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Una madre

Le ciel flamand – Flemish Heaven
di Peter Monsaert
Belgio, 2016
Con: Sarah Vertongen (Sylvie), Wim Wilaert (Dirk), Esra Vandenbussche (Eline), Ingrid De Vos (Monique), Naïma Rodric (Aisha), Serge Larivière (Philippe Leclerc)
Trailer del film

Sylvie gestisce un bordello insieme alla madre. Ha una bambina, Eline, di sei anni che ricolma di tenerezza, tenendola ovviamente lontana dal suo luogo di lavoro. È una donna determinata, che mantiene segrete le proprie fragilità. È cinica il necessario per svolgere il suo lavoro ed è sempre in qualche modo una bimba, fiduciosa nel mondo. Quando Eline le chiede in che cosa consista il suo lavoro, Sylvie risponde «Aiuto le persone che hanno bisogno» – «Come?» – «Abbracciandole». Una risposta assai bella, così come altre che la madre dà alla figlia. Ma il mondo non merita la fiducia che in esso viene riposta. Irrompe un dramma, che sarà il padre della bambina a sanare al di là della legge e al di là della comprensione verso i malvagi, comprensione che è un segno non secondario del degrado delle relazioni sociali.
In Belgio e in altri Paesi del Nord Europa la prostituzione è legalizzata e regolamentata, pur rimanendo un’attività degradante, come si vede anche in questo film. Un Paese cattolico quale l’Italia preferisce invece la consueta ipocrisia della negazione di principio che conduce a lasciare le prostitute in balia della criminalità organizzata e degli schiavisti. Le ciel flamand -‘Paradiso fiammingo’- osserva la vita di queste donne con esattezza, cogliendo nei frammenti dei corpi e negli sguardi l’identità umana in ogni e diversa situazione venga posta. È come se fosse la bambina a spiegare gli eventi, nel modo enigmatico e incompreso in cui lo può fare. I colori sono insieme freddi ed estremi, come la storia narrata. La potenza della maternità emerge in tutta la sua determinante presenza per la nostra specie. Una presenza che non sempre è salvezza ma che quando lo è diventa il rifugio più intimo del dolore bambino.

Sire

King of the Belgians
(Titolo italiano: Un re allo sbando)
di Peter Brosens, Jessica Woodworth
Belgio, Paesi Bassi, Bulgaria 2016
Con: Peter Van den Begin (Re Nicolas III), Bruno Georis (Ludovic Moreau), Titus De Voogdt (Carlos), Lucie Debay (Louise Vancraeyenest), Pieter van der Houwen (Duncan Lloyd)
Trailer del film

In visita di Stato a Istanbul, re Nicolas III viene informato che il Belgio non esiste più, che la Vallonia «si è stufata» dell’arroganza fiamminga e ha dichiarato la propria indipendenza. Nicolas decide di tornare subito a Bruxelles ma una tempesta solare tiene a terra tutti gli aerei e rende impossibili le comunicazioni telefoniche. Duncan Lloyd, regista inglese che sta girando un film promozionale sul sovrano, propone di aggregarsi a una compagnia di ballerine bulgare e da Sofia attraversare i Balcani per tornare a casa. La piccola compagnia formata dal sovrano, dal suo valletto, dalla segretaria personale, dal capo del protocollo e dal regista si mette in viaggio con i mezzi più improbabili, incontra soggetti piuttosto bizzarri, viene persino imprigionata nelle carceri albanesi, sino a essere di nuovo riconosciuta nella sua regalità.
La trasformazione di un monarca ingessato e timido in un essere umano libero e coraggioso. È quanto accade a Nicolas III attraverso l’incontro con gli altri, la storia, la guerra, il canto, la natura. Mentre si sbriciola il suo potere da marionetta, emerge la sua Cura verso se stesso e quindi verso l’alterità.
Il film è tuttavia artificioso e irrisolto, come artificioso e irrisolto è il Belgio. Sembra fatto degli stessi luoghi comuni che esplicitamente denuncia ma nello stesso tempo ha un fondo di divertita amarezza che va oltre le situazioni da commedia che inanella. Applica a un re le formule con le quali Étienne de La Boétie invita alla libertà i sudditi e i «popoli che si fanno dominare, dato che col solo smettere di servire, sarebbero liberi»; «potete liberarvi senza neanche provare a farlo, ma solo provando a volerlo. Siate risoluti a non servire più ed eccovi liberi» (Discorso sulla servitù volontaria, Chiarelettere, 2011, pp. 10 e 14). Ma la riflessione sul potere, sull’Europa, sull’identità del Belgio, rimane in filigrana dietro la figura di questo sovrano titubante e allampanato. Neppure la trovata tecnica del film, che sembra girato dal regista Duncan Lloyd con un cellulare, risulta alla fine determinante per gli esiti di quest’opera. Siamo molto distanti dalla bellezza e dalla potenza metaforica del precedente film di Brosens e Woodworth, La quinta stagione. Ed è un peccato di lesa maestà.

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