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Biblioteche

«Sospetto che la specie umana  -l’unica- stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta»
(Jorge Luis Borges, La Biblioteca di Babele in Finzioni, Meridiani Mondadori, p. 688)

La Biblioteca del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania possiede un patrimonio di circa 350.000 monografie e alcuni Fondi di grande pregio sia scientifico sia artistico. La sua Emeroteca conserva quasi 600 testate di periodico attive e quasi 3000 cessate.
Dal marzo del 2017 svolgo la funzione di delegato del Direttore del Disum alla gestione di tale struttura. Coordino dunque una commissione composta da quattro colleghi e da una Bibliotecaria. Dal giorno del suo insediamento l’attività della commissione è stata improntata ai seguenti principi:
1. Affrontare in modo consapevole e quotidiano i problemi incancreniti da anni di gestione non all’altezza della complessità e ricchezza di questa struttura.
2. Attuare tale tentativo attraverso modalità trasparenti, determinate e rispettose delle norme, del patrimonio librario, degli studiosi e degli studenti che utilizzano la Biblioteca più ricca dell’Ateneo di Catania.
3. Salvaguardare strutture, patrimonio e servizi che appartengono all’Università di Catania e quindi ai cittadini che la finanziano con le loro tasse.
4. Responsabilizzare tutto il personale della Biblioteca, che abbiamo incontrato in varie occasioni e con il quale interagiamo costantemente.
5. Rendere una concreta e virtuosa pratica quotidiana l’indicazione che avevamo dato in occasione del primo incontro con il personale della Biblioteca (8 maggio 2017), riassunto nella seguente espressione: «La Biblioteca non esiste in funzione nostra ma siamo noi che esistiamo in funzione della Biblioteca». Così come noi docenti esistiamo per il Dipartimento, non il Dipartimento per noi docenti.
Al momento del nostro insediamento la situazione della Biblioteca del Dipartimento di Scienze Umanistiche è apparsa caratterizzata da alcune gravi criticità; mi limito a segnalarne soltanto due:
-La mancata catalogazione dell’intero patrimonio librario e la dispersione di un numero imprecisato di volumi.
-La disfunzionale interruzione per la pausa pranzo dei servizi bibliotecari e dell’apertura delle sale di lettura.

Elementi positivi sono stati e sono invece:
-La disponibilità di gran parte degli impiegati a dare il proprio contributo al recupero di una corretta gestione. Abbiamo visto persone ritrovare entusiasmo per il loro lavoro in Biblioteca.
-L’attività di catalogazione e controllo a scaffale, che sta dando ottimi frutti.
-La realizzata apertura dei servizi bibliotecari senza interruzioni sino alle 16.45 e della principale sala lettura della Biblioteca sino alle 19.40, anche con il contributo di studenti tirocinanti e part-time.
-La collaborazione costante con il Centro Biblioteche e Documentazione dell’Ateneo, che ha messo a disposizione le proprie competenze e la presenza, quando richiesta, del proprio personale, a cominciare dalla Dott.ssa Daniela Martorana, senza la quale tutto questo semplicemente non sarebbe stato possibile.
Stiamo vedendo con autentica gioia la crescita del numero di studenti e docenti che usufruiscono dei servizi della Biblioteca, dei suoi spazi, del suo splendido patrimonio.
«Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. […] Ho ricostruito molto, e ricostruire significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di ‘passato’, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti» (Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano. Seguite dai taccuini di appunti, Einaudi 1988, pp. 121-123). Desideriamo mantenere vive le biblioteche-sorgenti delle quali parla Yourcenar e per raggiungere tale obiettivo è necessaria la collaborazione di tutti, a partire dai nostri allievi.
Anche per questo lo scorso 28 maggio abbiamo incontrato alcuni rappresentanti degli studenti, ai quali abbiamo consegnato una comunicazione -mia e della Dott.ssa Martorana- che evidenzia gli elementi di criticità nei comportamenti dei fruitori della Biblioteca. La si può leggere qui: La Biblioteca, gli studenti, i lettori. In essa ricordavamo alcune elementari regole di utilizzo di un bene prezioso e collettivo, alcune elementari regole di civiltà bibliotecaria. Si tratta delle norme che vedete qui accanto, tratte dagli articoli 6 e 7 del Regolamento di Ateneo. Abbiamo chiesto ai rappresentanti degli studenti di collaborare alla messa in atto e soprattutto alla interiorizzazione di tali pratiche.
La situazione, invece, si è aggravata, come testimonia uno scambio epistolare relativo ad alcuni comportamenti che persistono, in particolare:
-La mancata restituzione nei tempi previsti dal regolamento di Ateneo dei volumi presi in prestito (comportamento messo in atto anche da alcuni docenti, verso i quali stiamo assumendo i provvedimenti previsti dal regolamento).
-L’abitudine a sottolineare e apporre segni vari sui libri della Biblioteca.
-Il mancato rispetto del silenzio quando si sta e si studia in Biblioteca.
-L’utilizzo degli armadietti -nei quali lasciare gli zaini mentre si sta in Biblioteca- come deposito di effetti personali per l’intera giornata e persino portandosi le chiavi a casa. Ci sono giorni in cui a inizio mattina sono presenti in Biblioteca due o tre studenti ma gli armadietti chiusi sono quasi quaranta.
Su questo e su altri problemi ho avuto uno scambio epistolare con alcuni rappresentanti degli studenti. Rendo nota soltanto una mia lettera poiché non sono stato autorizzato dai miei interlocutori a pubblicare le loro. Ecco il testo di una mail del 6.6.2018:

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Quanto sta accadendo nella Biblioteca del Disum è di una gravità inaudita e la responsabilità è tutta e soltanto dell’inciviltà e della scorrettezza degli studenti.
Se già da ventenni non si è in grado di rispettare un servizio pubblico, le strutture collettive, gli altri colleghi, questo spiega perché la Sicilia tutta vive in una condizione civile pressoché infima.
La «situazione d’emergenza» della quale parla non è creata dal destino cinico e baro, da una calamità naturale, dall’inefficienza dei servizi bensì dalla rozzezza umana e sociale dei fruitori della Biblioteca, dei vostri rappresentati, che evidentemente non siete riusciti a convincere a cambiare atteggiamenti, nonostante la chiarezza con la quale io e la Dott.ssa Martorana vi abbiamo parlato nell’incontro dello scorso 28 maggio. Incontro da noi sollecitato perché non era difficile capire dove stesse andando la china intrapresa.
Ho ribadito ieri alla Dott.ssa Martorana l’assoluta inopportunità legale e di fatto a farsi custodi dei beni personali dei fruitori. Se gli studenti del Disum non sono in grado di rispettarsi a vicenda, questo non deve mettere a rischio penale gli addetti alla Biblioteca.
Noi stiamo facendo il possibile per fornirvi strutture e servizi adeguati. Al resto deve provvedere la civiltà e l’intelligenza dei fruitori, civiltà e intelligenza evidentemente carenti.
Siete voi che dovete dire ai vostri colleghi che la Biblioteca ha delle regole scritte e delle regole che nessuna comunità civile si sognerebbe di scrivere.
Dite loro che gli armadietti della Biblioteca servono soltanto per stare in Biblioteca e non come deposito per poi andarsene in giro per il Monastero.
Dite loro che senza il rispetto di queste elementari regole di convivenza non sarà più possibile utilizzare la Biblioteca.
Dite loro che i responsabili della Biblioteca sono amareggiati, delusi e indignati.
Si andrà verso la progressiva chiusura dei servizi e questo lo si deve unicamente e soltanto alla responsabilità degli studenti.
In questi giorni sarò impegnato con esami e convegni e dunque non potrò incontrarvi. Non ho comunque nulla da aggiungere a quanto ho detto il 28 maggio e sto ribadendo in questa mail.
Gli studenti di Catania stanno mostrando di non meritare la loro Biblioteca. Non si tratta infatti dei comportamenti di questo o di quello ma di un clima sociale di sopraffazione e illegalità, senza il quale questi gravissimi fatti non accadrebbero.
In tale situazione non si può parlare di «malcontento» degli studenti -verso chi se non verso se stessi e i propri colleghi?- e di «fase intermedia» -verso quale fase definitiva?- ma piuttosto di fallimento sociale e antropologico.
Come responsabili della Biblioteca noi abbiamo fatto e facciamo la nostra parte. Siete voi ora che dovete risolvere i vostri problemi, che non hanno a che fare con la Biblioteca ma con lo stare al mondo, un pessimo stare al mondo.
Ho intenzione di rendere pubblico il mio sconcerto di cittadino e di docente. Le chiedo per questo l’autorizzazione a diffondere anche la sua mail. Se non me la concederà -come è suo diritto- renderò pubblica soltanto la mia replica.
Se riceverete le lamentele dei vostri colleghi, comunicate loro questa mia risposta. Noi ci siamo assunti le nostre responsabilità. Voi assumetevi le vostre.

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Sto dedicando molto tempo ed energie a questa Biblioteca, cosa che continuerò a fare sino a quando rivestirò tale incarico, il quale essendo fiduciario potrà cessare in qualsiasi momento. Un impegno che in cambio mi sta offrendo una formidabile e istruttiva esperienza sociologica e antropologica. I corpi sociali costituiscono davvero un intero. Per quanto circoscritti e parziali, l’insieme di eventi che ho qui cercato di documentare mostrano le radici profonde dei limiti della vita collettiva del Sud. In ogni caso non dispero affatto e sono anzi fiducioso nel futuro, anche guardando ai risultati positivi che stiamo raggiungendo con la collaborazione di tutti, a cominciare dalla maggior parte degli studenti che non mettono in atto i comportamenti descritti. Una minoranza danneggia anche loro ma vorrei vederli reagire nei confronti di pratiche gravemente scorrette. Senza la collaborazione di quanti ne fanno parte nessuna struttura può espletare il proprio compito, volto all’interesse collettivo e non alla prevaricazione o ai privilegi di pochi.

Politica / Natura

ARMIN LINKE
L’apparenza di ciò che non si vede

Milano – Padiglione d’Arte Contemporanea
A cura di Ilaria Bonacossa e Philipp Ziegler
Sino al 6 gennaio 2017

Palazzi, paesaggi, montagne, gallerie, antenne, quadri, parchi, stamperie di banconote, uffici della Borsa, sale dell’ONU, musei di guerra, il Senato italiano, la Camera dei Deputati, palazzi di giustizia in Germania, campi Rom a Milano, le tende di Occupy Frankfurt, la Basilica di San Pietro, il Louvre, mercati nigeriani, centrali nucleari giapponesi, il Museo di Storia Naturale di Firenze, pascoli in Argentina, giardini botanici in Congo, dighe cinesi, disegni di Niemeyer, sedi del CNR a Roma, materiali nanoporosi, riproduzioni della Torre di Babele nel museo di Babilonia, una tromba d’aria a Pantelleria, la vita e il lavoro nelle Alpi svizzere, austriache, francesi, italiane…
No, non si tratta di uno degli elenchi fantastici che intessono la narrativa di Borges. Qui non ci sono la visionarietà e l’ironia dell’argentino. E tuttavia c’è un’analoga potenza di visione. Perché il mondo non sta negli enti ma in colui che guarda. La realtà abita nella mente.
Addossata a un angolo del Padiglione d’Arte Contemporanea c’è una grande foto di quello stesso angolo del Pac appoggiata al muro che essa raffigura. Un effetto di vortice e di profondità che è letterario, poetico, metaforico, iconico, dentro una mostra che è tutta politica. Le immagini di Armin Linke documentano infatti i luoghi e le azioni del potere e della resistenza, della memoria e della distruzione, del denaro come immaterialità, del flusso senza requie che è la vita nel presente.

L’itinerario è accompagnato dalle voci degli studiosi e degli amici di Linke che hanno selezionato le immagini dal suo «archivio a crescita progressiva sulle diverse attività umane e i nuovi paesaggi naturali e artificiali». Bruno Latour si sofferma sui luoghi nei quali si crea il denaro o un suo equivalente -come i blocchi di sale in Niger-, denaro diventato ormai «l’interfaccia più astratta del mondo» poiché il cuore dell’economia non è più il capitale ma è il credito, vale a dire «un business all’interno del quale si vende la propria presenza al futuro e si operano scambi in nome del futuro. […] Il denaro si è smaterializzato in dati, sicché abbiamo perso il controllo. La crisi economica non è altro che la crisi dell’astrazione»  (dalla Guida alla mostra).
linke_varsavia_2013Astrazione che viene plasticamente ed evidentemente mostrata da un’immagine che raffigura la XIX Conferenza sui cambiamenti climatici svoltasi a Varsavia nel 2013. La sede fu uno stadio. Ma lo stadio era vuoto. Tutto avveniva dentro un edificio artificiale e climatizzato, eretto nel campo di gioco. «In quest’immagine -continua Latour- c’è un’enorme ironia», c’è l’arroganza di chi edifica ovunque i simboli della propria potenza e impedisce ai resistenti di avere un luogo. Ai partecipanti al movimento Occupy Frankfurt è stato ad esempio impedito «di fissare le proprie tende conficcando i picchetti nel terreno. Vi è dunque un’intera architettura politica da inventare, cui non è però consentito di consolidarsi e di organizzarsi in modo durevole».
La hybris del potere giunge al culmine nel progetto cinese delle Tre Gole, con la completa trasformazione antropologica e paesaggistica causata da un’immensa diga e da un bacino per costruire i quali «lungo 600 chilometri sono stati sommersi oltre milletrecento siti archeologici, tredici città, centoquaranta paesi e più di milletrecento villaggi. Ciò ha comportato il trasferimento di circa 1,4 milioni di abitanti. Le autorità cinesi prevedono il trasferimento di almeno altri quattro milioni di persone dalla zona delle Tre Gole nel periodo 2008-2023».

Il Padiglione d’Arte Contemporanea diventa così ciò che ogni luogo pensato dell’architettura è sempre: uno spazio profondamente politico, non soltanto nel suo utilizzo ma anche nella sua stessa concezione. Lo conferma un video con la conversazione tra Armin Linke e Jacopo Gardella, figlio dell’architetto Ignazio che progettò il PAC negli anni Cinquanta. Gardella afferma che la vera architettura è l’interno, è il vuoto; l’architettura è un’arte del tempo perché lo spazio va attraversato e per farlo è necessario il tempo. Nel pensare il Padiglione, suo padre ebbe rispetto per il passato del luogo, per le antiche scuderie della villa, delle quali l’edificio ha conservato la struttura. Al di là del razionalismo più ortodosso, Gardella ha introdotto leggere curvature, ha edificato delle pareti diagonali, ha concepito uno spazio e un soffitto mossi, in modo da trasmettere un’idea di accoglienza, di dinamismo, di dialogo. L’idea di che cosa debba essere la politica.

Le rovine del sogno

Inception
di Christopher Nolan
USA – Gran Bretagna, 2010
Con Leonardo Di Caprio (Cobb), Ken Watanabe (Saito), Joseph Gordon-Levitt (Arthur), Marion Cotillard (Mal), Ellen Page (Ariadne)
Trailer del film

Dom Cobb lavora nell’ambito dello spionaggio industriale. Penetra nei sogni degli altri per carpire loro dei segreti utili a qualcuno. Un potente uomo d’affari gli propone di fare l’operazione inversa: instillare nella mente del rampollo di una società concorrente il progetto di liquidarla. Per un’impresa così difficile, i collaboratori di Cobb riceveranno molto danaro e lui la possibilità di tornare nel proprio Paese, libero dall’accusa di aver ucciso la moglie, amatissima. Per raggiungere l’obiettivo bisogna entrare nella mente della vittima sino al livello più profondo, quello del rimosso, quello dell’angoscia e della speranza che insieme danno vita ai molteplici livelli del sognare. Addormentatisi su un aereo che li porta da Sidney a Los Angeles, per Cobb, per i suoi compagni e per l’uomo al quale dovranno impiantare l’idea, le dieci ore del volo si trasformano nei ritmi differenti e assai più dilatati di un inseguimento tra le strade di una città labirintica, di un albergo d’affari, di un remoto bunker tra montagne innevate.
A sognare sull’aereo è il giovane imprenditore ma insieme a lui si muovono le proiezioni oniriche di tutti gli altri, in particolare di Cobb, che ritorna incessantemente al ricordo della moglie e dei figli. Il contatto con la realtà, ciò che garantisce la differenza col sogno, è dato da un “totem”, un piccolo oggetto di cui soltanto il sognatore conosce le caratteristiche che possiede nel mondo della veglia. E sul totem di Cobb il film si chiude.

Ne Le rovine circolari Borges racconta di un uomo il cui «proposito (…) non era impossibile, anche se soprannaturale. Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo con minuziosa interezza e imporlo alla realtà. Questo progetto magico aveva esaurito l’intero spazio della sua anima» (in Finzioni, «Tutte le opere», Mondadori, 1991, vol.I, p. 660). L’anima del protagonista di questo film tende allo stesso obiettivo, sino a trasformare il sognatore in un prigioniero delle spranghe oniriche che, per quanta felicità possano promettere, rimangono sempre un’assurda prigione. Certo, una prigione assurda è anche la veglia ma in essa vigono delle regole che salvano dalla follia: il principio di causalità, l’ordine temporale, la presenza inemendabile degli altri umani.
Inception è un luogo cinematografico elevato a potenza. Il cinema è infatti per sua natura finzione. Finzione è anche il sognare. Sognare al cinema significa dunque trasportare le immagini nel luogo da cui sempre scaturiscono, la profondità del sé. Ma filmare i sogni non è per nulla facile. Il flusso deve infatti rimanere al confine tra la solida plausibilità del racconto e la liquidità degli eventi onirici. Nolan riesce a raggiungere tale equilibrio. E fa di più: immerge lo spettatore nel flusso di coscienza dei sognatori sino a fargli dimenticare da dove tutto sia partito. Ed è proprio questa una delle caratteristiche del lavoro onirico, non ricordiamo mai da dove il sogno sia partito, dove eravamo all’inizio.
La spettacolarità visuale di Inception consiste soprattutto nel rendere concreta la forma/labirinto che costituisce la struttura più ricca dei sogni. Non è casuale, naturalmente, che la giovane architetto incaricata di progettare/sognare gli spazi e i luoghi in cui tutto accade si chiami Ariadne, il nome greco della compagna di Teseo e Dioniso.
Già in Memento (2000), Christopher Nolan aveva narrato i meandri della mente umana, rendendo immagine l’amnesia, l’oblio. Qui, con mezzi tecnici decisamente superiori, avvolge di inquietudine lo spettatore trasformando in dubbio la percezione di stare nell’oscurità di un cinema a vedere un uomo che sogna di imporre alla realtà il proprio sogno.

Mente & cervello 66 – Giugno 2010

Il dossier di questo numero di Mente & cervello è dedicato a un tema importantissimo e davvero centrale per la mente: la memoria. I cinque articoli in cui se ne parla costituiscono una buona sintesi della complessità della memoria, delle sue varie forme -a breve termine, episodica, dichiarativo-semantica, autobiografica, procedurale-, del suo costituire l’identità di ogni umano ma anche dell’altrettanto indispensabile capacità di dimenticare. Davvero, come scrisse Nietzsche, «per ogni agire ci vuole oblio», poiché «la capacità di dimenticare è una componente essenziale di una memoria funzionante» (S. Dieguez, p. 59).

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Don Chisciotte

Teatro Strehler – Milano
Con Franco Branciaroli, da Miguel de Cervantes
Progetto e regia di Franco Branciaroli
Teatro de Gli Incamminati
Sino al 15 febbraio 2009

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A un certo punto dello spettacolo Branciaroli spiega che cosa sia lo humour, la sua natura, la differenza rispetto alla satira, alla beffa, al comico. E attribuisce a Cervantes (anche) il merito di aver inventato lo humour nella letteratura. Uno dei segreti del Chisciotte è l’imitazione. L’hidalgo imita i cavalieri erranti, un libro trovato per caso da lui e da Sancho imita le loro avventure. Branciaroli imita -perfettamente- Vittorio Gassman e Carmelo Bene mentre imitano, rispettivamente, Don Chisciotte e lo scudiero. Gassman imita Bene e quest’ultimo imita Gassman mentre entrambi recitano il Faust di Marlowe.  Lo spirito di Dante viene evocato a giudicare chi dei due reciti meglio la Commedia. Tutti e tre, infatti, sono ormai vivi nell’aldilà…

Un vorticoso gioco di specchi, un’idea splendida realizzata magnificamente. L’impressione è che i due grandi attori siano davvero tornati, con le loro voci, le tonalità, l’istrionismo, la malinconia, la potenza. E su tutto una riflessione partecipe e disincantata sul teatro, la sua finzione, la sua fine. Si ride moltissimo e molto si pensa, tra Totò, Peppino e Borges. Uno degli spettacoli più originali dei quali abbia goduto negli ultimi anni.

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