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Eurofollie

Una conferma della natura criminale dell’Unione Europea è che ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora legittimo, richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per distruggere in tal modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Cittadini che sembrano per la più parte passivi, rinchiusi nella loro bolla televisiva, tanto che a volte ho il cattivo pensiero che non mi dispiacerebbe vedere andare a morire in Ucraina i figli degli italiani, dei tedeschi, dei francesi, dei danesi e degli altri che hanno affidato le loro esistenze a un ceto politico così sciocco e così folle come quello che pensa seriamente che la Russia voglia invadere l’Europa e che ha fiducia nel governo di Ursula von der Leyen, personaggio che sta al di là di ogni giudizio, di ogni razionalità, di ogni decenza.
Il fatto è che i decisori politici liberali che governano l’Europa e la UE sono ormai affetti da una dissonanza cognitiva, da un distacco così inaudito dal reale, che se non verranno fermati condurranno il Continente all’autodistruzione.
Questi decisori politici pensano e agiscono secondo l’antico principio colonialista, con la convinzione di essere gli unici detentori della Civiltà, del Bene e della Verità. Una convinzione che ha condotto l’Europa al suo trionfo ma che ora la instrada verso la dissoluzione. Contro tale colonialismo va ribadito che gli altri popoli e le altre culture non hanno nessun dovere di conformarsi ai principi liberali e capitalistici, gli altri hanno le loro culture e i loro sistemi.
E invece siamo ormai alla psicopolitica. L’Europa tramonta nella follia. Una patologia che in Italia è stata di recente testimoniata da quanti hanno scoperto il patriottismo per continuare a danneggiare i cittadini, per ridurli alla miseria e alla morte. E che sono scesi in piazza per chiedere più armi, il che vuol dire meno servizi, meno sanità, meno scuola e formazione, meno trasporti. Si tratta di un evidente caso di masochismo collettivo. Un masochismo ben stimolato e guidato dai giornalisti in generale e in particolare da quelli del gruppo GEDI, come la Repubblica che è proprietà degli Elkann-Agnelli produttori di armi che intendono convertire le loro fabbriche di automobili in fabbriche appunto di armi.
A 110 anni dalle piazze che nel 1915 reclamarono e ottennero la sciagurata partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale tornano le piazze interventiste guidate da bolsi e ormai grotteschi personaggi del giornalismo, del cinema, della canzone (tutti con redditi consistenti). Piazze incoraggiate dal Partito Democratico e dai suoi satelliti politici e sindacali. Questo è il progressismo del PD, delle piazze asservite ai padroni «europeisti», dei buoni.
Dell’Unione Europea si può dire ciò che afferma Francesco Berni nel suo rifacimento dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo (canto LIII, ottava 60): «Così colui, del colpo non accorto, / andava combattendo, ed era morto».
La condizione affinché l’Europa continui a vivere è che l’Unione Europea e la NATO si dissolvano.

«Chi si fa verme»

E dunque la seconda presidenza Trump sta cancellando le finzioni con le quali la colonia Europa ha giustificato a se stessa la propria servitù agli Stati Uniti d’America.
Ora il dominio del padrone americano appare per come realmente è: brutale, colonialistico, violento. Merito di questo miliardario è aver sollevato il velo – «sfrondato gli allori», direbbe Ugo Foscolo – e posto davanti agli occhi degli europei la verità del dominio e della servitù.
I ciechi non vedono, sennò non sarebbero ciechi, e tuttavia è talmente palese il disprezzo degli USA verso i colonizzati europei da gettare nello sconcerto i ceti dirigenti delle nazioni prone e il corrotto governo  dell’Unione Europea guidato da Ursula von der Leyen. Non si aspettavano proprio di essere ricambiati con il soldo dell’umiliazione, dopo aver fatto in tutto e per tutto gli interessi degli USA, distruggendo l’Europa in una guerra per procura contro la Federazione Russa e persino accettando il sabotaggio del gasdotto NordStream2 che riforniva di gas russo Germania ed Europa a costi molto vantaggiosi.
La psicologia collettiva e la filosofia della storia ci insegnano da sempre che un padrone può ben avvalersi dell’opera dei servi ma naturalmente non li rispetterà mai, proprio perché sono servi.
Tra i Paesi europei l’Italia è particolarmente disprezzata. Nel maggio del 2022 ponevo infatti «una semplice domanda: che cosa ha fatto la Federazione Russa all’Italia? In quali circostanze, modi, azioni ha aggredito il territorio italiano o le sue rappresentanze, ha tradito gli accordi commerciali o politici, ha leso i diritti dei cittadini italiani?»
La risposta è: niente, la Russia non ha fatto niente all’Italia nella sua storia recente. E tuttavia, pur senza aver subìto dalla Russia il minimo affronto o pericolo, l’Italia ha contribuito e sta contribuendo in modo massiccio – militarmente, finanziariamente, politicamente – alla guerra degli USA e della NATO contro la Russia. E questo anche a costo di sottrarre risorse finanziarie (soldi) alla sanità, alla scuola, all’università, ai trasporti. Lo fa il governo Meloni e lo fanno con altrettanto zelo le cosiddette ‘opposizioni’ guidate da quella entità penosa che è il Partito Democratico.
Perché accade? Perché, come spesso nella sua storia, l’Italia e i suoi governi sia di ‘destra’ sia di ‘sinistra’ sono senza onore, il che vuol dire che non fanno gli interessi degli italiani ma quelli dei padroni che guidano tali governi, ridotti a colonie.
«Wer sich aber zum Wurm macht, kann nachher nicht klagen, daß er mit Füßen getreten wird.
Ma chi si fa verme, non può poi lamentarsi d’essere calpestato»
(Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten – La Metafisica dei costumi [1797], trad. e note di G. Vidari, Laterza, Bari 1973, parte II, I sezione, II capitolo, p. 297).
A proposito di metafore e similitudini etologiche, ha ragione Alberto Capece quando scrive che «la povera Europa strilla e corre senza meta come un gallina senza testa»…
Dolorosa e sostanziale testimonianza di tutto questo è infatti che la stessa struttura politica – l’Unione Europea e le sue articolazioni finanziarie – la quale con Draghi e con von der Leyen aveva per anni escluso categoricamente che si potesse deviare dal cosiddetto «patto di stabilità» per fornire ai cittadini europei i servizi sanitari, scolastico-universitari, pensionistici, dichiara ora che tale ‘patto’ può e deve essere sospeso per riempire l’Europa di armi. Ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per dissipare in questo modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Qui si mostra la reale natura del liberismo e del capitalismo, una natura che è sempre guerrafondaia, sempre distruttiva, sempre antisociale.
E ancora una volta trova conferma la tesi che soltanto dalla dissoluzione dell’Unione Europea potrà forse rinascere la civiltà europea, ora in mano a un ceto dirigente globalista e delirante, un’Europa che mai era stata così politicamente umiliata.

Renato Curcio

La sociologia del digitale di Renato Curcio
in Dialoghi Mediterranei
n. 71, gennaio-febbraio 2025
pagine 33-41

Indice
Capitalismo e spettacolo
-Sulle analisi sociologiche di Renato Curcio
-Il web come valorizzazione del capitale
-Sovraimplicazioni

Dopo una premessa dedicata alla fecondità dei principi marxiani, opportunamente ripresi, per comprendere la società del digitale, ho cercato di delineare alcuni dei dispositivi concettuali – sia sociologici sia teoretici – con i quali da molti anni Renato Curcio conduce un’indagine plausibile, argomentata e disvelatrice sulle tecnologie digitali e sul virtuale.
Il più recente di questi strumenti analitici è il concetto di sovraimplicazione, con il quale Curcio indica l’interferenza, il condizionamento, l’intrusione nell’esistenza quotidiana che le tecnologie predisposte dal capitalismo cibernetico inventano, saggiano, implementano e diffondono nella vita quotidiana di miliardi di umani nel XXI secolo. Si tratta di un’ulteriore manifestazione della colonizzazione dell’immaginario che è diventata colonizzazione del tempo-vita da parte dei dispositivi digitali, i quali costituiscono naturalmente dei formidabili strumenti dell’accumulazione finanziaria e del dominio politico.
La colonizzazione dell’immaginario scandisce «un progresso tecnologico inesorabilmente avverso ad ogni anelito di progresso sociale»  confermando in questo modo l’ambiguità originaria di ogni progressismo, che sin dal XIX secolo ha accomunato padroni e lavoratori nell’illusione di un avvenire inevitabilmente migliore di ogni passato.
Rispetto a ogni movimento collettivo e dinamica di emancipazione, la Rete, è «una macchina di solitudine estraniante», è un dispositivo di solitudine relazionale che dissolve i corpi sociali. La Rete è il fattore principe di quella «remotizzazione del lavoro» che è entrata a regime con l’epidemia Covid19 e tramite la quale «le aziende hanno fatto un triplo affare. Anzitutto hanno ridotto drasticamente le spese aziendali. In secondo luogo hanno visto accrescere la produttività […] E infine hanno frantumato ulteriormente la già quasi polverizzata compattezza dei lavoratori».
Strumento indispensabile per ottenere tale assenza di pensiero è la linguistica computazionale, la quale cerca di rimodellare e tradurre i linguaggi ordinari delle persone umane in linguaggi comprensibili e manipolabili dai software, in questo modo interferendo con i linguaggi e con i comportamenti che ne scaturiscono. Un esempio è il linguaggio politicamente corretto, definito da Curcio «l’ipocrisia istituzionalizzata», linguaggio che ha l’obiettivo di riprodurre l’esistente e rendere impossibile immaginare e organizzare «prospettive aperte, creative e istituenti».
Di fronte a tale potenza del capitalismo cibernetico non sono più sufficienti i paradigmi rivoluzionari del XIX e del XX secolo come non sono più effettive le modalità di sfruttamento del passato. Stiamo transitando dall’egemonia gramsciana alla «più ampia ibridazione cibernetica delle persone e delle loro pratiche entro sistemi di connessioni obbliganti». Quest’ultima espressione – ‘connessioni obbliganti’ – definisce con chiarezza le modalità quotidiane di vita alle quali Curcio fa nei suoi lavori costante riferimento e che ormai da molti anni illumina con singolare vividezza. E già con questo aiuta a rimanere liberi. 

Marcosebastiano Patanè su Ždanov

Marcosebastiano Patanè
Dissipatio e zdanovismo. In difesa dell’Europa
il Pequod
anno V, numero 10, dicembre 2024
pagine 18-27

Indice
1 Oicofobia e politicamente corretto
2 Diritti, astrazione, Capitale
3 Progressismo
4 Il «coro degli spiriti della vendetta»

«Il wokismo, il politicamente corretto e la cancel culture condividono con i totalitarismi del Novecento l’odio verso il passato e la volontà radicale di trasformazione dell’esistente nella forma di un’imposizione dall’alto da parte di un’élite illuminata che deve condurre le masse verso un mondo nuovo, un Brave New World. […] L’auspicio di Biuso è quello della nascita di un nuovo Nomos della Terra contro la globalizzazione anglosassone, contro i popoli eletti e le élites illuminate. […]
Spinoza, Heidegger, Nietzsche, Mazzarella, Schmitt, per nominarne alcuni tra i più rilevanti. Accanto a questi nomi troviamo anche diversi scrittori, Orwell, Huxley, e poi ancora sociologi, poeti e uomini politici. Un nome, però, rischia forse di sfuggire. Si tratta di Hieronymus Bosch. Il particolare scelto per la copertina del volume, infatti, appartiene a un celebre dipinto del misterioso maestro fiammingo, Il Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio, nello specifico un particolare del pannello centrale che vede nel mezzo della raffigurazione la figura di Sant’Antonio rivolta verso l’osservatore e tutt’intorno un’intricata, rizomatica, danza di figure ed eventi. […]
Gli spiriti della vendetta di Bosch sono anche il risultato che attende chi dimentica il passato, chi ignora la potenza del Bios, chi disconosce il dispositivo di identità e differenza che intride e governa l’Intero, chi ritiene che dall’alto del proprio potere tecnico possa divenire il padrone di un mondo rifondato a propria immagine e somiglianza stabilendone le regole e le origini».

Esperienze neocoloniali

Sabato 9 novembre 2024 alle 10.00 si svolgerà al Disum di Catania, con il patrocinio dell’ASFU, un seminario di studi dal titolo Guerre costituenti e nuovo ordine economico. Vi parteciperò con un intervento sulle esperienze neocoloniali del XXI secolo.
Colonialismi e imperialismi sono esperienze costanti della storia umana in molte zone ed epoche del pianeta. Alcuni esempi:
-il conflitto tra Atene e i Meli raccontato da Tucidide: «Chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede» (La guerra del Peloponneso, V, 89; p. 1321). «Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza» (V, 105; p. 1325).
-la lunga esperienza dell’Impero romano
-la spartizione dell’Africa tra le potenze europee nella Conferenza di Berlino del 1884
-l’impero britannico tra Otto e Novecento.
Una delle differenze tra le esperienze coloniali del passato e quelle del presente è naturalmente la dimensione globale che il neocolonialismo del XXI secolo tende ad avere. Il termine globalizzazione indica anche questa dinamica.
Uno degli elementi di continuità tra vecchi e nuovi colonialismi è invece la giustificazione etica che le forze colonialiste danno a se stesse in nome di una qualche morale: il diritto, la religione cristiana, la civiltà, la democrazia, l’accoglienza, l’inclusività e altri valori.

Beni comuni

I beni comuni oltre lo stato e il mercato
Aldous
, 25 settembre 2024
Pagine 1-2

In questo articolo ho cercato di mostrare come il concetto di proprietà dominante nella società e nell’economia occidentale contemporanea non sia affatto naturale ma sia ovviamente storico. In quanto tale ha delle alternative, delle quali anche la storia di molti popoli e civiltà conferma la plausibilità. I beni comuni sono infatti una delle alternative ben presenti nella storia economica. Essi hanno costituito per millenni la forma più diffusa di proprietà. Nella Roma repubblicana, ad esempio, e persino in quella imperiale, neppure il capo politico più autocratico poteva rendere la res communis una proprietà privata. E non poteva neppure vendere o acquistare le terre e i beni sacri, che erano moltissimi e appartenevano agli dèi.
Tra la cosa pubblica e la cosa privata si dà quindi la cosa comunitaria, i beni essenziali a una comunità strutturata, che nessuno può fare propri a esclusione degli altri ma che non possono neppure essere aperti a chiunque non appartenga a quella determinata comunità. Possono infatti esistere dei beni comuni soltanto là dove esistono delle comunità che si riconoscono come tali, in un perimetro fisico e concettuale ben preciso ma che può naturalmente restringersi o ampliarsi nei diversi contesti, anche nei più complessi come quelli che caratterizzano le società contemporanee. Ho poi collegato i beni comuni alla critica delle pratiche schiavistiche ben presenti nel nostro tempo e nel nostro mondo.

Biotecnologie

Biotecnologie e antropodecentrismo
in Tecnica e coesistenza. Prospettive antropologiche, fenomenologiche ed etiche
A cura di Lorenzo De Stefano
Quaderni di Mechane, volume n. 2
Mimesis, 2024
Pagine 149-156

Indice
-Etoantropologia
-Sperimentazione animale
-Biotecnologie

In questo saggio, frutto della relazione che presentai a un Convegno tenuto a Napoli nel settembre del 2021, ho cercato di delineare alcuni elementi essenziali dell’antropodecentrismo a partire dall’etoantropologia, vale a dire dalla piena continuità tra l’animale umano e gli altri animali. Su tale base perdono ogni legittimità e ogni significato scientifico e ontologico sia le vecchie pratiche di ‘sperimentazione animale’ come la vivisezione sia molte delle nuove biotecnologie, le quali non comprendono che ogni animale ha il proprio modo di stare al mondo, le proprie specificità etologiche, la propria struttura percettiva e situazione spaziotemporale. In una parola la propria Umwelt, lo spaziotempo che ogni vivente consapevole non si limita ad abitare ma lo spaziotempo che è. Tutti elementi che le biotecnologie cancellano imponendo alla vita animale e al singolo vivente strutture spaziali e ritmi temporali del tutto artificiali, estranei alla specificità etologica dell’individuo e della specie.
L’animalità è trasformazione, certo, è ibridazione, scambio, flusso ma tutto questo ha senso e conduce a risultati adattivi nei tempi lunghi dell’evoluzione. Non esiste invece trasformazione, ibridazione, flusso quando le trasformazioni genetiche vengono «mediate dalle tecnologie che sono state imposte agli animali in laboratorio praticamente da un giorno all’altro (secondo i parametri evoluzionistici)» (Zipporah Weisberg).
Chi, anche in ambito postumano se non addirittura animalista, guarda con favore le biotecnologie in quanto nemiche dell’essenzialismo – una vera ossessione per molto ambientalismo progressista – non sa quel che dice, non si rende conto che difendere l’essenza degli enti – sempre dinamica, certo, come tutto ciò che esiste – significa salvaguardare gli enti dalla manipolazione arbitraria e dalla distruzione interessata. Sempre Weisberg afferma giustamente che «i postumanisti tendono a romanticizzare il ruolo che la tecnologia ha nel ‘queerizzare’ e nel ‘trasgredire’ i confini tra umani, animali e tecnologie».
Le biotecnologie fondate sul mercato della vita sostengono che lo stare al mondo è una collazione di particolari; l’olismo fenomenologico ed etologico ritiene invece che ogni singola sensazione, dolorosa o piacevole che sia, ha senso e funzione soltanto all’interno di una complessiva struttura relazionale e adattiva, nella quale sono profondamente coniugati gli aspetti chimici, percettivi, neurologici.
In sintesi, le biotecnologie che riducono l’animalità a un’invenzione brevettabile costituiscono una pratica di sterminio e rappresentano il momento più basso delle relazioni tra l’animale umano e gli altri animali.
Le forze economiche del capitale e del suo feticcio per eccellenza – il mercato – non rinunciano mai da sole e spontaneamente al loro dominio. Se la situazione ecologica del mondo contemporaneo è questa, se «l’uomo non sa esistere se non attraverso il dominio», allora ha ragione Patricia Mac Cormack a stupirsi per «come gli ambientalisti possano ancora riprodursi, come i vegani possano ancora riprodursi e come gli ambientalisti possano non essere vegani» e a proporre una plausibile posizione estinzionista. Perché il punto sembra ormai questo: o noi o il pianeta vivente. Ma il pianeta può vivere senza l’umano, l’umano non può vivere senza il pianeta, nonostante la ὕβρις biotecnologica si illuda del contrario.
Forse è arrivato il momento per tutte le scienze di andare oltre il paradigma antropocentrico che accomuna creazionismi e tecnofilie, che coniuga religioni e scientismi, per volgersi verso un più ampio paradigma etoantropologico consapevole del limite delle risorse della Terra e della profonda relazione che tutti i suoi abitatori intrattengono tra di loro, come singoli, come società e come specie.

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