sull’asse che collega il Castello a Piazza Margherita ed entrambi gli spazi alle altre strade che da qui si dipanano e che questi luoghi intersecano. Nelle vie del centro storico tutto è pulitissimo, nessuna cartaccia a terra, nessuna sporcizia. Una rarità per la Sicilia.
Gli abitanti di questo luogo sono particolarmente gentili. Che discendano dai contadini, dai campieri, dai mercanti, dagli artisti e forse anche dai signori, l’impressione è che sappiano di non essere lì per caso, di avere un’identità che affonda nel tempo. Condizione essenziale per essere abitatori di una città e non soltanto gli occupanti delle sue case, condizione essenziale per essere degli umani radicati in un territorio e non i sudditi dello sradicamento (Bodenlosigkeit) e della devastazione (Verwüstung), pericolo dal quale i Taccuini neri (Schwarze Hefte) di Heidegger mettono con saggezza in guardia.

 

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