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Ai berlusconiani e ai leghisti

Cari concittadini, mi chiedo quali possano essere le motivazioni che vi impediscono di vedere i fatti e che vi inducono invece -anche se forse non sapete di questa vostra ascendenza- a offrire una banale conferma a Nietzsche, secondo il quale «direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni» (Frammenti postumi 1885-1887, 7[60]). E credo che di motivazioni ce ne siano, anche se -a dir la verità- non molto lusinghiere per voi. Ma lasciamo stare. Il punto è che il governo è allo sbando, del tutto incapace di gestire la crisi economica, la disoccupazione, le tasse mai così alte, interessato soltanto a coprire i reati sessuali del suo capo, che consistono non nello scopare ma nell’induzione alla prostituzione minorile, nella concussione per aver abusato del suo ruolo al fine di sottrarre una ragazza marocchina alla questura di Milano, nel porre a rischio la “sicurezza nazionale”. Lui e i suoi complici tentano in ogni modo di nascondere l’enorme danno all’immagine internazionale dell’italia e di mascherare tramite la paroletta magica “federalismo” l’abbandono totale del sud e un ulteriore aumento delle tasse.
Di fronte a tutto questo, nessun meridionale e nessuna donna dotati di buon senso potrebbero sostenere ancora Berlusconi ma lo potrebbe fare un maschio del nord. A pensarci bene, tuttavia, neppure quest’ultimo dovrebbe, visto che con le sue tasse e con il suo voto tale maschio contribuisce a pagare le troie delle quali il nonno infoiato riempie i suoi palazzi. Tu paghi e lui tromba (o tenta di farlo)! Se poi mi chiedete “sì, va bene, ma chi al suo posto?”, rispondo “chiunque andrebbe meglio”, non foss’altro perché non sarebbe il padrone assoluto delle televisioni -e dunque del consenso- e sarebbe meno distratto da ciò che la sua ex moglie definì “una malattia” e che -assai meno gentilmente- una delle sue ragazze ha descritto come la voglia di mostrare a tutte il suo “culo flaccido”.

[Mi scuso del linguaggio un po’ crudo di questa lettera ma bisogna sempre cercare di farsi intendere dalle persone alle quali ci rivolgiamo]

Arcore o le 120 giornate di Sodoma

Non c’è nulla di politico se non nel significato radicale, nel senso della rivelazione di quale sia la natura più fonda del potere autoritario, che consiste -come Freud, Reich, Foucault hanno mostrato- in un complesso bisogno di possesso dei corpi. Quello che c’è di giudiziario è lampante (una sintesi si trova qui). Si tratta soprattutto di un caso clinico e antropologico. Clinico per il protagonista, che non è soltanto «un individuo dal losco passato e dal losco presente» (Barbara Spinelli) ma che è anche un soggetto evidentemente e gravemente malato, tecnicamente folle perché ormai del tutto fuori dalla realtà. Antropologico poiché una tale follia non potrebbe mantenere un individuo al potere se non ci fosse a sostenerlo il carattere di un intero popolo, una pletora di istituzioni, giornali, televisioni, chiese, gruppi e persone di varia natura e interessi. Un mondo, questo, che la visionarietà di Pasolini seppe descrivere nel più gelido e insostenibile dei suoi film. Certo, nulla è rimasto del tragico che intesse Salò. Degli escrementi è permaso soltanto il grottesco, ma esso è dilagato ovunque.

Gadda, la guerra, il narcisso

Teatro Franco Parenti – Milano
L’ingegner Gadda va alla guerra o la tragica storia di Amleto Pirobutirro
Un’idea di Fabrizio Gifuni – da Carlo Emilio Gadda e William Shakespeare
Regia di Giuseppe Bertolucci
Con Fabrizio Gifuni
Vincitore Premio UBU come spettacolo dell’anno
Dicembre 2010

Tra gli archetipi, la Madre è per un umano il dominio stesso della vita e del dolore. Dominio nel duplice senso: luogo e insieme potere, la Madre accoglie, seduce, tradisce, dispera, ritorna. Amleto/Oreste dimostra come non sia possibile uccidere la Madre senza uccidere se stessi. Il Gonzalo Pirobutirro della Cognizione del dolore è un’ulteriore figura di questo rapporto totale con Lei, di quel tutto luminoso e mortale che la Madre rappresenta.

Qui sta il legame tra Shakespeare e Gadda, letto da Gifuni attraverso le pagine di diario che l’ingegnere scrisse sul fronte della Prima guerra mondiale e durante la prigionia in Germania. Scorrono la pietà e la vergogna per le condizioni dei compagni nelle trincee, la lucida percezione del tradimento che l’italia perpetrava nei confronti di tante persone mandate a morire, l’ammirazione e la gelosia nei confronti del fratello Enrico, la fatica del ritorno in una patria nella quale le speranze di grandezza e di rinnovamento vennero tutte tradite. Tradite soprattutto dal fascismo, da quel “Bombetta, Kuce, Mascelluto narcissico” al quale è dedicata l’ultima parte dello spettacolo.

Tratte da alcune pagine di Eros e Priapo, e recitate forse troppo velocemente per poter apprezzarne l’arcaico ma modernissimo linguaggio e il significato demistificatorio, sono parole di straordinaria potenza analitica, dalle quali la farsesca ferocia del Potere dei Presidenti del Consiglio -Mussolini allora, Berlusconi oggi- emerge in modo folgorante e annichilente.

Il folle narcissico (o la folle) è incapace di analisi psicologica, non arriva mai a conoscere gli altri: né i suoi, né i nemici, né gli alleati. Perché? Perché la pietra del paragone critico, in lui (o in lei), è esclusivamente una smodata autolubido. Tutto viene relato alla erezione perpetua e alla prurigine erubescente dell’Io-minchia, invaghito, affocato, affogato di sé medesimo. […]
Seconda caratterizzazione aberrante, e analoga alla prima, anzi figliata da lei, è la loro incapacità alla costruzione etica e giuridica: poiché tutto l’ethos si ha da ridurre alla salvaguardia della loro persona, che è persona scenica e non persona gnostica ed etica […] Tutto il lavoro, tutta la fatica, tutta la speranza, tutto il sogno, tutto il dolore umano sono a culminare nella loro vanità mal protesa, a turibolare il loro glande di porfido, porfidescamente incretinito. Lo jus, per loro, è il turibolo: religio è l’adorazione della loro persona scenica; atto lecito è unicamente l’idolatria patita ed esercitata nei loro confronti; crimine è la mancata idolatria.
[…]
Men che meno il narcissico può esser filosafo, o costituirsi discepolo di filosafi alla scuola d’Atene […] Il costruire sistemi filosofici sulla propria indole ghiandolare, cioè aventi la propria tiroide o le surrenali a meccanismo impulsore del mondo, il suo costituire il proprio bellìco a perno del mondo, a pivot, non è operazione filosofica.
[…]
L’autofoja, che è l’ismodato culto della propria facciazza, gli induce a credere, per poco che quattro scalmanati assentano, gli induce a credere d’esser daddovero necessarî e predestinati da Dio alla costituzione e preservazione della società, e che senza loro la palla del mondo l’abbi a rotolare in abisso, nella Abyssos primigenia: mentre è vero precisamente il contrario: e cioè che senza loro la palla de i’ mondo la rotola come al biliardo e che Dio esprime in loro il male dialetticamente residuato dalle deficitarie operazioni collettive, dalla non-soluzione dei problemi collettivi: essi sono il residuato male defecato della storia, lo sterco del mondo.
[…]
Sul palco, sul podio, la maschera dello ultraistrione e del mimo, la falsa drammaticità de’ ragli in scena, i tacchi tripli da far eccellere la su’ naneria: e nient’altro.
(Eros e Priapo [1967], Garzanti 2009, cap. 10, pp. 143-156)

A questo fiume di indignata invenzione, Fabrizio Gifuni dà corpo, maschera, figura, alternando la voce come da plurima orchestra e facendo del viso e di sé lo strumento variabile che lega la follia di Amleto, l’altera pietas di Gonzalo Pirobutirro, il disvelamento dell’infinita volgarità dei Bombetta di ieri, di oggi, di sempre.

To pass away

«It’s getting hard to know what else Silvio Berlusconi, the Italian prime minister, has to do to get evicted from power. In most countries, just one of the dozens of scandals he has been involved in would be enough to finish him off politically. Each time a new scandal explodes, more sordid and incredible than the last, you think he can’t possibly ride this one out. He can’t possibly, you hopefully imagine, survive a court verdict that says he was bribing a lawyer to give false testimony or just shrug off the mountain of evidence that he regularly organises orgies with paid escorts at his private, and official, residences. And yet, there he is, still in power, still the leader of one of Europe’s most cultured and important countries. After all these years, it still beggars belief.
[…]
The only way to liberate Italian politics from his immense and deleterious influence would be either for him to pass away, or for the country to undergo a thorough, programmatic deBerlusconification, an attempt to return to reality after 20 years of his televisual brainwashing. The first, I’m afraid, is more likely than the second, but it still seems a very long way off».

(Tobias Jones, The Guardian, 16 novembre 2010. Invito a leggere l‘intero articolo, che mi è stato segnalato da Dario Sammartino)

L’omosessualo

Mussolini era certamente assai più colto e meno volgare ma tra i caratteri comuni ai due uomini politici più importanti dell’Italia del Novecento e del XXI secolo uno è evidentissimo: il fascino sessuale che entrambi hanno esercitato sulle masse. Freud e soprattutto Reich colsero bene la natura erotica del rapporto che il capo assoluto intrattiene coi suoi servi adoranti, in particolare nei fascismi. Il caso Berlusconi credo che però vada oltre e costituisca un impensabile gorgo somatico. I governi guidati da questo personaggio hanno prodotto risultati economici e sociali del tutto catastrofici, impoverendo le famiglie, annullando uno Stato sociale pur minimo (sanità, scuola, università, energia, trasporti) a vantaggio anche di dissennate guerre coloniali, raggiungendo il picco della corruzione amministrativa, trasformando l’Italia nello zimbello del pianeta, imponendo una televisione pubblica e privata degna della Romania di Ceausescu. Gli italiani, insomma, “la prendono nel culo” continuamente. E tuttavia sembra che ancora milioni di loro apprezzino, difendano o almeno giustifichino chi li sta violentando. Il disprezzo mostrato da costui verso gli omosessuali appare dunque una forma di denigrazione verso l’intera società da lui sodomizzata ma anche verso se stesso in quanto androgino. Berlusconi racconta infatti che «subito dopo la partita dello scudetto del 1988, un tifoso vede la mia macchina, mi riconosce, si pianta davanti al cofano e grida: “Silviooooo, Silviooooo: sei una gran bella figa!”. È stato il complimento più bello della mia vita» (M. Belpoliti, Il corpo del capo, Guanda 2009, p. 77). Insomma, disprezzando gli omosessuali disprezza la gran figa che è in lui.

(Su questo vortice politico-carnale segnalo un approfondito articolo di Andrea Cortellessa nel numero di ottobre di Alfabeta2, Dalla Pornocrazia alla Mignottocrazia; aggiungo che oggi, 6.11.2010, l’Unità ha pubblicato dei brani da Eros e Priapo di Gadda, dove -tra l’altro- lo scrittore disegna il seguente ritratto del potente narciso: «in lui tutto viene relato alla erezione perpetua e alla prurigine erubescente dell’Io-minchia, invaghito, affocato, affogato di sé medesimo»).

Andreotti, cosa turpe

Di fronte al sopravvivere delle forze che uccisero Giorgio Ambrosoli, la prima sensazione è di scoramento. Un vero e proprio impero criminale costituito da mafia, banche, massoneria, servizi segreti, capi di governo, si coalizzò contro un uomo solo. Un uomo armato di nient’altro che della sua «passione dell’onestà» (Corrado Stajano, Un eroe borghese. Il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica, Einaudi 1995, p. VIII), di un coraggio che nasce dal dovere per il dovere, un uomo «capace, corretto, che non si risparmia» (22).

Il Presidente del Consiglio in carica -Giulio Andreotti- detestava ciò che l’avvocato milanese stava realizzando e fece di tutto per far sopravvivere la banca di Michele Sindona ripianandone i debiti con i soldi pubblici. Il capo del governo agì da «topo furbo, animale senza spine, senza ossa, senza muscoli, senza principî, usa l’intelligenza nell’appianare, nell’assorbire, nell’ammorbidire, nello smussare, nel cancellare» (201). La loggia massonica P2 si mobilitò con Gelli e con tutti i suoi uomini per frenare, intimorire, trasferire.
L’11 luglio 1979 Giorgio Ambrosoli venne ucciso a colpi di pistola davanti alla sua casa. Ai funerali, nessun uomo di governo. Una tragedia alla quale si aggiunge la tragedia che fra i membri della P2 -vera regista dell’assassinio- Licio Gelli sia oggi un libero cittadino e Silvio Berlusconi il capo del governo italiano.

Ma non bastava. Il maligno democristiano ha così risposto ieri alla domanda sul perché Giorgio Ambrosoli sia stato ucciso: «Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi se l’andava cercando».
Questa cosa turpe che ha nome Andreotti ammorba ancora di sé lo spazio.

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