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L’ostinata passione

L’Olimpiade
di Antonio Vivaldi (1734)
Testo di Pietro Metastasio
Atto II, 15; Aria Gemo In un Punto e Fremo – Allegro
Rinaldo Alessandrini, Concerto Italiano & Sara Mingardo

«Gemo in un punto e fremo
fosco mi sembra il giorno
ho cento affanni intorno
ho mille furie in sen.
Con la sanguigna face
m’arde Megera il petto
m’empie ogni vena Aletto
del freddo suo velen»

L’amore, un’ossessione. Questo «infinito abbassato al livello dei barboncini» (Céline, Viaggio al termine della notte, Corbaccio 1992, p. 14), «questa troppo facile parola» pronta a farsi «la bugia più fonda / il regno del più umile dolore». L’amore, eppure, rimane una forza ostinata che l’ostinato musicale di Vivaldi trasforma in un andare nell’inquietudine, nella lotta, nel sangue.

[audio:Vivaldi_Olimpiade.mp3]

Artemisia, la carne

Artemisia Gentileschi. Storia di una passione
Palazzo Reale – Milano
Sino al 29 gennaio 2012

Muse e ninfe maliziose e seducenti; monache orgogliose e temibili; dame altere e potenti; antiche regine -Cleopatra- e peccatrici -Maddalena-; allegorie della pittura, della musica, della pace, della retorica, della fama; Betsabee al bagno; guerriere bibliche, tra le quali domina Giuditta che con meticolosa calma trancia la testa a Oloferne, alla quale si aggiungono Giaele che conficca con un martello un chiodo nella tempia di Sisara e Dalila che toglie ogni forza a Sansone. La più straordinaria tra queste donne è forse una samaritana dalla posa e dallo sguardo assolutamente scettici che discute con un Gesù chiaramente in difficoltà. Ma sono tutti i maschi a subire inganno e vendetta nei dipinti di Artemisia Gentileschi.
Che cosa rovina questi uomini? L’eros? L’intelligenza? La menzogna? Certamente la corporeità, che dalle opere di Artemisia tracima col suo splendore e con la sua potenza. L’Allegoria della pittura è una coscia femminile che riempie il quadro e che si allarga a un corpo adagiato, lucido, sognante.
L’allestimento di Emma Dante regala ulteriore fascino a questa “pittora” ammirata nelle corti di tutta Italia e che a Napoli trovò forse il luogo più congeniale alla sua passione, oltre che la morte. Tra fulgenti lapislazzuli, fiotti di sangue e caravaggesche lame di luce, è la carne che trionfa in Artemisia.

Ferita d'amore

22 ottobre 2011 –  Teatro Arsenale – Milano
Ferita d’amore.
Musiche in habito tiorbesco di Bellerofonte Castaldi
Evangelina Mascardi – tiorba
Marco Beasley – tenore

La tiorba è lo strumento principe di Bellerofonte Castaldi, compositore e poeta vissuto tra il 1580 e il 1649. Uno strumento che ai suoni del liuto aggiunge la possibilità di un basso continuo prodotto da un numero variabile di corde. Evangelina Mascardi è tra le più importanti tiorbiste contemporanee, il cui tocco è capace di restituire sia i suoni più delicati che quelli persino orchestrali dello strumento. In questa serata è stata accompagnata dal tenore Marco Beasley, la cui voce non è stata comunque un esempio di potenza del canto. Molto interessante il contrasto fra i testi di Castaldi -colmi di passione, di desiderio e di dolore- e la sua musica, sempre rasserenante.
Non possiedo brani eseguiti da Mascardi e propongo quindi l’ascolto di “Saetta pur saetta” da Battaglia d’amore eseguita dall’ensemble «Il Furioso». Il testo, tra l’altro, recita: “Sempre ti voglio servir, / se ben a languir / crudo Amor mi destina: / ma la mia fede nel dolor s’affina. / Di stelle ignudo il cielo / e sarà privo del suo lume il giorno / pria ch’io non ami ’l tuo bel viso adorno”.

[audio:Castaldi.mp3]

Barocco

Stagione 2011-2012 dell’Associazione Musicale Etnea
7 ottobre 2011 –  Palazzo Biscari – Catania
Balli italiani
Variazioni a tre nell’Italia barocca
Musiche di Merula, Marini, Pesenti, Vivaldi, Falconiero,Vitali, Corelli, Reali
Sonatori de la Gioiosa Marca

Gioiosa è davvero la musica quando chi la esegue si diverte e si fa una sola cosa con quei suoni che ci ricordano come l’esistenza sia un intrico di geometria e di scarto dal prevedibile, dal già fissato. E allora gli attimi possono danzare, come si faceva al ritmo delle ciaccone, delle passacaglie, delle follie, dei capricci, del passo e mezzo, che rendono il Barocco una festa permanente, malinconica, aritmetica.
I sonatori della marca trevigiana hanno interpretato tale repertorio con la lievità e il rigore da cui queste musiche sono scaturite. E come regalo ulteriore ci hanno offerto due brani di Marco Uccellini (1603 ca. – 1680), uno dei quali è l’Aria sopra la Bergamasca che propongo all’ascolto e che invito a ballare  😀

[audio:Uccellini_Bergamasca.mp3]

Il potere, il suo segreto

BREVIARIO DEI POLITICI secondo il Cardinale Mazzarino
A cura di Giovanni Macchia
Rizzoli, Milano 1989
Pagine XXXV – 160

Il teatro, il simulare e il dissimulare, il tacere e l’osservare, il conservare segreti propri e l’apprendere quelli altrui. Anche dalle pagine di questo sobrio manuale del potere il Seicento si delinea come un’età di vertigine. Il vortice della finzione afferra nel suo gorgo ogni attimo e tutte le azioni, sino a coinvolgere il Sé profondo.
Chi intenda, in qualunque ambito e a ogni livello, governare gli umani e le situazioni deve prima di tutto volgere lo sguardo su di sé per conoscere il limite che lo costituisce. Da questa amara ma serena consapevolezza di ciò che non si è si deve partire per diventare ciò che si vuole. Lo strumento principe è il segreto, quasi una metafisica ossessione di non apparire se non quando ogni rischio è cessato. Per conservare il segreto, l’Autore individua tre mezzi. Innanzitutto tacere: «Per lo più passatela in silenzio» (pag. 66), «parla pochissimo, perché è agevole a sdrucciolare in trascorsi di lingua, quando molto si discorre» (73). Poi simulare, fingere in ogni occasione «umanità e cortesia» (11), acquisire con ogni mezzo fama di uomo virtuoso e magnanimo, perché «se una volta hai guadagnato grado di grand’uomo, anche fallando, i falli stessi ti saranno attribuiti a gloria» (32). Infine e soprattutto dissimulare. In questo verbo prediletto dai trattatisti secenteschi si condensano il silenzio e la finzione. Non un’apologia della menzogna ma solo del nascondimento, poiché non è bene apparire sempre ciò che davvero si è. In tal modo, infatti, si offrirebbero troppi appigli ai nostri nemici per conquistare la nostra persona. E dunque «nell’apparenza esteriore vestiti di tutti contrarj affetti, a quei che nascondi nell’animo» (71).

Da tale gioco quasi geometrico di affetti, delusioni, illusioni e controlli si delinea, forse paradossalmente, una particolare forma di virtù. Quella per cui «bisogna nell’encomiare, o biasimare altrui, non isfogare in troppe esaggerazioni» (38); trattare «riverentemente con ognuno, come appunto egli fosse tuo Superiore» (76); «non far insulto a’ perditori» né ad alcun rivale, appagandosi «solo della vera vittoria» (55); non imbrattarsi «mai le mani dell’altrui sangue, per non alzar grido di sanguinario e crudele» (107) e piuttosto esser «mite, o fatti apprender tale da’ sudditi, che stretto, e rigoroso» (63). Una moderazione, un equilibrio, una magnanimità e prudenza direttamente commisurate alla potenza, anzi prova e indice chiarissimo di una potenza vera. Sta qui, in questo rispetto dell’avversario, anche quando lo si sta per rovinare, il realismo di Mazzarino, il suo segreto: «Prenda pur volentieri per se altri tutta la stima; tu va in traccia per te d’una ferma, e robusta potenza» (123).

Le vicende editoriali di questo testo, edito nel 1684 in latino, tradotto in italiano nel 1698; la questione del suo vero autore -forse non Mazzarino ma certo qualcuno che lo costruì «sulla sua ombra, sul fascino che essa esercitò» (p. XI); la ricchezza e la bellezza delle sue pagine, vengono chiarite nella splendida introduzione di Giovanni Macchia (già apparsa come testo a sé in Tra Don Giovanni e Don Rodrigo, Adelphi 1989, pp. 59-92), che di questo libro costituisce la vera, intima recensione.

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