Segnalo il link alla ripresa video (ahimè un poco statica, in compenso io mi muovo come un tarantato) della relazione su Elena / Ἀνάγκη che ho svolto a Siracusa il 19.9.2020 nell’ambito del Convegno su Mitomania 2020.
Spero che chi seguirà questa lezione (che dura i primi 48 minuti del video) possa trovarvi qualche indicazione su Enea, su Elena, sul mito, sull’assenza come struttura dalla quale il mito scaturisce. A quest’ultimo elemento ho accennato nel breve intervento/risposta successivo alle relazioni (a 2 ore e 15 minuti della registrazione)
La lezione si conclude con la lettura di alcuni miei versi dedicati a Didone. A Didone innamorata, a Didone abbandonata, a Didone nel vuoto dell’assenza e nella pienezza della morte.
(Come sempre quando si parla, non mancano qua e là delle imprecisioni e anche degli errori, di cui mi scuso).
Vivian Maier / Assenza
in
Gente di Fotografia
Anno XXIV, n. 70, marzo 2018
Pagine 102-103
In questo testo riprendo e cerco di approfondire quanto accennato nella breve recensione alla mostra di Vivian Maier a Catania. Chi lo leggerà si accorgerà che c’è in esso qualcosa di insolito e che giustifica l’apparire qui sopra di una foto non di Maier ma di Jan Saudek: Hungry for your touch.
Teatro Massimo ‘Vincenzo Bellini’ – Catania
Don Giovanni
di Mozart – Da Ponte
Dal dramma El burlador de Sevilla y convidado de piedra di Tirso de Molina, attraverso il libretto Don Giovanni o sia Il convitato di pietra di Giovanni Bertati per Giuseppe Gazzaniga
Regia: Francesco Esposito
Direttore d’orchestra: Salvatore Percacciolo
Allestimento del Teatro della Fortuna di Fano
Sino al 20 ottobre 2017
Una volta si usava portare al collo, soprattutto da parte delle donne, collane con al centro il volto di una persona cara, perlopiù scomparsa. Tale immagine domina la scena di questo allestimento del Don Giovanni e assume diverse funzioni, sino a quella del Commendatore che trascina con sé nella morte il dissoluto. Un modo per cercare di restituire la tonalità e il senso di ciò che accade nella potente metafora del desiderio totale e impossibile, della lievità unita alla morte, del Grande Altro e della sua sterile vittoria.
Il testo di Da Ponte e la musica di Mozart sono capaci di esprimere -più di ogni altra versione del mito- la molteplicità e l’unità di Don Giovanni, che continua a chiedere a se stesso di apparire alla finestra, di diventare la femmina che finalmente meriti il suo amore, che è grande, che è veramente grande, perché è l’amore rivolto alla vita, all’orgasmo, all’intero.
Un intero che nell’opera si condensa nei due soli personaggi che in realtà compongono la scena. Uno è il Commendatore, che apre e chiude la vicenda, l’altro è la Coppia.
La coppia di nobili amanti -Donna Anna e Don Ottavio-, la coppia di contadini -Zerlina e Masetto-, la donna consapevole ma totalmente innamorata -Donna Elvira-, il servo che critica il suo padrone ma sempre fedele gli resta -Leporello; l’amante seriale che trova senso soltanto nella variazione continua dell’oggetto amato.
Don Giovanni è l’amante, è la donna innamorata, è la duplice coppia, è se stesso ed è il suo doppio. Don Giovanni è il desiderio nella varietà delle sue forme, al quale si contrappone la Regola. Don Giovanni ha ucciso la Regola ma essa gli è rimasta dentro a tormentarlo sino alla fine.
E infatti in questa messa in scena il libertino è sempre accompagnato da ragazze che si trasformano di volta in volta in amanti, in maschere della morte, in giudici.
Buone le voci femminili, per lo più carenti quelle maschili. La direzione d’orchestra e la resa musicale mi sono sembrate nel complesso modeste, tranne in alcune arie.
Duemilasessantacinque sono le donne conquistate dal «dissoluto punito» e che Leporello ha ordinatamente registrate nel suo catalogo. Tante, ma non ne formano una sola o è sempre la stessa assenza. Forse è questo l’inferno di Don Giovanni.
[Il catalogo è cantato dal Leporello di José van Dam, con l’Orchestra e coro dell’Opera di Parigi, diretta da Lorin Maazel]
Madamina, il catalogo è questo
delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt’io:
osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta,
in Lamagna duecento e trentuna,
cento in Francia, in Turchia novantuna,
ma in Ispagna son già mille e tre.
V’ha fra queste contadine,
cameriere, cittadine,
v’han contesse, baronesse,
marchesane, principesse,
e v’han donne d’ogni grado,
d’ogni forma, d’ogni età.
Nella bionda egli ha l’usanza
di lodar la gentilezza;
nella bruna, la costanza;
nella bianca, la dolcezza.
Vuol d’inverno la grassotta,
vuol d’estate la magrotta;
è la grande maestosa,
la piccina è ognor vezzosa.
Delle vecchie fa conquista
pe ‘l piacer di porle in lista:
ma passion predominante
è la giovin principiante.
Non si picca se sia ricca,
se sia brutta, se sia bella:
purché porti la gonnella,
voi sapete quel che fa.
Una promessa
(Une promesse)
di Patrice Leconte
Francia-Belgio, 2014
Con: Rebecca Hall (Lotte Hoffmeister), Alan Rickman (Karl Hoffmeister), Richard Madden (Friedrich Zeitz), Shannon Tarbet (Anna)
Trailer del film
1912. Un ricco industriale tedesco assume il giovane impiegato Friedrich Zeitz, il quale è cresciuto in un orfanotrofio e si è dedicato allo studio come all’unica sua possibilità di riscatto. Herr Hoffmeister apprezza molto l’intelligenza, l’inventiva, la tenacia di Friedrich, che diventa presto suo segretario personale e uomo di fiducia. Friedrich si trasferisce dalla misera soffitta in cui abita alla ricca dimora del capo, ne conosce la giovane moglie -Lotte- e il figlio, entra nella famiglia e quasi inevitabilmente nel cuore di Lotte. Viene però trasferito in Messico, come responsabile degli investimenti della ditta in quella zona. Friedrich e Lotte si scambiano la promessa di amarsi al suo ritorno, previsto dopo due anni. Ma di anni ne passano assai di più. La Germania perde la guerra, la miseria dilaga, Hoffmeister muore, Lotte è sola e continua a scrivere lettere al suo amato lontano, nonostante le vengano ormai tutte restituite. Una telefonata la risveglia dal suo lutto. Friedrich è tornato. Potrà la promessa resistere al tempo?
Tratto da Reise in die Vergangenheit (Viaggio nel passato) di Stefan Zweig, l’opera appare come un classico film sentimentale -formalmente raffinato e ineccepibile- e tuttavia non è soltanto questo. Le due strutture teoriche sulle quali poggia sono infatti l’assenza e il tempo. Assenza dei genitori di Friedrich, assenza del primo fidanzato di Lotte. Assenza dei corpi. Assenza spaziale di Friedrich.
E soprattutto il tempo. Che stempera ogni passione, sfuma ogni promessa, affievolisce ciò che una volta si presentò come inevitabile e che ora è soltanto una delle molte possibilità. Così l’eleganza degli ambienti trascolora nella modestia della nostalgia e i colori smaglianti si offuscano nel lutto della mente. «Con queste e con certe altre anime chiare / triunfar vidi di colui che pria / veduto avea del mondo triunfare» (Petrarca, Triumphus Pudicitie, 145-147).