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Klein, i luoghi

William Klein. Il mondo a modo suo
Milano – Palazzo della Ragione
A cura di Alessandra Mauro
Sino all’11 settembre 2016

La poetica, le città, la pittura, i film di un artista poliedrico e sempre curioso.
Si comincia con una sala intitolata Astrazioni, nella quale si comprende il fondamento estetico dell’opera di Klein attraverso i suoi oli, le installazioni, la grafica. Poi cominciano le città vissute e fotografate. Di ciascuna di esse, di ogni luogo, Klein sembra trarre la natura, l’essenza.
A New York Klein è nato nel 1928. Ma dagli anni Cinquanta decide di osservarla con occhi diversi: «Era come se fossi un etnografo: trattavo i newyorkesi come un esploratore avrebbe trattato uno zulu». Il risultato sono delle immagini che documentano una società selvaggia, estrema, rozza, senza armonia, violenta anche nella sua serenità e naturalmente del tutto mercantile. Topolino invade Times Square (1998) è un vero e proprio trionfo della volgarità.
La Roma degli anni Cinquanta è vissuta insieme a Fellini, del quale Klein fu assistente per Le notti di Cabiria. Baristi, barbieri, suore, militari, La Sacra Famiglia in Vespa (in tre sulla stessa moto). Una città vivace, sporca, proletaria.
In quegli stessi anni Mosca appare invece malinconica, ordinata, rassegnata e insieme vitale. Di questa visita, Klein scrisse: «Come tutti, anch’io mi ero fatto un’idea dell’Unione Sovietica. E nella mia mente c’erano anche le immagini di Vertov, Rodčenko e compagnia bella, così come le inquadrature televisive del Praesidium, quelle mummie decorate con grugni che sembravano le porte di una prigione. Temevo che mi sarei ritrovato in una città chiusa, noiosa. Ma poi provai una sorta di emozione –niente a che vedere con la rabbia che mi ispirava New York- una specie di malinconia vagamente disperata, quasi tenera, non lontana dal sentimento che avevo provato, in gioventù, leggendo i romanzi russi. Ecco cosa cercai di mostrare –ed ecco in cosa può rivelarsi utile la fotografia, nel mostrare cose e persone per quello che sono. Non tutti i russi cono come Breznev e Andropov».
A Tokyo per Klein «tutto è da vedere, nulla da interpretare». Da vedere soprattutto le cerimonie (del bagno, dell’inchino, delle bolle di sapone). Un insieme di cortesia e di astrazione.
Parigi è il luogo dove Klein ha deciso di vivere. Una città cosmopolita, tradizionale, ribelle, densa, totalizzante.
Altre tre sezioni sono dedicate alla Moda, con immagini assolutamente gelide, le quali mostrano la natura del tutto effimera e arrogante di quel mondo.
Dei Film è possibile gustare numerose sequenze. Questi film nascono, secondo l’acuta ipotesi di Claire Clouzot, dal fatto che Klein «avrebbe voluto girare il prima e il dopo delle fotografie». Sono opere metaforiche, formalmente rigorose, religiose, politiche, ironiche, effimere, laterali rispetto a ogni centro. Molto bella la scena di alcuni detenuti statunitensi che cantano Händel.
Infine Contatti dipinti nei quali –afferma l’artista- «l’esultanza della pittura richiamava la gioia che si prova scattando una fotografia». Le immagini vengono colorate, geometrizzate, rese forma e parte della mente di Klein.

Paladino, i libri, il Quijote

Disegnare le parole. Mimmo Paladino tra arte e letteratura
Milano – Museo del Novecento
A cura di Giorgio Bacci
Sino al 4 settembre 2016

Le opere che Mimmo Paladino dedica ai libri sono di grande ricchezza letteraria, grafica, estetica, sono un piacere degli occhi e dell’intelletto. Le parole, le lettere, le figure si intrecciano in legami sinestetici che rendono visibili alcune delle più alte narrazioni europee. Tra queste: l’Ulisse di Joyce, Pirandello, il Philobiblon di Riccardo de Bury, monaco e vescovo del XIV secolo, Raffaele La Capria, il De Universo che Rabano Mauro compose nel IX secolo, l’Agamennone di Eschilo, i Tristi Tropici di Lévi-Strauss, La luna e i falò di Cesare Pavese, la Divina Commedia pensata, interpretata, illustrata più volte e in forme diverse.

A tali libri e ai dipinti si accompagnano gli acquarelli e il film (girato da Paladino nel 2006) dedicati al Quijote. Un capolavoro liquido e onirico. L’amore, la luna, il sogno, la follia. Visionario. La corazza, le nuvole, il fuoco, le armi. Arcaismi simbolici e silenti. Strutture rabdomantiche e sciamaniche.
La finzione nella quale viviamo si fa verità proprio in quanto costanza della finzione. Un possibile segreto del platonismo, e dunque dell’arte, è che la finzione –la copia- sia la realtà perché è veramente una finzione, che la realtà non sia una copia di qualcos’altro ma che la copia sia l’unica realtà. L’immagine è dunque reale proprio perché è immagine e non altro.
Il Quijote di Paladino mi ha ricordato una frase di Carmelo Bene: «Ferita era la benda e non il braccio» (Sono apparso alla madonna. Vie d’(h)eros(es), Longanesi 1983, p. 208).
Cerchiamo sempre ciò che non si dà, perché ciò che cerchiamo è la Luce.

Arte / Gioco

Adami, Del Pezzo, Schifano, Tadini (50 anni dopo…)
Fondazione Marconi – Milano
Sino al 23 aprile 2016

Tadini. Vacanze_inquieteLa Fondazione Marconi apriva cinquanta anni fa le sue sale in una vecchia casa milanese di ringhiera, trasformata in sede espositiva bellissima e funzionale. La prima mostra aveva come protagonisti Valerio Adami, Lucio Del Pezzo, Mario Schifano ed Emilio Tadini. Quattro artisti tra i più significativi e innovativi del Novecento. A distanza di mezzo secolo la Fondazione ripropone quei nomi e quelle opere, che nella distanza temporale confermano tutto il loro valore.Adami. Miraggio
Si tratta di quattro pittori che raccontano, di quattro narratori. Tadini aveva iniziato proprio come romanziere e poeta, transitando poi alla pittura. Ma anche gli altri mostrano una profonda tendenza a fare della pittura un racconto per immagini, con stili naturalmente diversi. Tadini mediante la geometria. Adamo con il fumetto. Schifano con un monocromo che però nell’insieme delle opere tocca molti differenti colori. Del Pezzo con l’utilizzo dei materiali più diversi, soprattutto elementi poveri; la sua è una pittura che diventa plastica, che si fa scultura.
La dimensione figurativa sembra tornare in tutti senza mai rimanere l’ingenuo riflesso del reale, trasformando piuttosto in immagine visibile anche i contenuti più astratti.
E soprattutto in questi artisti vince la dimensione ludica, l’arte emerge per quello che è: un grande gioco. L’invito creato per l’esposizione del 1965 lo dimostra ampiamente: si tratta infatti di quattro piccoli puzzle ricavati da un’opera di ciascuno degli artisti in mostra. Un gioco, alla lettera, che è stato giustamente riproposto per i visitatori del 2016.

Schifano. Vero_amore

 

Pienezza

Philippe Parreno. Hypothèsis
HangarBicocca – Milano
A cura di Andrea Lissoni
Sino al 14 febbraio 2016

Non è una mostra, non è un’installazione. È piuttosto un racconto che luci e suoni fanno a se stessi, un evento drammaturgico, un set cinematografico nel quale si viene immersi, diventandone attori nello spazio.
Si inizia con la citazione delle stranezze di Duchamp, diventate trasparenze. Si prosegue nel luogo più vasto del grande Hangar, nel quale una lampada si muove ellittica a indicare il cammino del Sole e proiettare sul muro le ombre delle Marquees (le insegne luminose che negli anni Cinquanta reclamizzavano i film nei cinema statunitensi) che ad altezze diverse scandiscono l’intero corridoio, nel quale vengono proiettati dei film di Parreno, vengono eseguite da pianoforti musiche di vari compositori, si illuminano dei led formando strutture e immagini.
Dinamismi, luci, suoni, sinestesie, generano nel corpomente una sensazione di rilassamento, di quiete, di silenzio abitato dalle forme. Si è immersi in un ambiente naturale, artificiale, ambiguo e quotidiano, soprannaturale, cinematografico.
Natura e artificio vi appaiono infatti profondamente coniugati. Il cielo, la pioggia, le nuvole, i tuoni, le albe e i crepuscoli, lampadine, cavi, canzoni. Il parlante silenzio della materia. E poi il rumore dei programmi televisivi, della radio, della pubblicità. Frammenti di insensatezza nella pienezza di un mondo sovrano e indifferente alla stupidità. La deriva dell’acqua, la sua potenza e la sua calma. Oggetti d’arredo nelle case. Lo spazio domestico sembra abituale e tuttavia appare inquietante. La Scrittura vergata sul palinsesto del mondo. Voci, parole, forme luminose. Tra Neuromancer e Blad Runner ma con maggiore raffinatezza.
Così vince il divenire, cosi  trionfa il Tempo.kiefer_dipinti

Dallo spazio di Hypothesis si accede ai Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefel, ai quali da poco sono stati aggiunti dei dipinti dello stesso artista. Enormi tele che descrivono piramidi rovesciate e costellazioni celesti; Dike, la bilancia e la giustizia cosmica; l’arcobaleno dei filosofi tedeschi; la polvere della terra e del tempo. Tutto questo esprime la fragile stasi dell’eterno, dell’archetipo, dell’arcaico. Un cammino iniziatico, un percorso verso la Pienezza.

Arte / Mondo

Creval Contemporary
Gallerie Gruppo Credito Valtellinese – Milano
Sino al 27 febbraio 2016

Creval_ContemporaryLe banche possiedono non soltanto un vasto patrimonio immobiliare ma anche le opere per arredarlo.
Il Gruppo Credito Valtellinese espone periodicamente parte di questo suo patrimonio artistico.
Creval Contemporary documenta opere e artisti di tutto il mondo dal 1900 al 2015. I nomi sono davvero molti e assai diversi tra di loro. Vi si trovano non soltanto dipinti e sculture ma anche creazioni di design e ipotesi di architettura. L’allestimento è particolare, volendo in qualche modo riprodurre gli ambienti -uffici, sale di rappresentanza, corridoi- nei quali le opere vengono conservate. La sensazione che se ne trae è tuttavia di una notevole confusione.
Molto interessante è invece un video che accompagna la mostra. Si intitola Tenere vivo il fuoco. Sorprese dell’Arte Contemporanea, è a cura di ‘Casa Testori Associazione Culturale’ e chiarisce con efficacia e divertimento alcune delle ragioni dell’arte contemporanea. Diviso in quattro parti, questo video spiega perché «l’arte contemporanea si fa con tutto, è dappertutto, parla di tutto, è pronta a tutto».
Arte contemporanea significa infatti che il fatto artistico e la sua forma sono diventati pervasivi della vita individuale e collettiva, anche quando non ce ne rendiamo conto. Questo non vuol dire, naturalmente, che tutto del contemporaneo debba essere apprezzato e accolto ma semplicemente che l’arte è ovunque, in quanto coincide con la materia stessa e con le forme che la plasmano. Coincide dunque con l’essere del mondo.

Differenze

Lo sguardo di…
Pavillon Unicredit – Milano
Sino al 30 agosto 2015


Erotic_ArabesqueScelti da dipendenti della banca proprietaria del Pavillon costruito nel quartiere Isola di Milano, si incontrano in felice mescolanza artisti di varia natura, stile, fama, intenzioni. Dal Cinquecento al presente sfilano arte sacra, astrattismo, fotografia, installazioni. Alcuni nomi più o meno a caso, tra i tanti presenti: Salvatore Rosa, Tintoretto, Mario Sironi, Gaetano Previati, Emil Nolde, Giorgio de Chirico, Massimo Campigli, Carlo Carrà, Felice Casorati, Alexander Wolff, Andy Warhol, Sam Francis -policromo e fremente il suo Erotic arabesque (1987) che qui pubblico-, Antonio Donghi, Gabriele Basilico, Francesca Rivetti, Mimmo Jodice, Luigi Ghirri, Michelangelo Pistoletto. Di quest’ultimo è esposta Embrace Differences, un’opera del 2005 nella quale un’Europa grigia viene attraversata da linee di colore che disegnano confini mobili, confini culturali, confini della mente e non delle armi o del denaro.
Pistoletto_embrace_differencesDifferenza è quello che l’Europa dovrebbe essere, quello che l’Europa è, come testimoniano anche le opere qui esposte, nella molteplicità eppure nella forte identità che l’arte del nostro Continente possiede. Abbracciare le differenze e la Differenza, al di là di ogni pretesa di egemonia e di uniformità, da qualunque parte venga. Questo è l’Europa, questo è il suo pensiero.

Immagine / Movimento

GLITCH
Interferenze tra arte e cinema

PAC Padiglione d’Arte Contemporanea – Milano
A cura di Davide Giannella
Sino al 6 gennaio 2015

di_Martino8A questa mostra si attaglia benissimo la definizione del cinema come «immagine in movimento». L’opera esposta è infatti il cinema stesso, sono i film. Tre luoghi del PAC sono trasformati in sale nelle quali è possibile vedere senza interruzione 64 opere, lunghe e brevi, provenienti da tutti i continenti, permeate di stili diversi ma tutte con l’intenzione di far diventare il cinema ciò che è: invenzione, documentazione, sogno, filosofia.
Solo due esempi: Petite histoire des plateaux abandonnès (Rä di Martino) trasforma in metafisica i set utilizzati per alcuni film e poi abbandonati nel deserto del Marocco. Pura archeologia cinematografica, rovina, tempo.
In Pattini d’argento (Anna Franceschini, Diego Marcon, Federico Chiari) gli esercizi di alcune ragazze sul ghiaccio diventano -per merito del taglio e del montaggio- un’epifania del movimento,
Ai film si alternano sculture, installazioni, fotografie. Le sculture di Rosa Barba fanno muovere pellicole e fotogrammi al ritmo della meditazione. Nell’opera di Virgilio Villoresi, Click-Clack, le immagini sono in movimento meccanico mediante l’utilizzo di tre flipbook motorizzati e dell’ombro cinema. Il Tiberio di Francesco Vezzoli è fatto di lana e ricamo in filo metallico. Paolo Gioli isola e trasforma vari fotogrammi da vecchi film di inizio Novecento.
In alcuni artisti emerge l’inevitabile manierismo del contemporaneo ma l’insieme della mostra costituisce una riuscita ibridazione tra le forme del vedere.
Propongo la visione del film di Rä di Martino: Copies récentes du paysages ancienne / Petite histoire des plateaux abandonnés

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