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Cantiere del ‘900 – 1963

1963 e dintorni.
Nuovi segni, nuove forme, nuove immagini

Gallerie d’Italia – Milano
Sino al 27 ottobre 2013

Milano ha un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea. Nel cuore della città una banca ha voluto dedicare all’arte le sale di un magnifico palazzo di sua proprietà. I nuovi signori si ricordano ogni tanto del mecenatismo praticato dai ricchi di altre epoche. L’ingresso in questo spazio è infatti naturalmente gratuito. Il Cantiere del Novecento si affianca al Museo del Novecento e ne completa la parabola cronologica sino agli sviluppi ultimi del secolo. Si possono dunque ammirare opere di autori italiani di ogni corrente, tra i quali Lucio Fontana e Alberto Burri. Fontana -del quale è presente anche una struttura in metallo che supera di slancio la distinzione tra pittura e scultura- preferiva definire le proprie opere non ‘quadri’ ma ‘concetti spaziali’ poiché, diceva, «per me la pittura sta tutta nell’idea». A questo proposito, in una delle sezioni campeggia una frase di Italo Calvino: «Lo spazio che occupano queste opere è soprattutto uno spazio mentale».

All’interno del Cantiere è stata allestita una mostra temporanea dedicata a 1963 e dintorni. Il 1963 fu un anno di svolta nelle pratiche artistiche e letterarie. Qui lo si ricorda attraverso delle opere realizzate in quell’anno o poco prima e poco dopo. Aperta da due quadri di Piero Manzoni e Francesco Lo Savio, la mostra presenta una grande varietà di materiali, forme, idee, intenzioni, ironie, drammaticità, ma tutte caratterizzate dal gioco geometrico e simbolico in cui consiste l’arte. Enrico Baj intitolò un suo dipinto del 1951 «Vedeteci quel che vi pare», in questo modo rispondendo a quanti ingenuamente vogliono sapere ‘che cosa significa’ un’opera; Giuseppe Uncini scrisse che «le forme non ‘stanno’ nello spazio ma ‘sono’ lo spazio». Immersi nel Cantiere, tra la creatività molteplice dell’invenzione artistica novecentesca, quest’affermazione risulta del tutto evidente.

 

Eleganza / Inquietudine

Pittura Europea dagli anni Ottanta a oggi
Opere dalla Collezione Alessandro Grassi

Palazzo delle Stelline – Milano
Sino al 30 settembre 2013

Dentro il Palazzo delle Stelline, dentro un antico monastero, luogo fatto di ampie stanze, di corridoi, chiostri, scalinate, si dipana un percorso nell’arte contemporanea attraverso le opere collezionate da Alessandro Grassi. Opere assai diverse tra di loro, accomunate dalla presenza per lo più della figura umana, dall’intensità del tratto, dalla preferenza per il colore. Uva e altra frutta gigantesca; corpi dai segni spesso essenziali e geometrici; cerchi e sfere verdissime e a scalare; pienezza dello scuro sulla tela; una grande solitudine, anche quando gli umani sembrano condividere uno spazio, un conflitto, un sogno. L’eleganza e la pulizia del luogo dentro cui si stagliano rendono ancora più evidente il coacervo di inquietudine e di non pace da cui queste opere sembrano essere nate.

 

Materia / Tempo

«…E quindi uscimmo a riveder le stelle»
L’approdo

Galleria San Fedele – Milano
A cura di Andrea Dall’Asta
Sino al 5 luglio 2013

Dodici artisti cercano di descrivere l’andare degli umani dentro il tempo, il trasformarsi delle vite e dei luoghi, la cenere -alla lettera- che rimane (Gaspare), il ritaglio delle parole dentro libri che diventan case e si fanno l’abitare della mente nella città ideale del sapere (Isabella Mara). Ogni cosa è sempre in movimento e basta toccare l’acqua dentro un catino per vedere su uno schermo il liquido diventare poliedrica armonia delle forme (il gruppo auroraMeccanica). Mentre una città post-tutto nasce dalla calce che ricopre materiali di riporto (Fabio Romano), ed è come se in quella dimensione verticale e franta fossimo abituati a stare da decenni di cupa fantascienza, al centro del mondo rimane un Omphalos simile a quello che troneggia a Delphi (Francesco Arecco). E ci ricorda che l’enigma del divenire riposa in qualche segreto che la mente e la bellezza possono sfiorare, nel lampo improvviso della materia eterna.

 

Splendente agli interstizi

Arnaldo Pomodoro. Opere 1954-1960
Una scrittura sconcertante
Fondazione Arnaldo Pomodoro – Milano
A cura di Flaminio Gualdoni
Sino al 28 giugno 2013

Sin dall’inizio l’opera di Arnaldo Pomodoro ha spezzato la bidimensionalità della tela per farsi forma complessa nello spazio. È in questo che consiste soprattutto la «scrittura sconcertante» degli anni Cinquanta, diventata poi il segno inconfondibile delle sfere, dei coni, dei cilindri, delle strutture geometriche con le quali la materia più pesante e densa acquista la leggerezza del pensiero. Nel luogo dove Pomodoro abita e lavora da decenni, in uno dei quartieri più autentici e suggestivi di Milano, è possibile toccare con gli occhi i giardini d’argento mobili nello spazio, con soli e lune splendenti agli interstizi; architetture di una arcaica fantascienza nelle quali il pieno e il vuoto disegnano un abitare che non conosciamo ma verso cui sembra ci sospinga il desiderio. Si torna là dove scaturisce la forza della visione e di ogni altro percepire, in quelle geometrie dal gelo appassionato dentro le quali il bíos gorgogliante della carne diviene figura comprensibile alla mente. Nulla sta fermo sulla superficie che diventa luogo e invenzione dell’ingegno, forma frattale che si apre sul niente e di pienezza lo riempie.

 

Orizzonti e didascalie

Alberto Garutti. didascalia / caption
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea – Milano
A cura di Paola Nicolin e Hans Ulrich Obrist
Sino al 3 febbraio 2013

C’è una manieristica vivacità nel contemporaneo. Emerge con chiarezza in questa mostra che ripercorre l’opera di Garutti scultore, architetto, fotografo, performer. Matasse di nylon lunghe quanto le distanze tra i luoghi dove l’artista vive; piante di ficus che dovrebbero segnare la continuità tra l’interno del PAC e il suo esterno-giardino; strati di moquette ritagliati sull’alternarsi dei mobili e del pavimento nella casa di Garutti; statue di madonne che si accendono sino a raggiungere la temperatura del corpo umano. E così via. Un evidente narcisismo, come se il mondo si potesse racchiudere nelle intenzioni dell’artista.
Più oggettive sono le installazioni che dialogano con le città e dedicate agli abitatori delle strade, ai ragazzi che si innamorano in piccoli teatri, ai bambini che nascono e che nascendo producono l’accensione di alcune luci mediante dei pulsanti posti nel reparto maternità di un ospedale.
Le opere più riuscite sono Didascalia -che dà il titolo alla mostra- e Orizzonte.
La prima raccoglie nel corridoio centrale del PAC migliaia di fogli colorati e accatastati, con stampate le didascalie in varie lingue delle installazioni che Garutti ha sparso per il mondo. Il visitatore può prendere tutti i fogli che vuole e portarseli a casa.
Orizzonte occupa una lunga parete con 19 «lastre di vetro di diversi formati e dimensioni, dipinte sul retro, per metà con pittura nera e per metà bianca» (Catalogo/Guida alla mostra, p. 35). L’effetto è lo spazio che si fa ritmo poiché la linea che divide la metà bianca da quella nera di ogni opera è posta sempre alla stessa altezza e sono le due sezioni colorate a scandire come musica la fuga dei quadri. Il moto e il suo divenire sembrano quindi non finire.

Rigore / Ritmo

Günther Förg – Closer
Galleria Giò Marconi – Milano
Sino al 26 gennaio 2013

C’è una rigorosa bellezza nel contemporaneo. È fatta di semplicità, geometria, formalismo. Di una molteplicità cromatica che scandisce il ritmo della Ripetizione e il rigore della Differenza. Emblematiche di questi caratteri sono le opere di Günther Förg. La loro serialità si apre di continuo alla variazione. La gamma dei colori è costruita su esatte corrispondenze matematiche. I 12 metri di lunghezza dell’opera che occupa la sala più grande della galleria potrebbero continuare in un Mantra dove stasi e movimento mostrano la realtà unitaria dello spaziotempo.

Multipli

Multipli d’artista
Fondazione Marconi. Arte moderna e contemporanea – Milano
Sino al 5 gennaio 2013

 

Appannata la sua tradizionale sacralità attraverso la moltiplicazione degli esemplari, l’opera d’arte non perde tuttavia l’aura benjaminiana. Non si tratta, infatti, di serialità ma di ripetizione. Come se l’unicità si moltiplicasse attraverso gli spazi diventati specchi nei quali la creatività si riflette e si amplia. Al di là delle ragioni commerciali -abbassamento del prezzo di ogni esemplare- c’è qualcosa di strutturalmente interessante nel multiplo. La coesistenza temporale diventa in esso successione spaziale. Esattamente all’inverso del museo, nel quale la coesistenza spaziale delle opere si coniuga alla successione temporale delle epoche.
In ogni caso, Multipli d’artista è una coloratissima e ludica antologia del Novecento (e oltre) in miniatura. Vedere infatti le grandi e meravigliose sculture di Arnaldo Pomodoro diventare oggetto da scrivania dà la sensazione di essere dei giganti. Lo stesso per Christo, che qui non impacchetta monumenti, palazzi e ponti ma -più poeticamente- una rosa. Man Ray reinventa ancora una volta gli oggetti d’uso quotidiano e Lucio Fontana produce su differenti supporti i suoi concetti spaziali, i suoi tagli. Più di tutti è divertente Enrico Baj con le sue sculture realizzate con il Meccano e i suoi generali tronfi, grotteschi, violenti e miserabili. Figure fatte con i materiali più diversi, come l’Horatius Nelson duke of Bronte costituito di conchiglie, medaglie e bussole. Di Baj sono due Specchi nei quali il tema dell’opera diventa anche colui che la guarda. Tra la mostruosità del potere e la dissoluzione del soggetto individuale si apre uno spiraglio di molteplice libertà.

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