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I fisici

Friedrich Dürrenmatt
I Fisici
(Die Physiker, 1962-1985)
A cura di Aloisio Rendi
Einaudi, 1988
Pagine 87

Insieme alle matematiche la fisica è espressione di un supremo ordine nelle scienze e nel mondo. E tuttavia l’esistenza è anche e soprattutto una forma di disordine, come la termodinamica (che è parte della fisica) efficacemente mostra. Tale ambiguità interna al mondo e dunque anche alla fisica appare manifesta nella vicenda di tre fisici pazzi chiusi in un manicomio di lusso, dei quali due si credono rispettivamente Newton e Einstein e il terzo dichiara di ricevere le sue formule, conoscenze e leggi dal Re Salomone che sempre gli appare.
Si chiama Möbius, quest’ultimo, e le carte che Salomone gli ispira costituiscono la soluzione nuova e del tutto sconvolgente della teoria del campo come teoria unitaria delle particelle elementari, della legge di gravitazione, del sistema di tutte le invenzioni possibili. I tre fisici uccidono, strangolandole, le infermiere che li hanno in cura. Durante il serrato dialogo che accompagna una cena emergono in realtà le ragioni di questi assassini, il cui «scopo è il progresso della fisica» (p. 68). Nessuno di loro sembra quindi realmente folle. Ai due colleghi che si trovano in quel luogo perché hanno il compito di carpire i segreti di Möbius, quest’ultimo dichiara che ha dovuto fingersi pazzo per evitare che le sue scoperte e teorie offrissero all’umanità, agli Stati, ai governi una potenza distruttiva senza pari. «La nostra scienza», infatti, «è divenuta terribile, la nostra ricerca pericolosa, le nostre scoperte, letali. […] Solo nel manicomio siamo ancora liberi. Solo nel manicomio ci è ancora permesso di pensare. In libertà, i nostri pensieri sono dinamite» (70). Finta è dunque questa follia? Forse. Ma la direttrice del manicomio, la dottoressa Mathilde von Zahnd – una vergine gobba -, appare più folle di loro e si appropria delle conoscenze di Möbius, credendo forse davvero che gliele abbia rivelate il Re Salomone.
Questo vortice di razionalità paradossale e di ordinata follia è sotto il segno del grottesco e del caso ma la sua scrittura da parte di Dürrenmatt è motivata nel sedicesimo dei «21 punti su ‘I fisici’», il quale recita: «Il contenuto della fisica riguarda solo i fisici, i suoi effetti riguardano tutti» (83). Effetti che nascono dalla follia non dei fisici ma del mondo. È infatti «nel paradosso [che] si rivela la realtà» (punto 19, p. 84).
Ancora una volta scintillante e tragico, Dürrenmatt.

Evoluzionismo, un paradigma

Lunedì 12 febbraio 2024 alle 15.30 in occasione del Darwin Day terrò una relazione dal titolo Evoluzionismo, un paradigma. La sede è l’Orto Botanico dell’Università di Catania. L’evento è organizzato dal Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali e da quello di Scienze umanistiche.
Il titolo della mia relazione si riferisce al concetto epistemologico di paradigma come è stato proposto da Thomas Kuhn nel suo La struttura delle rivoluzioni scientifiche.
Nel 1970 il premio Nobel Jacques Monod affermava che all’origine di alcuni errori e insufficienze della teoria darwiniana «vi è naturalmente l’illusione antropocentrica. […] La teoria dell’evoluzione, lungi in un primo tempo dal dissipare l’illusione, sembrava anzi conferirle una nuova realtà facendo dell’uomo non più il centro, ma l’erede da sempre atteso, naturale, dell’intero universo. Dio poteva morire, sostituito da questo nuovo e grandioso miraggio. […] Si dovette giungere alla seconda metà del Novecento perché svanisse il nuovo miraggio antropocentrico innestato sulla teoria dell’evoluzione» (Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mondadori 2022, pp. 44 e 45).
Nel XX secolo sono state elaborate ipotesi evoluzionistiche anche molto diverse rispetto a quelle classiche. La più nota e una delle più recenti è quella degli ‘equilibri punteggiati’ (punctuated equilibrium) di Gould e Eldredge, la quale presuppone una fissità di fondo delle specie interrotta da rapide mutazioni (‘rapide’ sempre in una prospettiva geologica).
Ma già Darwin, che non era affatto dogmatico, aveva rivisto la sua originaria teoria, ridimensionando la funzione della selezione naturale e del caso nella trasformazione dei viventi. Ancora Monod distingue il caso come viene inteso «nel gioco dei dadi o della roulette» dalle «’coincidenze assolute’, che risultano dall’intersezione di due sequenze causali totalmente indipendenti l’una dall’altra» (Il caso e la necessità, pp. 111-112).
Come  regolarmente accade (si pensi al dogmatismo degli aristotelici, ben diverso dalla curiosità critica e sempre aperta di Aristotele), i successori si trasformano spesso in discepoli, caratterizzati da una chiusura epistemologica che l’iniziatore della scuola avrebbe certamente respinto.
Una mia analisi del paradigma evoluzionistico si trova anche in un recente saggio dal titolo Evoluzionismo e cosmologia, pubblicato sul numero 14 (dicembre 2023) de Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee.

 

 

 

Samarcanda

11 minuti
(11 minut)
di Jerzy Skolimowski
Polonia – Irlanda, 2015
Con: Paulina Chapko (Anna Hellman), Richard Dormer (Richard Martin), Wojciech Mecwaldowski (Il marito di Anna)
Trailer del film

Alcuni personaggi e le loro vite dalle ore 17.00 alle 17.11 di un giorno qualsiasi, in una grande città. Esistenze, caratteri, professioni, obiettivi molto diversi tra di loro. Persone tutte con le loro passioni, timori, rassegnazioni, incertezze e fermezze. Persone che si sfiorano, alcune delle quali si conoscono, altre ancora non si incontreranno mai se non alle 17.11 nei pressi di un albergo. In questi pochi minuti sul cielo della città compare un aereo a bassa quota e un qualcosa che i personaggi indicano ma che non si vede se non, forse, come una piccola macchia su un monitor di sorveglianza. Macchia che però può anche essere, come dice un vigilante «la cacca di una mosca». Oppure è un simbolo del caso e della necessità intrecciate? Come si vede, il film è molto ambizioso ma rischia di risultare anche pretenzioso. Suo merito è la cura di ogni particolare, in modo da giustificare la dilatazione del tempo vissuto -11 minuti, appunto- nel tempo della narrazione e degli incroci casuali e necessari dei quali il racconto è costituito. Un esercizio di stile che vorrebbe diventare anche una meditazione filosofica, senza però la chiarezza e la forza che ogni teoresi deve possedere.
11 minuti mi ha in ogni caso ricordato la leggenda di Samarcanda: un uomo di Isfahan che non voleva morire vide una sera la morte che lo aspettava sulla soglia di casa. L’uomo non la lasciò parlare e, terrorizzato, cavalcò due giorni e tre notti in direzione di Samarcanda. Qui, sicuro di aver allontanato ancora per molto la morte, entrò in una camera d’albergo dove tuttavia la trovò tranquillamente seduta ad aspettarlo. Ed essa gli rivolse queste parole: “Sono felice che tu sia arrivato e in tempo, temevo che ci perdessimo, che tu andassi da un’altra parte o che tu arrivassi in ritardo. A Isfahan non mi lasciasti parlare. Ero venuta per avvisarti che ti davo appuntamento all’alba del terzo giorno nella camera di quest’albergo, qui a Samarcanda”.

[Photo by DAVIDCOHEN on Unsplash]

Caso e Necessità

«Ecuba infelicissima dov’è?»1 chiede un’ancella che alla regina deve dare l’ennesima notizia di sciagura. Andata a raccogliere acqua per detergere il cadavere di Polissena, sgozzata dagli Achei sulla tomba di Achille, l’ancella ha trovato sulla spiaggia i resti di Polidoro, il più giovane dei figli di Ecuba, affidato al re dei Traci, amico dei Troiani, e da questi ucciso alla notizia che Ilio era caduta. L’unica soddisfazione di Ecuba è la vendetta contro Polimestore, che l’ha tradita uccidendole il figlio e rubandole l’oro. Al traditore Ecuba uccide i figli e toglie gli occhi, e poi proclama -antica- «E non dovrei godere di punirti?» (414).
L’onda del mare che purifica, l’onda del mare che porta altri morti, è la metafora dell’incessante distruzione che segna la vita umana e la sua storia. In questa tragedia «i morti si accumulano, ritornano in forma di fantasmi e di cadaveri, cadono con la bellezza delle statue a riempire un mondo senza dèi, a sostituirne i simulacri, a dare figura all’estrema logica del dominio, della repressione e della ribellione» (Anna Beltrametti, p. 376).
La vicenda comincia infatti con uno spettro, con Polidoro che appare in sogno alla madre sopra la tenda di Agamennone e dice: Ἥκω νεκρῶν κευθμῶνα καὶ σκότου πύλας / λιπών, ἵν᾽ Ἅιδης χωρὶς ᾤκισται θεῶν», ‘Vengo da porte d’ombra, dai recessi dei morti, dove l’Ade ha la sua reggia remota’ (vv. 1-2, p. 379). Al flusso di notizie su notizie, di distruzioni sopra distruzioni, del sacrificio di Polissena mentre Troia decade e si inabissa, Ecuba dichiara, sussurra, grida: «έθνηκ᾽ ἔγωγε πρὶν θανεῖν κακῶν ὕπο», ‘io sono morta prima di morire’ (v. 431; p. 391). Mentre Ilio brucia e le sue donne sono destinate alla servitù tra i Greci, il Coro apre la vicenda agli spazi naturali e politici: «λιποῦσ᾽ Ἀσίαν, / Εὐρώπας θεραπνᾶν ἀλλά- / ξασ᾽ Ἅιδα θαλάμους», ‘Non più l’Asia per me: / in cambio c’è l’Europa, / il regno dei morti’, la terra dell’occaso (vv. 481-483; p. 392). Il morire degli umani è trasformato in elemento cosmico, geografico, assoluto.
Di fronte a simile sciagura, persino Taltibio -araldo acheo- si chiede «ὦ Ζεῦ, τί λέξω; πότερά σ᾽ ἀνθρώπους ὁρᾶν; / ἢ δόξαν ἄλλως τήνδε κεκτῆσθαι μάτην, / ψευδῆ, δοκοῦντας δαιμόνων εἶναι γένος / τύχην δὲ πάντα τἀν βροτοῖς ἐπισκοπεῖν;», ‘Zeus, devo dire che li vedi, gli uomini, o piuttosto che questa è una leggenda e che chi veglia sui mortali è il caso?’ (vv. 488-491; pp. 392-393).
Tύχη, il Caso, è l’altro nome di Ἀνάγκη, la Necessità. Questa duplice potenza domina sia il nostro universo -Kόσμος- sia l’intero  -τὸ πάν-  del quale il nostro ordine è una parte. La vicenda di Ilio si mostra ancora una volta metafisica.

1. Euripide, Ecuba (Ἑκάβη), in «Le tragedie», trad. di Filippo Maria Pontani, Einaudi 2002, p. 396.

Hereafter

di Clint Eastwood
Usa, 2010
Soggetto e sceneggiatura di Peter Morgan
Con: Matt Damon (George Lonegan), Cécile de France (Marie Lelay), Frankie McLaren (Marcus), George McLaren (Jason)
Trailer del film

All’improvviso può accadere che, mentre va a prendere qualcosa in farmacia per la madre, Jason -11 anni circa- venga investito da un furgone su una strada di Londra e lasci nella più completa desolazione il fratello gemello Marcus. All’improvviso può accadere che, mentre si trova in vacanza, Marie -un’affermatissima giornalista televisiva francese- venga travolta dallo tsunami che ha colpito l’Indonesia nel dicembre del 2004. L’acqua la circonda, la sovrasta, entra in lei. Con uno sforzo istintivo e assoluto, Marie riesce a risalire in superficie ma la carcassa di un’automobile la colpisce e torna a fondo. Diventa una delle migliaia di vittime, che i soccorritori tentano invano di rianimare. Un singulto però la scuote, l’acqua esce dai polmoni. È viva, torna a vivere. In quell’intervallo -secondi, minuti?- è rimasta sospesa e ha visto.
Ha visto ombre sullo sfondo di una luce abbagliante ma serena, ha visto qualcosa che non sta in un luogo, in un tempo, qualcosa che esiste Hereafter. Incapace di tornare al suo normale lavoro, Marie scrive un libro sulla condizione di quanti si vengono a trovare tra la vita e la morte. È invitata a presentare il suo libro a Londra e in questa occasione incontra George Lonegan, un sensitivo di San Francisco che sentendosi schiacciato dal peso del suo dono – «dono? In realtà la mia è una condanna»- ha rinunciato a ogni guadagno e fa l’operaio precario. Anche Marcus incontra Lonegan, al quale chiede di metterlo in contatto col fratello.

Il film è un azzardo non riuscito poiché l’argomento è ai limiti del dicibile ma soprattutto è ai limiti del rappresentabile. Eastwood cerca di adottare una tonalità sobria; le raffigurazioni dell’oltre sono le stesse che da sempre le testimonianze dei quasi morti presentano: un candore abbagliante ma sereno dentro il quale si muovono ologrammi somiglianti a dei corpi. La soluzione narrativa dalle tre storie che procedono parallele e alle fine si incontrano rende il film scorrevole ma anche assai prevedibile. La maggiore perplessità riguarda naturalmente il tema stesso, l’ipotesi del tutto improbabile -per non dire impossibile- di un qualche contatto reale tra gli umani che sono viventi e coloro che viventi sono stati. La materia è eterna ma non lo sono i suoi aggregati, tanto meno quelli consapevoli di sé e dunque estremamente complessi. Complessità che una volta dissolta non può ricomporsi. Lo vietano le leggi dell’entropia e della fisica. Per quello che ne sappiamo, certo, ma è a partire da ciò che sappiamo che possiamo parlare. In realtà, questo è un territorio nel quale sguazzano quei ciarlatani e truffatori che alcune scene del film mettono alla berlina. Senza che però tale consapevolezza impedisca a Hereafter di cadere in un deludente e banale clima New Age.

[Una versione più ampia di questa recensione si può leggere sul numero 8 – Febbraio 2011 del mensile Vita pensata]

Accident

di Soi Cheang
(Yi ngoy)
Hong Kong / Cina 2009
Con: Louis Koo, Richie Jen, Feng Tsui Fan, Michelle Ye

 

Le strade di Hong Kong sono sempre trafficatissime e gli scontri automobilistici risultano inevitabili. Trasformare dunque degli omicidi in incidenti significa compiere il delitto perfetto. È questa l’attività di un killer e dei suoi collaboratori, coi quali organizza incidenti apparentemente del tutto casuali ma progettati sino al centimetro e realizzati con la precisione dei secondi. Fino a quando lui stesso rischia di essere vittima di un bus impazzito, proprio nel giorno in cui dei ladri gli entrano in casa. «Non può essere un incidente». L’uomo si sente tradito, braccato, e organizza una vendetta. Ma il caso è l’altro nome della necessità.
Pensato forse anche come omaggio a Cronenberg, il film è elegante e geometrico. Nel finale intesse in una sola congiuntura il tempo climatico e quello degli orologi, forme dello spazio e della temporalità. Freddo e implacabile al modo delle antiche tragedie.

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