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Musica, movimento, mondi

Bonalumi 1958 – 2013
Milano – Palazzo Reale
A cura di Marco Meneguzzo
Sino al 30 settembre 2018

Agostino Bonalumi ha inventato l’estroflessione della tela, il quadro che si fa spazio, la pittura che diventa volume. La tempera vinilica, l’acrilico, la lucentezza del ciré che risplende come un astro, forniscono materia alla geometria, rendono fisico il progetto di una mente. Il risultato è una modulare semplicità che nel suo rigore regala quiete all’incertezza dei giorni umani, dando ragione ancora una volta al Maestro, a Platone per il quale la geometria è la sala d’ingresso della pace nell’esistere.
Partito da Alberto Burri e da Lucio Fontana, l’autodidatta Bonalumi compie un passo decisivo, immergendo la gettatezza nello spazio e creando -come rileva Gillo Dorfles- «una tela non dipinta e non strappata ma una tela costruita». Tela nella quale si muovono e insieme sono immobili il cerchio, la sfera, la gravitazione, le masse, l’armonia. Come corpi concavi e convessi che attendono di coniugarsi. Di volta in volta monocromatico e sempre però plurale perché colore è il mondo, colore diventa l’aria che sfiora l’opera.
Dagli anni Cinquanta del Novecento agli anni Dieci del XXI secolo, ininterrotta è l’evoluzione delle soluzioni espressive pur nella fedeltà all’estroflessione della forma. Ovunque e sempre contano le ombre che danno profondità, che dalla materia fanno sgorgare musica, movimento, mondi. Il Bianco per Galilei (2008) fa emergere dalla tela un pendolo. Un Bianco e nero (1968) disegna armonia nell’alternanza tra il niveo e delle sottili linee nere.
Opere come queste non sono riproducibili -ahimè- in fotografie e in immagini, neppure in quelle che accompagnano questo testo. La tridimensionalità ha bisogno di presenza affinché si possano cogliere e gustare il rigore concettuale e l’assoluta eleganza di quest’arte. 

Cantiere del ‘900 – 1963

1963 e dintorni.
Nuovi segni, nuove forme, nuove immagini

Gallerie d’Italia – Milano
Sino al 27 ottobre 2013

Milano ha un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea. Nel cuore della città una banca ha voluto dedicare all’arte le sale di un magnifico palazzo di sua proprietà. I nuovi signori si ricordano ogni tanto del mecenatismo praticato dai ricchi di altre epoche. L’ingresso in questo spazio è infatti naturalmente gratuito. Il Cantiere del Novecento si affianca al Museo del Novecento e ne completa la parabola cronologica sino agli sviluppi ultimi del secolo. Si possono dunque ammirare opere di autori italiani di ogni corrente, tra i quali Lucio Fontana e Alberto Burri. Fontana -del quale è presente anche una struttura in metallo che supera di slancio la distinzione tra pittura e scultura- preferiva definire le proprie opere non ‘quadri’ ma ‘concetti spaziali’ poiché, diceva, «per me la pittura sta tutta nell’idea». A questo proposito, in una delle sezioni campeggia una frase di Italo Calvino: «Lo spazio che occupano queste opere è soprattutto uno spazio mentale».

All’interno del Cantiere è stata allestita una mostra temporanea dedicata a 1963 e dintorni. Il 1963 fu un anno di svolta nelle pratiche artistiche e letterarie. Qui lo si ricorda attraverso delle opere realizzate in quell’anno o poco prima e poco dopo. Aperta da due quadri di Piero Manzoni e Francesco Lo Savio, la mostra presenta una grande varietà di materiali, forme, idee, intenzioni, ironie, drammaticità, ma tutte caratterizzate dal gioco geometrico e simbolico in cui consiste l’arte. Enrico Baj intitolò un suo dipinto del 1951 «Vedeteci quel che vi pare», in questo modo rispondendo a quanti ingenuamente vogliono sapere ‘che cosa significa’ un’opera; Giuseppe Uncini scrisse che «le forme non ‘stanno’ nello spazio ma ‘sono’ lo spazio». Immersi nel Cantiere, tra la creatività molteplice dell’invenzione artistica novecentesca, quest’affermazione risulta del tutto evidente.

 

Materia/Spazio

Burri e Fontana. Materia e spazio
Catania – Palazzo Valle
Sino al 16 maggio 2010

Accostare Burri e Fontana nelle stesse stanze è l’intuizione più preziosa di questa mostra. Entrambi lavorano sulla “materia vile” e la trasformano in magia e splendore. Carta, tele, sacchi, cellotex, metallo, diventano forma della mente, itinerario del senso dentro l’enigma inaudito delle cose, delle molecole, degli atomi. I concetti spaziali di Fontana rendono plastica ogni superficie regalando alle tre dimensioni la profondità del tempo. Il Ferro SP4 (1959) sembra svelare la natura rinascimentale delle incandescenze di Burri. E la sensazione è davvero di vedere o rivedere opere che forse sconcertarono ma che hanno rinnovato nel profondo la pittura e adesso sono semplicemente classiche.
Una sezione della mostra documenta il divenire del Grande Cretto col quale Alberto Burri ha fermato per sempre la potenza della terra, del suo scuotimento a Gibellina, dell’istante di energia che diventa morte.

Alberto Burri

Milano – Palazzo della Triennale
Sino all’8 febbraio 2009

La densità materica di Burri (1915-1995) dimostra che l’arte consiste in qualcosa di inseparabilmente fisico e mentale: il rapporto tra le forme e gli spazi, la coerenza interna dell’opera. Ciascun particolare dei quadri di Burri preso da solo perde ogni senso, si sfalda, si cancella, ma tornato all’insieme mostra tutta la propria necessità. L’utilizzo dei celebri sacchi non è quindi fine a se stesso ma indica come l’armonia sia una realtà interiore che la mente umana applica alla materia. E questo accade sempre, non soltanto agli artisti.

Il fuoco è un altro dei principi costitutivi di Burri. La fiamma utilizzata per dare forma ai Cellotex plasma i materiali arrivando alla combustione, elemento che Burri indica esplicitamente come parte dell’opera. La quale deve essere viva, anche se fatta di ferro, di iuta, di catrame, di colla. In questa vibrazione della materia scompare anche la differenza tra pittura e plastica. Il quadro diventa tridimensionale e le grandi sculture sorgono dai quadri. L’esempio più clamoroso è forse il Cretto con il quale Burri compattò e coprì le rovine di Gibellina. Dalla superficie del dipinto transitando per la scultura la mente si fa architettura. E attraversare i corridoi di Gibellina, le rughe e gli intervalli di quel grande Cretto, è un’esperienza da compiere per intuire la forza profonda, ctonia, dell’arte contemporanea.
Ma il segreto forse più intimo di Burri è Piero della Francesca, i suoi colori (non a caso in questa mostra milanese sono presenti molti ori), la prospettiva, il suo fuoco.

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