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Il tempo, il marmo

Rivoluzione Augusto. L’imperatore che riscrisse il tempo e la città
Palazzo Massimo – Roma
A cura di Rita Paris con Silvia Bruni e Miria Roghi
Sino al 2  giugno 2015

Per Carl Schmitt «sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione» («Souverän ist, wer über den Ausnahmezustand entscheidet», trad. it. in Teologia politica, «Le categorie del ‘politico’», a cura di G. Miglio e P. Schiera, il Mulino 1972, p. 34), vale a dire chi stabilisce la sospensione del tempo ‘normale’ e l’ingresso in un tempo d’emergenza, nel quale le regole vengono sospese e il potere può agire facendo a meno di esse.
Più in generale, il potere è potere sul tempo, è potere di stabilire i modi e il significato del tempo, che sia ciclico, lineare, nostalgico, escatologico, assoluto. È anche per questo che «il tempo sociale è una delle forme più chiare e potenti della struttura simbolica dei gruppi umani, i quali via via che diventano sempre più estesi, interrelati e complessi hanno bisogno di una autocostrizione in vista della migliore regolazione delle esistenze individuali, subordinate alla più vasta struttura sociale. Il tempo sociale è quindi un mezzo di orientamento, al modo di una mappa o di una bussola, un meccanismo regolativo di alto livello e capace di esercitare su chi lo adotta una costrizione talmente forte da sconfinare quasi in un dato naturale. Esso rappresenta una delle più profonde espressioni della necessità umana di orientarsi nel mondo tramite una foresta di segni che siano in grado di salvaguardare l’esistenza individuale e collettiva. Quanto più i gruppi e le società diventano complessi e spersonalizzanti, tanto più i loro membri integrano i dati simbolici trasformandoli in strutture ovvie, naturali, astoriche. Il tempo è una delle più evidenti testimonianze, insieme al linguaggio, di questa naturalizzazione dei segni culturali» (La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci 2009, p. 166). Questa realtà politica e simbolica ha prodotto la lunga vicenda dei calendari che le diverse civiltà si sono dati, «calendari e misurazioni molto diverse tra di loro ma tutte rivolte a coniugare bisogni sociali e schemi antropologici con il moto della luna e del Sole» (Temporalità e Differenza, Olschki 2013, p. 16).
Un’affascinante conferma della consustanzialità di tempo e potere è data dalla mostra dedicata ai modi in cui i Romani antichi scandivano il tempo collettivo e alle trasformazioni apportate al calendario da Cesare Ottaviano Augusto.
Augusto interpretava la propria opera come un servizio all’antica Repubblica ma venne acclamato per 21 volte Imperator e volle mutare alla radice la struttura spaziotemporale della sua città, volle reinventare il tempo pubblico, collettivo, religioso. Le sue modifiche furono volte soprattutto a coniugare natura e società, introducendo accanto ai giorni dedicati agli dèi quelli consacrati agli umani che in qualche modo si fossero resi degni degli dèi. Onorare il principe divenne come onorare la divinità. È quanto testimoniano qui le splendide opere in marmo che raffigurano il Tempio di Quirino, i segni zodiacali, la Rilievo con triade apollineatriade apollinea. Fasti chiamavano i romani i loro calendari, poiché in essi era fondamentale l’indicazione dei giorni nei quali si potevano svolgere le attività amministrativo-politiche. Tra i più accurati che ci siano rimasti i Fasti Praenestini, redatti fra il 3 e il 9 d.C.
Nella cartella stampa della mostra si legge: «Quando cambia un calendario nella città mutano l’organizzazione e l’ordine del tempo, determinando un nuovo modo di pensare e di vivere, accanto alla topografia delle emergenze monumentali, la topografia cronologica della città» (p. 5). Sovrano è chi decide sullo statuto del Tempo.

La II guerra di Libia

Sulla propria pagina di Facebook Giusy Randazzo ha pubblicato una riflessione che condivido pienamente:
«…La brutalità di Gheddafi deve essere fermata. L’attacco è necessario per difendere i civili… Lo dicono i buoni che agiscono con sottomarini e navi che sparano fiori. Il portavoce del governo libico sostiene che il regime ha accettato la Risoluzione del ’73 e ha rispettato il cessate il fuoco ma le nazioni unite e la società internazionale anziché inviare degli osservatori per verificare i fatti hanno cominciato ad attaccare il paese con grave danno anche per la popolazione civile. Sicuramente mente. Ci conviene pensarlo.
Comunque –tranquilli- sb ha detto che noi non abbiamo nulla da temere perché la Libia non possiede armamenti in grado di raggiungere l’Italia. A Lockerbie infatti Gheddafi, non avendo missili, aveva lanciato un aereo di linea esploso in volo grazie alle bombe piazzate dal dittatore (1988- 270 morti). Lo stesso dittatore a cui l’anno scorso sb aveva baciato le mani, dichiarando amicizia e alleanza».
Un secondo testo assai lucido che invito a leggere è di Massimo Fini, il quale ha proposto insieme ad altri una petizione contro questo ennesimo, ipocrita e pericolosissimo vulnus inferto al diritto internazionale e alla pace, per ragioni ancora una volta economiche e colonialiste.
La Germania dà una lezione di autonomia dal potere anglosassone (il vero male della contemporaneità, come Carl Schmitt ha dimostrato) rifiutandosi di esser complice di un’impresa che il suo ministro degli esteri Westerwelle ha giustamente definito «avventurista». L’Italia dà invece ancora una volta prova della propria viltà e subordinazione all’imperialismo statunitense e ai suoi interessi, calpestando l’articolo 11 della Costituzione -«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Gli italiani confermano la loro stoltezza, applaudendo quasi tutti -Pdl e Pd a braccetto- a un vero e proprio suicidio politico e diplomatico. Non è da escludere che qualche missile libico arrivi in Sicilia, la prima terra europea a portata di mano di Gheddafi, l’uomo che lo scorso anno Berlusconi ha ospitato trattandolo da re e al quale, come ricordato da GR, ha persino baciato le mani. Almeno questo Giolitti -nella I guerra di Libia- non lo aveva fatto.

[Aggiungo -26 marzo 2011- il pdf, inviatomi da Dario Sammartino, di una pagina dedicata alla I guerra di Libia da Carlo Fruttero e Massimo Gramellini nel loro libro La Patria, bene o male, Mondadori 2010, pp. 119-120. Invito i lettori a cogliere le analogie con gli eventi accaduti un secolo fa].

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