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Aspromonte

Aspromonte. La terra degli ultimi
di Mimmo Calopresti
Italia, 2019
Con: Marcello Fonte (Ciccio, il poeta), Francesco Colella (Peppe), Marco Leonardi (Cosimo), Valeria Bruni Tedeschi (Giulia, la maestra), Sergio Rubini (Don Totò)
Trailer del film

Nel 1951 il paese di Africo, in provincia di Reggio Calabria, era completamente isolato dalla pur non lontana Marina. Non aveva strade, non aveva medico, non aveva energia elettrica, non aveva acquedotto, non aveva scuole né maestre stabili. La miseria era analoga a quella descritta da antropologi e letterati per altri luoghi dell’Italia meridionale. Il film racconta l’arrivo di una nuova maestra che proviene dalla Lombardia, la richiesta alle autorità di governo di avere un medico, il tentativo da parte degli abitanti di costruire almeno una strada rurale che eviti di attraversare boschi e burroni per arrivare in pianura. Ma le autorità ingannano, un delinquente locale ricatta e comanda, la maestra fa quel che può. Sino a quando, e quasi contemporaneamente a un’alluvione che danneggia gravemente le misere abitazioni, i contadini e i pastori abbandonano il luogo e danno inizio quella vera e propria deportazione più o meno volontaria che ha impoverito l’Aspromonte e dato linfa alla ‘Ndrangheta calabrese.
Mimmo Calopresti è regista attento alle questioni sociali e qui si sente il forte legame con la propria terra, con una memoria familiare che l’abbandono ha trasformato in nostalgia e alienazione. ‘Alienazione’ proprio nel sento letterale di questa parola, una rinuncia a sé, alla propria identità storica, all’essere l’umano anche il luogo in cui è nato ed è cresciuto, il Dasein, l’esserci, come In-der-Welt-sein, l’essere nel mondo, che è anche e prima di tutto il proprio mondo d’origine. Un altro dispositivo heideggeriano aiuta a comprendere l’alienazione di chi è costretto a lasciare la propria terra a causa di una miseria irredimibile perché le autorità la rendono irredimibile: questo dispositivo è la Heimat, la dimora, la terra che ben si conosce, il luogo, un terreno, una casa, nel quale abitare con fiducia perché è parte di noi e noi siamo una sua espressione viva.
Gli umani non sono soltanto i citoyens che prospettive antropologiche e filosofiche astratte separano dall’essere noi tutti anche gli abitatori di un luogo determinato, di uno spazio di memoria non soltanto personale ma nel quale sono germinati i nostri genitori, i nostri avi, la nostra vicenda filogenetica e familiare. Uno degli elementi più distruttivi della globalizzazione/imperialismo è la riduzione degli umani a ‘cittadini del mondo’, a individui, clienti, risorse economiche e non, come invece siamo, a entità fatte di uno spaziotempo ben preciso e determinato. Tale riduzione comporta la dissoluzione della identità/differenza che ciascuno di noi è, sostituita da una melassa indifferenziata fatta di condizionamento mediatico, fatta di conformismo, fatta di nulla.
L’abbandono dell’Aspromonte ha comportato anche l’incremento della criminalità. L’abbandono della Heimat sta comportando l’essere e il fare tutti la stessa cosa, nutrire i medesimi pensieri. È questo il pasto di cui si nutre ogni dispotismo.

Lo sparviero

Jerax, sparviero. Sembra sia questa l’origine del nome di uno splendido luogo posto tra il mar Jonio e l’Aspromonte, Gerace. All’inizio fu Locri Epizèfiri, potente città della Magna Grecia. Poi, nel Medioevo, le esigenze di difesa indussero a spostare l’abitato in alto, su una rocca. E ora dalla moderna Locri comincia la salita verso questo gioiello urbanistico e architettonico. Tutto appare pulito e ben conservato. I tetti in tegola coprono case che si aprono dentro cortili luminosi e intimi, come a Erice. La pietra antica sostanzia strade, abitazioni, chiese, monasteri. La cattedrale sembra un forte normanno, con le absidi rivolte a oriente, verso Bisanzio. L’interno è composto da colonne tutte di colore e forma differente, fatte con il marmo rubato ai templi pagani della Locri greca. La luce che vi penetra è come filtrata  dalla pienezza e dalla semplicità del romanico. E tutt’intorno alla cattedrale altre chiese, molte inevitabilmente chiuse, altre adibite ora ad auditorium. Una proliferazione di luoghi di culto cristiani che sembra provocazione verso i saraceni invasori e richiesta di protezione rivolta al proprio Dio. Intorno e oltre le strade, le piazze, i vicoli, si apre il panorama del mare rivolto verso la Grecia, verso il luogo dal quale anche tutto questo ha avuto inizio.

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