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Tra Chicago e la miseria

Capire l’economia non è facile. Un articolo di Archimede Callaioli -pubblicato sul numero 309 di Diorama letterario, pp. 1/5- aiuta a comprendere meglio gli scenari macroeconomici del presente. Non tutto in questo testo è convincente, a partire da un eccessivo apprezzamento per il modello economico tedesco e dalla distinzione tra i lavoratori cinesi che lavorerebbero dieci ore al giorno per tutta la vita mentre quelli occidentali non aspetterebbero che di diventare “rentier”, godendo per molti anni di una pensione. Liquidazioni e pensioni non sono un regalo dei governi o delle aziende ma soldi che i lavoratori -soprattutto dipendenti- sono obbligati a versare proprio in vista della cessazione dell’attività lavorativa. Non solo: alla stregua di redditieri sarebbero da considerare tutti i salariati e gli stipendiati, tesi semplicemente bizzarra.

Al di là di questi limiti, l’analisi di Callaioli si rivela molto accurata e capace di spiegare bene ciò che sta accadendo all’economia globalizzata. L’Autore riferisce che il capo della Federal Reserve, Ben Bernanke, è uno dei maggiori studiosi delle politiche rooseveltiane, che si propone di ricalcare per uscire dalla crisi attuale. Una differenza clamorosa è però che mentre il New Deal impose la separazione tra le banche commerciali e quelle di investimento, i presidenti statunitensi da Reagan in poi hanno prima depotenziato e poi ufficialmente abolito tale distinzione, lasciando campo libero al dominio della speculazione finanziaria. Ma la differenza principale rispetto agli anni Trenta consiste nel fatto che «fu l’inflazione il vero fulcro dell’azione rooseveltiana, quella che permise di minimizzare i debiti e di ripartire praticamente da zero: le politiche espansive, la guerra e la ristrutturazione industriale ebbero effetto solo in quanto la loro ricaduta fu l’inflazione», la quale azzera i debiti ma anche le rendite. Proprio per questo essa non è più praticabile, poiché la massa dei percettori di rendite -pur se minime- è ormai tale che un loro azzeramento comporterebbe una catastrofe sociale: «una ondata inflattiva getterebbe sul lastrico quasi tutti i pensionati (decine di milioni di persone), con effetti che si possono facilmente immaginare, e che dobbiamo sforzarci di tenere presenti perché questo irresolubile dilemma è un ulteriore indizio del fatto che la crisi è la crisi  definitiva di un sistema».

Importante è anche la critica che l’Autore rivolge al culto tributato al Prodotto Interno Lordo -che è «il valore monetario dei beni e dei servizi finali -consumi, investimenti fissi, variazioni sulle scorte, esportazioni- prodotte in un anno sul territorio nazionale al lordo degli ammortamenti», il quale «può forse misurare la ricchezza prodotta da un paese ma non è una rappresentazione attendibile del suo benessere. Infatti, se aumentano gli ammalati di malattie gravi che richiedono cure costose, aumenta il Pil, ma il benessere generale probabilmente diminuisce». In sistemi dove la sanità e i servizi essenziali sono a carico dei singoli, come quelli anglosassoni, il Pil risulta dunque sovrastimato e per essi «vale il noto aforisma che l’eroe del Pil americano è un malato di cancro che sta divorziando, probabilmente non l’immagine migliore di una persona felice».

Callaioli descrive due modelli assai diversi per uscire dalla crisi attraverso il cosiddetto “rigore”: quello statunitense e quello tedesco. Il primo è dogma della troika costituita dai responsabili dell’Unione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, a proposito del quale «memorabile resta l’invettiva di Hugo Chávez: “su Marte c’era vita, poi ci ha pensato il Fondo Monetario Marziano”».

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I banchieri

Avevo auspicato che l’Europa ci liberasse da un governo infame. E così sembra.
Liberarci dalle macerie dalla sconcertante volgarità, dal malaffare, dall’incapacità amministrativa sarà assai più difficile. Gli ultimi anni del berlusconismo ci hanno condotto alla soglia della catastrofe economica. A evitarla sono stati chiamati i banchieri, nella persona di Mario Monti. Costui è stato un importante membro della Goldman Sachs, la più grande banca d’affari del mondo e tra le prime responsabili dell’attacco speculativo contro l’Italia. Le premesse sono quindi pessime, perché affondano nel dominio della finanza mondiale e dei suoi istituti volti all’arricchimento di gruppi ristretti e alla subordinazione di interi Paesi ed economie alle loro volontà.
Come ha scritto Marco Tarchi in una sua mail, «dall’era dei pagliacci passiamo a quella dei banchieri». Il passo avanti è il ritorno alla politica dopo una lunga fase psichiatrica e criminale. Ma non nutro alcuna illusione sulla volontà della finanza ultraliberista di risolvere i problemi da essa stessa generati. La Banca Centrale Europea è un istituto di diritto privato, che fa gli interessi di se stessa e della finanza, non della società e dei cittadini. Altre sarebbero le vie da percorrere per un reale risanamento delle economie. In Italia, ad esempio, si otterrebbe un enorme risparmio di pubblico danaro mediante la cancellazione di opere insensate come il TAV e il ponte sullo stretto di Messina; il ritiro dalle guerre della Nato; la rinuncia all’acquisto di cacciabombardieri il cui costo supera quello delle spese per la ricerca e l’istruzione. Tutto questo sarebbe praticabile immediatamente e a costo zero.
Condivido dunque il pensiero di Dario Generali, secondo il quale «Monti risanerà sicuramente il bilancio, ma come l’ha risanato Prina con la tassa sul macinato, cioè finendo l’operazione in atto da anni di riportare i lavoratori nelle condizioni di servi. È probabile che agisca anche sui ceti più abbienti, mettendo in pratica le misure di risanamento proposte sia dalla destra che dalla sinistra, in modo da dare l’impressione di un’illusoria equità nei sacrifici. Un conto però sarà far pagare una patrimoniale a ricchi che si stracceranno per questo le vesti, ma non saranno minimamente toccati da questa misura nel loro tenore di vita e un altro sarà eliminare l’art. 18 per i lavoratori, che perderanno così ogni tutela, o far lavorare tutti, indipendentemente dagli anni di contribuzione, sino a 67 anni, o rendere licenziabili gli statali, ecc.
La vere misure di equità da prendere in Italia sarebbero quelle di eliminare i privilegi dei politici e dei loro clienti e di combattere veramente l’evasione fiscale. Non credo che sarebbe necessario altro, visto che ora la quasi totalità dei lavoratori autonomi evade il fisco in misure significative e talvolta enormi. Di buono ci sarà però almeno un esecutivo dignitoso che non sarà indecente come lo è stato quello berlusconiano».

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