Skip to content


Abitatrice

Aquarius
di Kleber Mendonça Filho
Brasile, 2016
Con: Sonia Braga (Clara), Fernando Teixeira (Geraldo Bonfim), Humberto Carrão (Diego)
Trailer del film

Clara è rimasta l’unica abitatrice di un palazzo -l’Aquarius- che dà sulla spiaggia di Recife. L’impresa che ha acquistato tutti gli appartamenti vorrebbe prendersi anche il suo. Ma questa donna tenace, colta, determinata, non ha nessuna intenzione di abbandonare la propria casa. Perché la casa non sono i muri che delimitano un luogo. Una casa è l’estensione del proprio corpo nello spazio; è la stratificazione degli eventi e delle loro memorie; è il dolore, il sorriso, l’amore, la rabbia. Le stanze si riempiono delle persone che le abitano. I loro simulacri rimangono anche quando esse non ci sono più, come divinità che proteggono, che schiantano nella nostalgia, che formano la materia della mente. Simulacri ai quali Clara restituisce vita anche attraverso la musica, mediante i vecchi dischi in vinile al cui suono danza l’esistere.
I palazzinari che vorrebbero rubarle tutto questo -che vorrebbero dunque toglierle la vita- sono squali ben più feroci di quelli che abitano il mare davanti all’Aquarius. Sostenuta da un tessuto di relazioni e di affetti, Clara restituirà a questi avidi il loro male.

Terra / Occhio

GENESI  di Sebastião Salgado
Milano – Palazzo della Ragione 
A cura di Lélia Wanick Salgado
Sino al 2 novembre 2014

Pinguini, albatri, cormorani, caribù, renne, caimani, a centinaia di migliaia nei loro habitat naturali. Immagini potenti nelle quali il gesto immediato di vita e di morte diventa eterno e l’istante si fa fermo.
Membri della specie Homo sapiens sparsi per tutti i continenti e capaci di vivere nelle condizioni più estreme. Una ricerca antropologica partecipe e attenta, in particolare, ai modi di vivere e di essere dei Boscimani (Botswana) e degli Zo’é (Amazzonia).
Gli sciamani, i loro riti, la vita quotidiana. Perché questi umani sono animisti, sono pagani. Come pagana è la Terra, perché lei è il Sacro. I protagonisti sono gli alberi; essi infatti danno respiro -letteralmente- alla sottile zoosfera che abita la superficie terrestre, le acque, qualche chilometro d’aria. Salgado e la moglie hanno riforestato una proprietà in Brasile. E subito la vita del mondo -in quel luogo scomparsa- è rinata.
Dune nel deserto immenso della Namibia. Qui le immagini diventano le più astratte. Ma astratte lo sono tutte, non realistiche. Perché la Terra è fotografata in un rigoroso e senza eccezioni bianco e nero, che mostra come la bellezza pura stia nella forma dell’immagine, non nello splendore dei luoghi. Così accade per il Bighorn Creek in Canada, un’immagine che abita al di là di qualunque realtà.

Interno / Esterno

Paulo Mendes da Rocha
Tecnica e immaginazione

Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Daniele Pisani
Sino al 31 agosto 2014

Mendes_da_Rocha_Casa_Millan«Non ci dovrebbero essere case isolate», anche perché l’architettura non è un dominio autonomo ma costituisce un ambito dell’urbanistica. È questo il principio che guida la tecnica e l’immaginazione dell’architetto brasiliano Paulo Mendes da Rocha. Un principio epistemologicamente plausibile e  socialmente necessario ma che non può essere esclusivo. Il rischio è un funzionalismo che in Mendes dichiara di ispirarsi sempre e comunque a un «ridisegno del territorio» che ne rispetti le caratteristiche e l’identità ma che in altri -e a volte in lui stesso- vira più di frequente verso una «complessiva ‘costruzione della natura’» che impone ancora una volta il progetto umano come suprema regola del costruire.
Emblematica, bella e rischiosa è la sua definizione dell’architettura come un «costruire -dove prima non c’era- un luogo dove sia possibile vivere»; significativo è in questo senso l’utilizzo totale, pervasivo e massiccio di un materiale quale il cemento armato, che per il solo fatto di essere ancora il materiale per eccellenza dell’architettura contemporanea non per questo risulta meno fragile al tempo, meno triste allo sguardo, oltre che affetto da vari limiti, tra i quali assai fastidioso è ciò che l’ingegner Carlo Emilio Gadda descrive come «lo svantaggio termico: le stanze si raffreddano e si riscaldano al variare della temperatura esterna con le ore del giorno: il sorgere del sole è percepito attraverso la scemenza dei forati dall’inquilino a levante, la bestiale autorità del sole estivo delle sedici diciotto è patita attraverso la inefficienza dei forati dalla indifesa agonia e dal sudore turco dell’inquilino a ponente» (Verso la Certosa, Adelphi 2013, p. 122).
Molte opere funzionalistiche- tra le quali anche quelle di Mendes da Rocha come il Palazzetto del Clube Atletico Paulistano, Casa Gerassi, lo Stadio Serra Dourada, il Museo Brasileiro de Escultura (MuBE)- sono certamente geniali e innovative ma appaiono già pochi anni dopo la loro realizzazione in uno stato di degrado che è probabilmente intrinseco alla struttura stessa del calcestruzzo. Bisognerebbe, da parte degli architetti, avere il coraggio di utilizzare più spesso materiali alternativi, compresi il legno e la pietra, la cui continuità con il mondo garantisce loro durata e prestazioni. Mendes da Rocha si inserisce invece nel progetto base della modernità, quello inaugurato da Le Corbusier. La sua opera è una sorta di mescolanza tra i principi funzionalistici e la fantasia di Picasso.
In ogni caso, Mendes ha ragione quando afferma che «il mare ha senso se lo vedi dalla finestra, non se lo vedi dalla spiaggia», poiché soltanto la dinamica interno/esterno dà senso al fare architettonico, a un «abitare che viene prima del costruire» (Heidegger).

Crisi

Mi sembra sorprendente ed estremamente positivo che un popolo innamorato del calcio come quello brasiliano stia avendo la forza di denunciare «le spese faraoniche in vista dei Mondiali, a scapito della qualità dei servizi sanitari e educativi, e la gigantesca corruzione, vero buco nero delle risorse statali. […] Negli stadi, incuranti del divieto della Fifa, molti tifosi hanno sostenuto le proteste: “Brasile svegliati, un professore vale più di un Neymar”». Ma anche di questa rivolta, come di quella turca, l’informazione italiana parla il meno possibile. E allora di fronte alla pervicacia istupidente del mainstream mediatico -teso sempre a sopire, troncare, tacere, ingannare– è opportuno ricordare come e perché si sia generato quell’insieme di eventi che vengono definiti «crisi»:

Il punto di partenza della crisi del 2008 è stato, da un lato, la deregolamentazione quasi totale delle prassi dei mercati finanziari e, dall’altro, la comparsa di “paesi emergenti”, a cominciare dalla Cina, che si sono accaparrati una parte crescente della produzione mondiale grazie al dumping salariale. Quella concorrenza, che spiega anche le delocalizzazioni, ha comportato un calo generale dei redditi nei paesi occidentali, calo che i nuclei familiari sono stati incoraggiati a compensare con un indebitamento crescente, che si supponeva potesse permettere di conservare il loro livello di vita. Ovviamente, le cose non sono andate affatto così, e il sistema è crollato quando i mancati pagamenti si sono accumulati. È quel che è accaduto negli Stati Uniti con la crisi dei crediti ipotecari (subprimes). Gli Stati sono stati allora costretti ad indebitarsi a loro volta per impedire al sistema bancario di sprofondare. Il problema dell’indebitamento privato si è così tramutato in problema dell’indebitamento pubblico.
[…]
Le banche, che potranno contrarre presiti all’1% dalla Bce, concederanno presiti al Mes [Meccanismo europeo di stabilità] ad un tasso di interesse nettamente superiore, dopo di che il Mes presterà agli Stati ad un tasso ancor più elevato. […] In ultima analisi, le banche daranno agli Stati, imponendo interessi, del denaro che consentirà a quei medesimi Stati di rimpinguare le casse di quelle stesse banche. Una situazione davvero surrealista, la cui causa prima, come è noto, è la proibizione fatta a partire dal 1973 agli Stati di contrarre prestiti ad interesse minimo o nullo con le loro banche centrali, il che li ha posti sostanzialmente alle dipendenze del settore privato. (Alain De Benoist, Diorama letterario, n. 314,  pp. 8-9)

La natura non soltanto assurda di queste transazioni -assurda per il bene pubblico ma assai sensata per gli interessi dei banchieri- è aggravata dal fatto che essa è stata resa per legge irreversibile, privando in questo modo parlamenti e governi di ogni potere, riducendoli a ornamento della finanza. Ha dunque ragione Gaby Charroux -deputato francese comunista e sindaco di Martigues- a osservare che in questo modo «consegniamo direttamente le chiavi della nostra politica economica e di bilancio ai tecnocrati di Bruxelles e scivoliamo verso […] una forma morbida, giuridicamente corretta, di dittatura finanziaria» (Ivi, p. 11). Con l’ascesa al potere anche politico di impiegati e funzionari della Goldman Sachs ad Atene, a Roma, a Francoforte (Mario Draghi), gli Stati sono diventati evidentemente degli Stati di classe diretti dal capitalismo finanziario: «Le banche, che controllano anche i mezzi di pagamento dei cittadini, hanno preso lo Stato in ostaggio per conto dei loro ricchi azionisti. Lo Stato diventa una macchina per ricattare le popolazioni a beneficio dei più ricchi» (Emmanuel Todd in un’intervista a Le Point, 13.10.2011).
Uscire da una spirale irrazionale e violenta come questa sarebbe possibile se il potere politico fosse altro da quello finanziario e prendesse provvedimenti come i seguenti: applicazione di un protezionismo europeo, nazionalizzazione delle banche, rifiuto di pagare il debito pubblico. Provvedimenti gravi ma praticabili se -appunto- i governi non fossero ormai ridotti alla condizione di impiegati della finanza il cui mandato è di agire contro i loro popoli, cominciando con l’ingannarli. Popoli i quali «non credono più nell’Europa, che confondono a torto con l’Unione europea. Non hanno più fiducia nella polizia […], non hanno più fiducia nei tribunali, che non sanzionano mai i delinquenti in colletto bianco e nemmeno i banditi della finanza di mercato» (de Benoist, Diorama letterario, n. 214, p. 23).
Anche le operazioni di killeraggio internazionale sono mosse dagli stessi scopi speculativi e di controllo delle risorse, come accaduto in Libia, con i massacri perpetrati da Sarkozy e Obama, «assassinando il capo dello Stato libico Muammar Gheddafi e la sua famiglia, inclusi i bambini piccoli»; come accaduto  in Iraq, dove le potenze anglosassoni e i loro servi italici hanno causato «due milioni di morti, affamato intere popolazioni, distrutto un paese unificato, allora il più evoluto industrialmente, socialmente ed economicamente della regione, averlo consegnato alla guerra civile, agli scontri tribali o religiosi, alla persecuzione delle minoranze come quella cristiana e agli attentati omicidi quotidiani. Del resto, George W. Bush non aveva dichiarato di voler riportare l’Iraq all’età della pietra?» (Maurice Cury, ivi, p. 24). La stessa operazione si sta ferocemente tentando contro il popolo siriano.

 

Interiore / Sociale

Un giorno devi andare
di Giorgio Diritti
Con: Jasmine Trinca (Augusta), Anne Alvaro (madre di Augusta), Pia Engleberth (Suor Franca), Amanda Fonseca Galvao (Janaina), Manuela Mendonça Marinho (Janete)
Italia-Francia 2013
Trailer del film

Augusta lascia l’Italia e la sua città, Trento, dopo essere stata abbandonata dal compagno perché sterile. Va in Amazzonia, prima per collaborare con una suora e poi -delusa dai modi sbrigativi e dogmatici dei missionari cattolici- per tentare di penetrare davvero nella vita di quella Terra e degli umani che la popolano. Il suo attivismo non sortisce però gli effetti che sperava e Augusta decide di vivere da sola in una delle tante anse dell’immenso fiume. L’incontro finale con un bambino, i giochi con lui, gli abbracci, sembrano regalarle qualche frammento della maternità perduta.
Dal bianco della neve di Trento al bianco delle spiagge brasiliane, lo spazio e il tempo si incrociano, si mescolano, si confondono. Così gli umani: la madre, con la quale Augusta ha un rapporto evidentemente irrisolto; la suora, a cui pone interrogativi che lei respinge; i ragazzi e le ragazze delle favelas, dai quali rimane troppo diversa.
Uno degli elementi del film è dunque la profonda interazione tra la dimensione interiore e quella sociale. La descrizione del mondo emotivo di Augusta è infatti sempre unita al racconto della vita concreta e quotidiana lungo il fiume e nelle città brasiliane. Alcuni passaggi della sceneggiatura sono francamente insostenibili nella loro banalità -«Sono qui per scoprire altri valori»; «Se vuoi cambiare le cose devi andare dove le cose bisogna cambiarle»- ma è soprattutto attraverso i silenzi, le azioni, i paesaggi che questo film esprime un’antropologia della sobrietà individuale e collettiva. Emerge il tema costante del cinema di Giorgio Diritti: il rapporto con l’alterità, la continuità tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, il conflitto del singolo con la comunità.

Brasilia

Brasilia. Un’utopia realizzata 1960-2010
Milano – Palazzo della Triennale
A cura di Alessandro Balducci, Antonella Bruzzese, Remo Dorigati, Luigi Spinelli (DiAP Politecnico di Milano)
Sino al 23 gennaio 2011

Brasilia venne costruita in tre anni e inaugurata nel 1960 da Juscelino Kubitschek, il presidente che l’aveva voluta. Il Movimento Moderno e gran parte dell’architettura contemporanea videro in Brasilia la realizzazione dell’idea stessa di città. Lucio Costa progettò le abitazioni private e la dinamica urbana a partire da due elementi: le Supersquadras, parallelepipedi alti al massimo sei piani e sollevati su “pilotis”; la separazione del traffico pedonale da quello dei veicoli. Oscar Niemeyer disegnò i luoghi pubblici e istituzionali, trasformando il cemento armato nel dinamico segno del potere contemporaneo. I due architetti resero Brasilia ciò che è: una città parco, un abitare fatto di spazi aperti e di estrema regolarità geometrica.

Come tutte le città ideali, il progetto si scontrò subito con l’irriducibile varietà dell’umano e con i drammi sociali. E quindi intorno a Brasilia sono cresciute delle favelas smisurate, la più importante delle quali si chiama Ceilândia. A questo luogo è dedicato un video che mostra come la musica rap possa dare voce alla perenne insoddisfazione dei reietti. Si può sperare che, come è accaduto per le città ideali pensate e costruite durante il Rinascimento, la stratificazione storica possa esaltare la bellezza delle invenzioni architettoniche ed essere più forte dell’artificio da cui Brasilia è nata.

Vai alla barra degli strumenti