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Trame / Palazzi

Tutta l’operazione che Napolitano ora descrive in termini così paludati ebbe in realtà come effetto di salvare Berlusconi dalle elezioni nel novembre 2011, elezioni che lo avrebbero annientato (la Spagna -che si trovava in una situazione analoga- andò a votare e non si verificò alcuna catastrofe).
Ora accade ciò che sempre si verifica all’interno delle bande quando la tensione supera una determinata soglia e non si riesce più ad accontentare le aspirazioni di tutti, vale a dire una guerra interna tra capi e fazioni: il rancore di Monti per essere stato estromesso da tutto, la vendetta di Prodi per la mancata elezione alla presidenza, scalate interne in Confindustria (le scelte del Corriere della sera sono in questo un segnale infallibile), la perenne guerra civile dentro il Partito Democratico, la corsa dentro Forza Italia a mostrarsi più oltranzisti del capo supremo e così elencando, con al centro sempre un Quirinale che con la sua arroganza e permanenza ha distrutto gli equilibri istituzionali e reso la democrazia italiana una caricatura delle corti monarchiche.
Che gli effetti della sua azione piacciano o non piacciano rispetto alle personali convinzioni politiche di ciascuno, in ogni caso l’attuale presidente è andato assolutamente oltre le competenze e i limiti che la Costituzione assegna a questa carica. Ha quindi infranto la legge fondamentale della Repubblica. In ciò consiste il tradimento. Per questo se ne deve andare.

 

Compassione

Ormai il Partito Democratico si fa dettare l’agenda, i contenuti, le forme da Denis Verdini. Sembra non avere fine l’agonia della sinistra istituzionale in Italia. Essere riuscito a mettere alla segreteria del PD un soggetto a sé identico è il vero trionfo di Berlusconi. Nella nuova coppia della politica italiana si mesta e rimesta lo squallore, l’inganno, l’analfabetismo, lo spettacolo. Ma questo trionfo del berlusconismo è stato reso possibile anche da milioni di iscritti ed elettori del Partito Democratico. Imperdonabili. Il manifesto definisce Renzi con gli epiteti di «bullo» e «Don Matteo» (il sinistro ‘Don’ dei siciliani). Ma la segreteria Renzi è la logica, inevitabile e doverosa conclusione dell’accettazione da parte del PD in questi decenni di tutti i dogmi dell’ultraliberismo. Gli eventi politici non accadono per caso e non si spiegano mai con gli umori, con le follie o i caratteri dei vari capi che si susseguono nella morta gora del potere. Hanno sempre delle ragioni e delle cause. Mentre la sua icona è nel punto più basso della propria personale parabola, il berlusconismo trionfa dentro la formazione politica che per vent’anni gli ha consentito -con azioni, opere e omissioni- di dominare. C’è una logica implacabile e giusta in tutto questo.
Avrei persino compassione di un partito così ridotto se non fosse che il suo ridursi ridurrà l’Italia ancora peggio. Sembra impossibile ma niente è precluso a questi sciocchi.

 

Antropologia italica

Il capitale umano
di Paolo Virzì
Con: Valeria Bruni Tedeschi (Carla Bernaschi), Fabrizio Bentivoglio (Dino Ossola), Fabrizio Gifuni (Giovanni Bernaschi), Matilde Gioli (Serena Ossola), Valeria Golino (Roberta Morelli), Luigi Lo Cascio (Donato Russomano), Bebo Storti (l’ispettore), Gianluca Di Lauro (il ciclista), Giovanni Anzaldo (Luca Ambrosini), Gugliemo Pinelli (Massimiliano Bernaschi)
Italia, 2014
Trailer del film

Capitale_umano_Dino_OssolaLe parole sono il mondo, si sa. Definire un ente e un evento in una maniera o in un’altra significa conferirgli una diversa realtà. Nell’epoca dell’ultraliberismo vincente e di sinistra -da almeno vent’anni- uomini e donne che lavorano sono diventate delle risorse umane, la fine dei finanziamenti a fondamentali bisogni sociali si chiama spending review, la subordinazione della politica alla finanza ha preso il nome di governamentalità, le più squallide operazioni di potere e una miriade di intrallazzi vengono definite responsabilità. E così via nello schifo che soltanto il servilismo dei giornali e dei giornalisti di proprietà delle banche e dei partiti può trasformare in profumo.
Questo in tutto l’Occidente e, di fatto, nel mondo. In Italia, solita fortunata, si aggiunge da vent’anni la presenza di un bandito ricattato e ricattatore, le cui televisioni -come Pasolini ben aveva previsto- hanno trasformato non soltanto il vivere sociale ma assai più a fondo l’antropologia di questo popolo, il quale possedeva già comunque tutte le condizioni per diventare ciò che è. Tale popolo ha infatti per due volte nello stesso secolo dato credito e gloria a due scaltri buffoni carismatici come Mussolini e Berlusconi. Il risultato è un modo di esistere e di pensare che il film di Virzì ben esprime attraverso una storia brianzola (la Brianza di Carlo Emilio Gadda!) intrisa di ferocia, di tracotanza, di culto verso il denaro, di dissoluzione di ogni legame sociale, di provincialismo e soprattutto di volgarità. Una volgarità culturale (nel senso antropologico) incarnata da due magnifici attori che interpretano -rispettivamente- la cialtroneria del piccolo imprenditore che vuole diventare ricco in poco tempo (Dino Ossola) e l’elegante spietatezza di uno squalo della finanza (Giovanni Bernaschi).
Assistendo alla progressiva parabola discendente di questi e degli altri personaggi ho goduto, augurando a tutti i loro emuli e consimili nella vita reale il medesimo destino.  Il loro personale «lieto fine» con il quale il film si chiude è, certo, l’ammissione della sconfitta di una giustizia più alta di quella del diritto, l’ammissione del fatto che «sulla terra è la volgarità che è immortale» (J. Burckhardt, Sullo studio della storia, Boringhieri 1958, p. 214) ma è anche la conferma della nullità assoluta di queste vite, degne soltanto di disprezzo. Lo stesso disprezzo che meritano gli italiani.

 

«Istituzionalmente inquietante»

«Istituzionalmente inquietante». Ohibò, ohibò. Giorgio Napolitano scopre che l’azione di Berlusconi e del suo PdL è «istituzionalmente inquietante». Soltanto da qualche ora però. Prima di due giorni fa tali soggetti hanno costituito il sostegno indispensabile di vari governi e soprattutto degli ultimi due, presieduti da Napolitano tramite i prestanome Monti e Letta (quest’ultimo è ancora in carica).

Padellaro chiede giustamente che «per favore nessuno esprima stupori fuori luogo. Cosa ci si poteva aspettare da un pregiudicato per frode fiscale, a capo di un folto manipolo di parlamentari scelti appositamente per servirlo e che tutto gli devono? Che forse davanti alla propria decadenza da senatore, e dunque con il rischio concreto di essere arrestato per l’inchiesta di Napoli sulla compravendita dei senatori, questo galantuomo si sarebbe inchinato alla legge pur nella comprensibile amarezza? Ma andiamo. Il pregiudicato si sta muovendo esattamente come si muovono i veri boss della mala pronti a scatenare l’inferno pur di non farsi beccare e trascinare dietro le sbarre. […] Come hanno capito anche i sassi, le larghe intese che avrebbero dovuto salvare il Paese (con risultati finora almeno discutibili) sono state pensate anche per salvare Berlusconi. Possibile che l’inquilino del Colle non si fosse accorto che sotto il suo capolavoro politico era stato piazzato un potente ordigno a orologeria?» (PdL. Larghe estorsioni, Il Fatto Quotidiano, 26.9.2013).
Persino Ezio Mauro afferma che «bisognava fermare per tempo -istituzioni, opposizioni, intellettuali, giornali, un establishment degno di questo nome- la progressione di un’avventura politica che costruiva se stessa come sciolta dalle leggi, dai controlli, dalle norme stesse della Costituzione: disuguale nella pratica abusiva, nel potere illegittimo e nella norma deformata secondo il bisogno» (L’eversione bianca, la Repubblica, 27.9.2013). Il suo giornale ha cercato di «fermare per tempo» Berlusconi sostenendo ogni giorno e con convinzione il governo del quale Berlusconi è parte fondamentale.

In realtà, «a Napolitano si può imputare tutto, ma non l’ingenuità. È altamente probabile che a Berlusconi siano state date delle garanzie che in seguito non sono state rispettate, o più probabilmente non si è riusciti a far rispettare. In altri termini l’assicurazione della prescrizione per scadenza dei termini del processo che lo ha condannato in via definitiva per truffa fiscale. Altrimenti che senso aveva fare un governo intestato alla presidenza della Repubblica, che mai si è esposta come in questo caso? Per vederlo cadere rovinosamente per un processo e una condanna altamente probabile pochi mesi dopo?» Quello attualmente in carica è il governo di Napolitano. Ora però «lui ha perso la partita, ma si ostina a negarlo come chi avendo sempre vinto (o almeno pareggiato) non riesce a darsi pace per la sconfitta. Si alzi dal tavolo di gioco, e prima di uscire, spenga le luci del Quirinale» (Beppe Grillo, Poker con il morto, 27.9.2013), in modo da poter sperare che si comincino a riaccendere le luci dell’Italia. Peggio di un governo Pd-PdL che cosa mai ci potrebbe infatti accadere? Un governo del solo Pd avrebbe almeno l’opposizione del PdL, un governo del solo PdL avrebbe l’opposizione del Pd. E non invece l’immondo connubbio del Partito Unico che avvicina sempre più l’Italia alla condizione che in Grecia sta determinando qualcosa di terribile: la chiusura di tutte le Università per volontà degli organismi finanziari europei.
Strano (vero?) che nessuno parli in Italia di una simile tragedia. Ancora una volta, senza informazione libera la democrazia è un puro suono: «È sempre più forte in Grecia l’impressione che per la Troika il desiderio di studiare e di laurearsi espresso da molti giovani sia “anomalo”. Tutti gli organi di governo, nazionali e europei, battono infatti su un unico tasto: i giovani devono scegliersi un mestiere e non continuare a studiare. Questo discorso ossessivo va di pari passo con i licenziamenti degli insegnanti nelle scuole elementari e medie». Ma «“risanare” un Paese distruggendone la formazione avanzata è una vera follia» (Argiris Panagopoulos, Il massacro delle università greche suona l’allarme anche per l’Italia, Roars, 27.9.2013). La follia di una politica che concepisce le persone in funzione della finanza e non la finanza al servizio delle persone. La follia di una banda di criminali al potere e di presidenti che sembrano accorgersene dopo vent’anni.

 

Fallocefali

Se un qualunque altro politico o personaggio pubblico -non parliamo poi di Grillo- avesse pronunciato pubblicamente un frammento delle parole assolutamente «eversive dell’ordine democratico» delle quali riferiscono i giornali (il videodelirio non l’ho visto, mi disgusta), si sarebbero certamente alzati gli altissimi lai di Giorgio Napolitano. Invece niente. Se a dire che la magistratura è «il braccio armato dei suoi nemici politici (peraltro alleati)»; se a incitare «i propri sostenitori alla rivolta di piazza contro gli organi giudiziari (“reagite, protestate, fatevi sentire”)» (A. Padellaro, Videomessaggio Berlusconi, qualcuno risponda al ricatto); se a pretendere di porsi sopra e contro la legge e le istituzioni repubblicane è un delinquente accertato come il fallocefalo di Arcore, allora il presidente della repubblica sta zitto, muto, coperto. Forte con i deboli e debole con i forti. Davvero è  il peggiore.

 

Eguali

Qualche tempo fa ho ricordato che «la Democrazia è fatta di almeno quattro elementi: divisione dei poteri, eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, elezioni libere e segrete, informazione indipendente da chi governa» e che in Italia manca un’informazione libera (L’Oppio, 2 giugno 2013).
Quasi a volermi testardamente dare ragione, la realtà politica conferma adesso che da noi non esiste neppure l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Nonostante, infatti, una immensa disponibilità finanziaria che gli ha consentito di assoldare gli avvocati più spregiudicati e di prolungare i processi sino alla prescrizione, il pregiudicato Berlusconi Silvio ha subìto, è vero, una condanna definitiva per aver evaso favolose somme al fisco (centinaia di milioni di euro) ma dopo tale verdetto si sono mosse immediatamente le forze dell’informazione, i partiti politici, le istituzioni, nel tentativo di annullare il significato e le conseguenze di questa sentenza. Conseguenze che comportano, per legge, la decadenza del pregiudicato-condannato-evasore dal suo seggio di senatore, l’incandidabilità futura, la fine di ogni ulteriore aspirazione istituzionale e di governo. La neolingua orwelliana utilizzata dai suoi servi -e dunque ripresa da tutta la stampa e dalle televisioni- ha inventato l’espressione «agibilità politica» come patetico ma insieme pericoloso eufemismo che maschera la pretesa di ottenere la «grazia» -vecchio relitto  giuridico dell’Ancien Régime– da parte di Napolitano. Chi chiede la grazia riconosce con ciò stesso la propria colpevolezza e si dice formalmente pentito per ciò che ha fatto. Nessuna di tali e altre condizioni è presente nell’azione e nelle parole del pregiudicato Berlusconi Silvio e tuttavia il pessimo Napolitano si è detto disponibile a concedere la grazia al «leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza», aggiungendo con infondata certezza che «va innanzi tutto ribadito che la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e sancisce precise alternative, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto» (Dichiarazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, 13 agosto 2013).
Perché un tale assoluto, inaudito, antidemocratico privilegio per il delinquente Berlusconi Silvio? La verità è che se Salvatore Riina fosse stato il proprietario di tre reti televisive e del Giornale, i suoi servi avrebbero chiesto di non eseguire le sentenze, il Partito Democratico avrebbe aperto un dibattito e Napolitano lo avrebbe ricevuto al Quirinale: «Tutti gli animali sono eguali ma alcuni animali sono più eguali degli altri» (Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori 1995, p. 100).

 

«Decaduto dall’incarico»

«Silvio Berlusconi è stato condannato a 4 anni di reclusione. Ai sensi del Decreto Legislativo 235 del 2012, art. 1 e 3, è ora incandidabile. Nel caso di “incandidabilità sopravvenuta”, la legge prevede che il Senato debba deliberare di conseguenza. Oggi stesso chiederemo al Presidente della Giunta per le Elezioni di convocarla il prossimo lunedì, e di prendere atto delle implicazioni della decadenza dall’incarico di senatore di Silvio Berlusconi. La stessa Corte di Cassazione ha ritenuto che le condanne per reati ostativi configurino uno “status di inidoneità funzionale assoluta e non rimovibile”, volto a tutelare “il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, l’ordine e la sicurezza, la libera determinazione degli organi elettivi”. Chiederemo contemporaneamente al Presidente del Senato che l’aula deliberi immediatamente per la sua decadenza, anche in considerazione del fatto che ogni futura deliberazione del Senato potrebbe essere illegittima. La legge è chiara e non dà adito ad interpretazioni. Non è nella disponibilità del Senato esercitare una scelta politica su una decisione che è già vincolata dalla legge. Appare del tutto irragionevole che il Senato possa maturare scelte difformi. Non ci sono più scuse. Riteniamo sia necessario restituire al Parlamento la dignità che merita». Vito Crimi
Fonte: Il crollo di un regime

Così parla un movimento politico democratico, ligio alla Costituzione repubblicana, rispettoso del Parlamento e convinto di un’ovvietà: che la legge debba essere uguale per tutti. Il dramma dell’Italia è che tale ovvietà risulta essere sempre più una stranezza. Vent’anni fa bastava un semplice avviso di garanzia per segnare il tramonto di una carriera politica. Dopo il lunghissimo e non concluso regime berlusconiano accade che non basti neppure una condanna definitiva in Cassazione. «Non fossimo in Italia ci sarebbe da ridere. In altri Paesi un neo-pregiudicato che pretende di stabilire le nuove regole con cui amministrare la giustizia, non finisce agli arresti domiciliari o ai lavori socialmente utili. Viene portato direttamente in manicomio» (Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2013)
Le radici di tale protervia della corruzione e della delinquenza sono ben descritte in una pagina nella quale Franca Rame racconta la sua esperienza di senatrice: Berlusconi, Mastella e il triplo salto mortale alla Strapagnàn. Anche dalle sue parole si comprende che il problema non è in primo luogo il pregiudicato Berlusconi Silvio e neppure lo sono i suoi complici. Il problema sono coloro che avrebbero dovuto -in sede sia istituzionale sia politica- opporsi ai suoi crimini. Il problema è il Partito Democratico. Gli escrementi non possono che puzzare, com’è nella loro natura. La responsabilità è di chi dovrebbe rimuoverli e non lo fa. Anzi, vi affonda compiaciuto le mani. Per quali motivi?

 

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