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We assemble

Esistono dei musicisti la cui opera è infinita. Anche nel senso che viene interpretata, ripresa, ricreata, eseguita nei modi più diversi e anche impensati.
Tra questi Bach, che è il più grande, che è la musica. E Purcell. King Arthur (1691; libretto di John Dryden) è uno dei suoi capolavori.
La terza scena fa emergere dalla terra un Cold Genius, il gelo delle relazioni, delle emozioni, dei corpi, della vita. Cupido lo invita a tornare alla primavera degli incontri, del calore, della luce.
La potenza ctonia resiste all’invito:
«What power art thou, who from below
Hast made me rise unwillingly and slow
From beds of everlasting snow?
See’st thou not how stiff and wondrous old,
Far unfit to bear the bitter cold,
I can scarcely move or draw my breath?
Let me, let me freeze again to death»

sino a che la forza di Eros trionfa, sino a che il Genius rivolge a Cupido queste parole:
«Great Love, I know thee now:
Eldest of the gods art thou.
Heav’n and earth by thee were made.
Human nature is thy creature,
Ev’rywhere thou art obey’d».

Anche il coro si libera dalla paura e dal gelo:
«See, see, we assemble
Thy revels to hold:
Tho’ quiv’ring with cold
We chatter and tremble».

Di questo dialogo fa parte un meraviglioso ostinato –appunto See, see, we assemble–, nel quale il ritmo barocco sembra restituire il timore e tremore che sempre l’incontro con l’altro comporta, che sempre la vita è nella sua perenne ibridazione, nella sua impossibile immunitas, nel suo dissolversi e trasformarsi dopo essere stati qualcosa.

Propongo l’ascolto del Cold Song in una varietà di interpretazioni, davvero diverse tra di loro, tutte fruibili su YouTube:

–Una versione classica e assai bella (The English Concert, direttore Trevor Pinnock)

-L’intera Frost Scene (16 minuti) in una interpretazione divertente e piacevole della Henry Purcell Society of Boston

-Un’esecuzione solistica e in tedesco di Nanette Scriba

-La splendida e struggente scena della morte di Molière nel film di Ariane Mnouchkine

-La versione rock-jazz di Fabrice Di Falco

-Quella pop-kitsch di Arielle Dombasle

-E quella immobile e intima di Klaus Nomi

-Il Memorial di Michael Nyman, che di Purcell è intessuto.

Brecht in Afghanistan

El Teatre Lliure – Barcellona
La ronde de nuit
Una creazione collettiva da un’idea di Ariane Mnouchkine, messa in scena da Hélène Cinque
Con: Haroon Amani, Aref Banahar, Taher Beak, Saboor Dilawar, Mujtaba Habibi, Mustafa Habibi, Sayed Ahmad Hashimi, Farid Ahmad Joya, Shafiq Kohi, Asif Mawdudi, Wioletta Michalczuk, Caroline Panzera, Ghulam Reza Rajabi, Omid Rawendah, Shohreh Sabaghy, Harold Savary, Wajma Tota Khil
Coproduzione del Théâtre du Soleil con il Théâtre Nanterre – Armandiers
Sino al 22 giugno 2014

 

ronde_nuit

Nader viene dall’Afghanistan e finalmente ha trovato lavoro come guardiano notturno in un teatro parigino. Nel quartiere girano clochard, prostitute, tossici, poliziotti. E molti Sans-papier, i senza documenti, gli ‘extracomunitari’, insomma. Un amico di Nadier che ha ottenuto il passaporto francese sta per ripartire alla volta di Kabul ma gli chiede di dare ospitalità per quella sola notte a un gruppo di migranti che non ha dove ripararsi dall’ondata di gelo che incombe. Nadier accetta e la notte si trasforma nei racconti, nei sogni, negli incubi che prendono forma tra le quinte del teatro.
Antiche storie, ripetute violenze, desideri inconfessati, volontà di riscatto danzano tra il sonno, i dialoghi su Skipe con le loro terre lontane, i timori per i soldati e i poliziotti che irrompono, le memorie diventate immagini-corpi.
Intriso di umorismo e di tragedia, questo esperimento di Ariane Mnouchkine e Hélène Cinque con gli attori del Théâtre Aftaab (che in lingua dari significa ‘sole’) mi è sembrato un esempio di teatro brechtiano didascalico e commovente, politico e onirico, storico ma soprattutto interiore. La recitazione è eccellente, forse anche perché questi attori non soltanto recitano ma rivivono il loro stare al mondo.

 

Molière, Purcell, la morte

What power art thou
di Henry Purcell
da King Arthur, Atto III, scena II (1691)
Deller Consort
Maurice Beavan – Baritono
Alfred Deller – Direttore

Per la scena conclusiva del suo Molière (1978) Ariane Mnouchkine scelse un brano dal King Arthur di Henry Purcell. Si tratta di un “ostinato” che nel ritmo dolente e tenace della voce esprime tutta l’ineluttabilità del morire.
Invito a guardare e ascoltare con attenzione questa bellissima scena, nella quale l’attore/drammaturgo -colto da malore mentre sta recitando- viene portato a braccio dai suoi attori e amici lungo le scale. Durante l’agonia Molière ricorda i giochi tra la neve o il continuo viaggiare della sua Compagnia. L’amata che lo segue -ultimo personaggio ad apparire- non potrà più raggiungerlo. Troppo tardi l’amore si svela a volte ai mortali.
Ma la più importante delle memorie è l’abbraccio con la madre da bambino. Sì, gli umani morendo invocano quasi sempre la madre. Perché è la madre che li ha consegnati alla morte mettendoli al mondo.

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