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Il barocco di Britten

MI-TO Settembre Musica 2013
Conservatorio G. Verdi – Milano – 12 settembre 2013
Britten / Benjamin
Philarmonica 900 del Teatro Regio
Direttore Gergely Madaras
Musiche di Benjamin Britten e George Benjamin

Ancora la coppia Britten / Benjamin a MiTo 2013. Stavolta però l’orchestra è la Philarmonica 900 e il direttore l’ungherese Madaras. Orchestra, direttore e soprano (Claire Booth) che sembravano divertirsi molto.
Di Benjamin sono state eseguite A Mind of Winter (1981) -da un testo poetico di Wallace Stevens- e Dance Figures (2004), nove movimenti tra i quali il più coinvolgente è quello dedicato alle percussioni (Hammers, appunto) con la sua energia ciclica e tribale.
Di Britten le Variazioni su un tema di Frank Bridge (1937) costituiscono un tipico esempio della musica inglese di inizi Novecento, al limine tra rinnovamento e ancoraggio alla tradizione. Una fusione che riesce perfettamente nella celebre The Young Person’s Guide to the Orchestra (1946), una serie di variazioni su un tema dell’Abdelazar di Purcell. Britten mostra qui sia la sua capacità didattica nel porre in evidenza i diversi gruppi di strumenti sia la capacità artistica nel creare una meravigliosa suite. Il Theme iniziale costituisce la convergenza di tutta l’orchestra in un barocco indistinguibile dalla contemporaneità. Propongo l’ascolto di questo tema nell’esecuzione della Philharmonia Orchestra diretta da Djong Victorin Yu.

 

 

[audio:Britten_Theme.mp3].

 

 

 

 

Antirealismo

La grande bellezza
di Paolo Sorrentino
Con: Toni Servillo (Jep Gambardella), Carlo Verdone (Romano), Carlo Buccirosso, Massimo Popolizio, Sabrina Ferilli (Ramona), Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari,  Massimo De Francovich, Franco Graziosi, Sonia Gessner, Luciano Virgilio, Serena Grandi, Lillo Petrolo
Italia – Francia, 2013
Trailer (da vedere, un film in sé)

Vuota, notturna e luminosa, cafona e splendente, edonistica e mistica. Irreversibilmente corrotta e del tutto inventata. Questa è la città che scorre tra le parole di Jep Gambardella, colui che non voleva essere soltanto il re delle feste ma chi le feste le faceva fallire. Scorre Roma tra i pensieri di quest’uomo, i suoi desideri finiti, la sua profonda saggezza e la totale calma. Scorre rassegnata ed eterna tra attrici fatte e disfatte, cardinali gastronomi, presuntuose performer, chirurghi taumaturghi e cialtroni, mafiosi in incognito, sessantottini ricchissimi, drammaturghi delusi, badanti cosmopolite, turisti morenti, industriali danzanti, sante spente e centenarie, candide spogliarelliste, padri infantili, nane giornaliste, maghi e giraffe, aristocratici a noleggio.
Scorrono i ricordi di Jep Gambardella, le sue memorie di un amore lontano dentro il mare. Il soffitto si trasforma in acqua, solcata dalla nostalgia e dal sogno. Il Tevere scorre tra palazzi irreali, tra argini lenti, tra sogni perduti e incanti mai avuti. Scorre il film tra musiche raffinatissime e banali. Scorrono gli occhi dello spettatore immerso nella placenta che il cinema è sempre stato e che qui trionfa, grembo colorato, suadente, onirico e ironico.
Una Babilonia nichilistica.
Se fossi un regista, vorrei girare in questo modo i miei film. Pura forma, puro linguaggio, puro miraggio. Trionfo sulla volgare ingenuità di ogni realismo cognitivo e metafisico. Grande bellezza della mente.
L’epigrafe è tratta da Céline.

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15.6.2013

Ho rivisto il film e ne ho gustato ancor di più la profondità antropologica e la bellezza formale. Di essa è parte essenziale la colonna sonora. Senza la musica sarebbe un altro film. L’alternarsi di composizioni raffinatissime -come quelle di Zbigniew Preisner, David Lang, Magnus Perotinus, Henryk Górecki, Arvo Pärt- e di brani pop esprime perfettamente la cifra duplice dell’opera. Che, ribadisco, è un’opera sulla mente, sui ricordi, sul mondo interiore che la memoria corporea produce.

Credo che uno degli equivoci di molti critici e di numerosi spettatori sia stato confrontare La grande bellezza con i film felliniani. Si è trattato di un riflesso quasi condizionato ma radicalmente errato. Rivedendolo, mi è stato ancor più chiaro che al centro del film non c’è Roma ma «la grande bellezza che ho cercato, senza trovarla» come afferma verso la fine il protagonista. Non è un film sulla Roma barocca ma è un film barocco. Un’opera quindi sul tempo, sulla morte e sui loro simboli.

La malinconia del barocco

Una tristezza lieve afferra a volte la vita. Non disperazione, no. Né consapevole affrontamento dell’assurdo. Un’amarezza, piuttosto, fatta di giustizia negata ai nostri desideri, di nostalgia per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, di una lenta dissoluzione nel crepuscolo.
L’Overture di Dido & Aeneas di Purcell mi sembra che ben esprima e comunichi un tale sentimento dell’esistere. La regina abbandonata provò certamente un rimpianto senza luce prima di decidere che il suo corpo, «una volta per lui adorno / di dolci fiori colti all’imbrunire», venisse restituito alle tenebre dalle quali era sorto.

Dido & Aeneas
Overture (1689)
di Henry Purcell
The Mermaid Orchestra (1952)

[audio:Purcell_Dido.mp3]

Molière, Purcell, la morte

What power art thou
di Henry Purcell
da King Arthur, Atto III, scena II (1691)
Deller Consort
Maurice Beavan – Baritono
Alfred Deller – Direttore

Per la scena conclusiva del suo Molière (1978) Ariane Mnouchkine scelse un brano dal King Arthur di Henry Purcell. Si tratta di un “ostinato” che nel ritmo dolente e tenace della voce esprime tutta l’ineluttabilità del morire.
Invito a guardare e ascoltare con attenzione questa bellissima scena, nella quale l’attore/drammaturgo -colto da malore mentre sta recitando- viene portato a braccio dai suoi attori e amici lungo le scale. Durante l’agonia Molière ricorda i giochi tra la neve o il continuo viaggiare della sua Compagnia. L’amata che lo segue -ultimo personaggio ad apparire- non potrà più raggiungerlo. Troppo tardi l’amore si svela a volte ai mortali.
Ma la più importante delle memorie è l’abbraccio con la madre da bambino. Sì, gli umani morendo invocano quasi sempre la madre. Perché è la madre che li ha consegnati alla morte mettendoli al mondo.

Realtà

Reality
di Matteo Garrone
Con: Aniello Arena (Luciano), Loredana Simioli (Maria), Nando Paone (Michele), Raffaele Ferrante (Enzo), Nello Iorio (Massimone), Ciro Petrone (barista)
Italia, 2012
Trailer del film

«Osservate la locandina del film (magari cliccando sopra per ingrandirla). Un ambiente visto dall’alto. Con alcune poltrone intensamente illuminate. Su quella in alto a sinistra sta sdraiato un uomo con le braccia incrociate dietro la testa. Tutti possono guardarlo. Il luogo è insieme chiuso e aperto. Quel soggetto ha raggiunto la pace. È diventato una sola cosa con lo splendore dell’immagine, con l’iridescenza della “Casa”. La vita di quest’uomo è cambiata da quando, quasi per caso, ha partecipato a una delle tante selezioni per il Grande Fratello. Lavoro, affetti, amici, famiglia, si sono a poco a poco dissolti nell’ossessione di un futuro di notorietà, di soldi, di luci. L’ambiente di lavoro ha cominciato ai suoi occhi a pullulare di persone inviate dal Grande Fratello a controllare se abbia detto o no la verità. Per mostrare a queste presenze la propria forza e originalità Luciano dà inizio a un vero e proprio potlatch, a uno spreco di beni, di risorse, di tempo, di senso».

Così comincia la recensione pubblicata sul numero 15 – ottobre 2012 di Vita pensata (pp. 65-67). Qui aggiungo quanto scrive Franco Berardi Bifo in un suo articolo dal titolo Incubi e schermi. La cornice perfetta, pubblicato a pagina 28 del numero 25 – dicembre 2012/gennaio 2013 di Alfabeta2:
«La fascinazione dello schermo e la cattura della mente sono irreversibili, e Reality di Matteo Garrone è il film definitivo sul potere biopolitico contemporaneo. Proprio oggi che in Italia credono che Berlusconi abbia perduto il potere, Garrone dice la verità: è vero il contrario. Berlusconi può essere sconfitto sul terreno fittizio della politica, un consulente della Goldmann Sachs può andare al suo posto per realizzare lo stesso programma, magari una coalizione di centro-sinistra può vincere le prossime elezioni. Ma l’Italia non esce dallo schermo.
Neo-realismo e barocco si incontrano perché il barocco è la realtà della storia italiana moderna. Quelli che credono che la corruzione e la demenza italiana siano il lato malato della sana austerità liberista, come al solito, non capiscono niente. Non capiscono cos’è la realtà del Semiocapitale, che si fonda sull’illusione ottica, l’ipertrofia dell’immagine, l’inflazione proliferante di flussi linguistici e la manipolazione predatoria dello scambio (semiotico ed economico tra loro confusi, interdipendenti). […] L’Italia è il laboratorio barocco della dittatura mondiale dell’ignoranza».
Reality è uno dei film più belli e più importanti di questi anni.

Bach. Il come e l'altrove

21 settembre 2012 – Teatro Coppola – Catania
JSB – Come Bach
Primo studio

di Lavoro Nero Teatro

Interpreti
Cristiano Nocera – voce recitante
Johanne Maitre – oboe
Enrico Dibbenardo – clavicembalo

 

«Immaginate una pozza di neve sciolta…», così comincia questa narrazione della vita di JSB. Una pozza d’acqua vicino alla quale un bambino di dieci anni, da poco rimasto orfano, attende. E poi la formazione da autodidatta, i viaggi a piedi per centinaia di chilometri tra le diverse regioni della Germania, i primi incarichi, i conflitti, gli amori. L’amore assoluto è per Frau Musik, per la Signora Musica. Ma forse neppure Johann Sebastian Bach si rendeva conto di che cosa la musica avrebbe fatto per lui e lui per la musica. Bach non è infatti un musicista, un compositore, un artista, per quanto eccelso. Bach è la musica. A partire da lui tutto è cambiato, il contrappunto è diventato la regola del pulsare e dello stare; la concertazione ha assunto arditezze prima impensabili; a essere “ben temperata” è stata la vita di chi nelle sue note disumane si immerge. Disumane perché probabilmente Bach è stato un’entità venuta dall’altrove a insegnarci che cosa possano fare il silenzio e i suoni tra loro mescolati. Ma Bach è stato anche un umano -uno di quegli umani che da soli giustificano l’esistenza della specie- e questo spettacolo racconta la sua calda e spesso difficile umanità. Un work in progress come lo ha definito Cristiano Nocera, autore e voce recitante, che sulla base della documentazione disponibile sta costruendo e ricostruendo gli anni della vita di Bach. E lo sta facendo, con rigore e leggerezza, per quel Teatro Coppola che da luogo abbandonato e dismesso dagli immondi amministratori di Catania è diventato uno dei centri culturali più vivaci della città.
La voce bella e calda di Nocera si è alternata alle note eseguite dai musicisti. E Bach è tornato tra noi. Noi «come Bach».

«Dentro il fasto verminoso dell’eternità»

Marche pour la Cérémonie turque
di Jean-Baptiste Lully
da Le bourgeois gentilhomme
(1670)

Molière ha colto in modo esatto la divertita insignificanza dell’umano. Il borghese gentiluomo è l’ossimoro nel quale questo genio ha racchiuso un intero mondo di penose ambizioni, di ferocia sociale, di carrierismi grotteschi, quelli che inducono chi si pone sulla china del potere e della mondanità ad assorbire come una droga l’innalzamento di funzione e di carica. E a non accorgersi più di quanto siano ridicoli nella loro smania di allontanare in questo modo la morte, che per fortuna verrà a prenderli. Tutti. Qualunque grado abbiano raggiunto in questo mondo di tenebra.
Lully ha colto la profonda malinconia della satira di Molière e le ha regalato musiche che sono pensiero. La Marche pour la Cérémonie turque è una cadenza di trionfo che in realtà è una marcia funebre.

[audio:Lully.mp3]
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