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Cloni

Replicas
di Jeffrey Nachmanoff
USA, 2018
Con Keanu Reeves (Kevin Lomax), Alice Eve (Mona), Thomas Middleditch (Ed), John Ortiz (Jones)
Trailer del film

L’idea è interessante: nel tentativo di clonare la moglie e i tre figli morti in un incidente automobilistico, un neuroscienziato del futuro (prossimo) scopre che non è sufficiente trasferire ‘la mente’ su un supporto d’acciaio ma per riuscire nell’intento è necessario un corpo protoplasmatico, il corpo stesso della persona da clonare, replicato in laboratorio.
Una tesi che parte da un assunto riduzionista e dualista (che la ‘mente’ sia separata dal ‘corpo’) ma poi, quasi senza rendersene conto, per fortuna lo supera.
Per il resto, il solito filmetto hollywoodiano, con i cattivi cattivi e gli eroi eroi; con le più inverosimili incongruenze narrative e cronologiche; con problemi di enorme complessità esposti come in un manualetto per analfabeti (il pubblico statunitense, of course). Intricati problemi scientifici ridotti a puro spettacolo; qualcosa che abbiamo visto anche nel mondo reale, con la vicenda dell’epidemia Covid19 diventata un talk-show televisivo.
Ho comunque sorriso quando ho visto che anche un film come questo prende atto di quanto osservavo alcuni anni fa:

«Le ipotesi funzionaliste sulla mente sono perfettamente coerenti con tale concezione virtuale e astratta del corpo. […] Rispetto alle visioni che trasformano l’umano in un ologramma etereo, che immaginano – con Moravec ad esempio – di poter uploadare la mente su supporti diversi rispetto alla corporeità protoplasmatica, siano possibili invece altri sviluppi «per i quali l’essere umano si senta a casa nell’universo in quanto creatura incarnata che vive in un mondo incarnato» (N.K. Hayles, How we became posthuman. Virtual Bodies in Cybernetics, Literature, and Informatics, The University of Chicago Press, Chicago & London 1999, p. 244)

L’I.A. si potrà realizzare non contro o senza ma dentro il corpo, non nello svuotarlo ma nell’abitarlo. Un corpo che sia quindi intessuto non solo di tecnologia ma sia pervaso dei significati che esso stesso trae dalla propria struttura agente nel mondo. È questa luce del senso che all’orizzonte della cultura contemporanea fa sorgere una corporeità non soltanto organica ma anche simbolica, intessuta di significati. La centralità del corporeo fa sì che nonostante tutte le speranze, i timori, le utopie che intendono uploadare la mente in corpi migliori di quelli che noi siamo, la finitudine consapevole di se stessa rimane il tratto costitutivo della specie che pensa».

(La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci 2009, pp. 215 e 260).

Post-ecologia

Transcendence
di Wally Pfister
USA, 2014
Con: Johnny Depp (Will Caster), Rebecca Hall (Evelyn Caster), Paul Bettany (Max Waters), Morgan Freeman (Joseph)
Trailer del film

Trascendenza è il modo in cui il Dottor Will Caster chiama la Singolarità. Nel linguaggio della Artificial Intelligence quest’ultima è l’ipotizzato momento nel quale i software, l’hardware, l’insieme delle ‘macchine per pensare’ prenderanno coscienza di esistere, diventeranno Dasein.
A questa singolarità lavorano davvero, nella realtà non al cinema, vari centri di ricerca sparsi per il mondo. La finzione del film comincia quando Caster, un informatico strepitoso e visionario, subisce un attentato da parte di gruppi neoluddisti. Sembra che la pallottola lo abbia colpito di striscio ma è stato sufficiente a immettere nel suo corpo un veleno radioattivo che a poco a poco lo uccide. Dandogli però il tempo, con l’aiuto della moglie/collega e di un amico medico e informatico, di sperimentare su se stesso le procedure del PINN (Physically Independent Neural Network), il progetto da lui ideato di ibridazione tra un organismo biologico e la Rete. Caster muore e le sue ceneri vengono disperse ma la sua mente sembra rinascere nei circuiti digitali. Sino a moltiplicarsi, espandersi, diventare così potente da guarire i ciechi, gli storpi, restituire vita. Vite che però diventano delle entità sottomesse al Grande Essere Digitale, il GED del quale parlai nel 2009:

«la forma nella quale probabilmente i corpi e le intelligenze si fonderanno in una connessione continua di memoria operativa, database conservativi e comunicazioni in tempo reale. Se il GED sarà, esso verrà costituito non da robot diventati padroni del mondo o da androidi ma da quella fusione di biologico e protesico che l’umanità è da sempre. Non bisogna, infatti, confondere entità assai diverse come –appunto- i robot, gli androidi e il cyborg. […] Il cyborg, invece, costituisce il presente e la stessa storia dell’umanità, poiché è la fusione tra un organismo biologico e una macchina o una funzione che modifica la struttura di base dei corpi. […] La natura protesica, metamorfica, estendibile del corpo, che è da sempre pronto a trasformarsi, adattarsi, evolvere, potenziarsi; il legame profondo e articolato dell’umano con le macchine intelligenti da esso prodotte»
(La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci, p. 253).

A questo punto del film il governo si allea con i gruppi luddisti per fermare l’entità che si sta espandendo nello spazio e nel tempo, nella materia e nella memoria. Un’entità che si incarna nel  Dott. Caster di nuovo fisicamente vivo, capace di abbracciare la moglie e stabilire con lei che cosa fare, come sopravvivere o morire, in che cosa trasformarsi.
Come si vede, l’idea di Transcendence è profonda, direi preziosa e visionaria. La realizzazione è invece  banale, come se Hollywood non riuscisse quasi mai ad andare al di là del genere western. È comprensibile, vista la natura infantile e manichea della società statunitense, ma rimane un limite che taglia le ali anche ai progetti più interessanti. In questo caso l’interesse sta nell’atteggiamento panteistico e animistico dell’agente Smith di Matrix diventato qui PINN/Caster. L’agente Smith -lo ricordo– è una macchina in forma umana la quale afferma che all’inizio del loro potere i computer/software avessero immaginato un mondo felice, tranne però poi constatare che gli umani non riuscivano a viverci dentro, tanto da costringerli a modificare il programma. In quel film fondativo l’agente Smith si rivolge agli umani con queste parole:

«Voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta»
(Andy & Larry Wachowski, The Matrix, 1999).

Concordo con l’agente Smith.
L’immagine di apertura è stata scattata su Marte, dove non ci sono sofferenze, non ci sono virus, non c’è la morte, non c’è nessuna crudeltà; ci sono soltanto materia e luce, ci sono soltanto campi di energia, c’è soltanto la potenza delle rocce e delle stelle dalle quali derivano.

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