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Super

Super Superstudio
arte e architettura radicale

Padiglione d’Arte Contemporanea – Milano
A cura di Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni e Valter Scelsi
Sino al 6 gennaio 2016

SuperSuperstudio_La_mogli_di_LotSuper Superstudio è stato un collettivo di architetti italiani attivo tra il 1966 e il 1978. Ironia e consapevolezza dei processi culturali si coniugano nella autopresentazione del gruppo: «La super architettura è l’architettura della super produzione, del superconsumo, della superinduzione al superconsumo, del supermarket, del superman e della benzina super».
Le opere, i progetti, gli oggetti di Super Superstudio sono dunque molto Anni Settanta e di quella stagione esprimono con vivacità le potenzialità e i limiti: oggetti colorati, comodi, comuni -letti, poltrone, divani- vengono ripensati e reinventati; città ricostruite dall’immaginazione; centralità dell’istogramma, declinato in molte forme; video, film, documentari.
Tra i risultati più significativi di tutta questa attività vengono qui mostrati: un video sull’amore -il cui testo ha una forte impronta borgesiana- che si coniuga a un’opera intitolata La macchina innamoratrice; il Monumento continuo, vale a dire l’Eretteo dell’Acropoli ateniese che emerge da un’architettura a specchi; soprattutto La moglie di Lot, presentato alla Biennale veneziana nel 1978: una piramide, un circo romano, una cattedrale medioevale, un palazzo barocco e un edificio contemporaneo; tutti fatti di sale che si scioglie alla luce. Una bella metafora del potere del tempo.
Tali e altre opere vengono messe in dialogo con delle installazioni di artisti contemporanei, le quali tuttavia non sempre appaiono convincenti. È ormai chiaro che anche le sperimentazioni si possono trasformare in manieristiche ripetizioni del già visto.
L’elemento che più mi ha lasciato perplesso è però l’allestimento di questa mostra che priva il PAC del suo respiro; lo spazio è infatti diviso in box separati tra di loro, i quali danno una sensazione piuttosto claustrofobica.

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Interno / Esterno

Paulo Mendes da Rocha
Tecnica e immaginazione

Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Daniele Pisani
Sino al 31 agosto 2014

Mendes_da_Rocha_Casa_Millan«Non ci dovrebbero essere case isolate», anche perché l’architettura non è un dominio autonomo ma costituisce un ambito dell’urbanistica. È questo il principio che guida la tecnica e l’immaginazione dell’architetto brasiliano Paulo Mendes da Rocha. Un principio epistemologicamente plausibile e  socialmente necessario ma che non può essere esclusivo. Il rischio è un funzionalismo che in Mendes dichiara di ispirarsi sempre e comunque a un «ridisegno del territorio» che ne rispetti le caratteristiche e l’identità ma che in altri -e a volte in lui stesso- vira più di frequente verso una «complessiva ‘costruzione della natura’» che impone ancora una volta il progetto umano come suprema regola del costruire.
Emblematica, bella e rischiosa è la sua definizione dell’architettura come un «costruire -dove prima non c’era- un luogo dove sia possibile vivere»; significativo è in questo senso l’utilizzo totale, pervasivo e massiccio di un materiale quale il cemento armato, che per il solo fatto di essere ancora il materiale per eccellenza dell’architettura contemporanea non per questo risulta meno fragile al tempo, meno triste allo sguardo, oltre che affetto da vari limiti, tra i quali assai fastidioso è ciò che l’ingegner Carlo Emilio Gadda descrive come «lo svantaggio termico: le stanze si raffreddano e si riscaldano al variare della temperatura esterna con le ore del giorno: il sorgere del sole è percepito attraverso la scemenza dei forati dall’inquilino a levante, la bestiale autorità del sole estivo delle sedici diciotto è patita attraverso la inefficienza dei forati dalla indifesa agonia e dal sudore turco dell’inquilino a ponente» (Verso la Certosa, Adelphi 2013, p. 122).
Molte opere funzionalistiche- tra le quali anche quelle di Mendes da Rocha come il Palazzetto del Clube Atletico Paulistano, Casa Gerassi, lo Stadio Serra Dourada, il Museo Brasileiro de Escultura (MuBE)- sono certamente geniali e innovative ma appaiono già pochi anni dopo la loro realizzazione in uno stato di degrado che è probabilmente intrinseco alla struttura stessa del calcestruzzo. Bisognerebbe, da parte degli architetti, avere il coraggio di utilizzare più spesso materiali alternativi, compresi il legno e la pietra, la cui continuità con il mondo garantisce loro durata e prestazioni. Mendes da Rocha si inserisce invece nel progetto base della modernità, quello inaugurato da Le Corbusier. La sua opera è una sorta di mescolanza tra i principi funzionalistici e la fantasia di Picasso.
In ogni caso, Mendes ha ragione quando afferma che «il mare ha senso se lo vedi dalla finestra, non se lo vedi dalla spiaggia», poiché soltanto la dinamica interno/esterno dà senso al fare architettonico, a un «abitare che viene prima del costruire» (Heidegger).

Dentro il Castello

Luca Beltrami. Storia, arte e architettura a Milano
Castello Sforzesco – Milano
Sino al 29 giugno 2014

mostrabeltrami3Il Castello Sforzesco è un’icona di Milano. In ottime condizioni, con grandi cortili dove si svolgono numerose manifestazioni, con sale e sotterranei che ospitano mostre temporanee e dove soprattutto hanno sede le raccolte d’arte e archeologia tra le più preziose della capitale lombarda. Eppure alla fine dell’Ottocento mancò poco che venisse raso al suolo. Era stato, infatti, luogo di prigionia e di sofferenza per quanti si opponevano al dominio straniero sulla città. Era stato anche luogo di residenza per gli eserciti nemici. Dopo l’Unità la convergenza di questa pessima fama e delle mire speculative spingeva molti a volerne la distruzione. Per fortuna ci furono artisti, intellettuali e politici (sì, allora persino politici) che seppero guardare più lontano e che ne chiesero invece la salvezza e il restauro.
Il principale protagonista della salvaguardia e ricostruzione del Castello, e di molti altri luoghi della Milano borghese di fine Ottocento e inizi Novecento, fu Luca Beltrami (1854-1933). Architetto, incisore, storico dell’arte, Beltrami ha lasciato sulla sua città un segno che tuttora è quello dominante. Piazza della Scala, il Palazzo della Permanente, la Sinagoga, la sede del Corriere della Sera, costituiscono le sue principali realizzazioni. Aveva anche pensato a una diversa facciata del Duomo ma questo progetto non venne realizzato.
E poi il Castello, appunto. Qui Beltrami esprime al meglio il suo profondo rispetto per la stratificazione storica, la sua puntuale preparazione documentaria, l’equilibrio tra quanto fu da cancellare, ciò che andava preservato/trasformato e le parti nuove. Di aspetto quattrocentesco, la sagoma e il corpo del Castello familiarissimo ai milanesi sono in realtà ottocenteschi e si devono a questo architetto.
Castello_Sforzesco_MilanoÈ dunque un giusto omaggio quello che il Castello ora gli dedica. Si possono così consultare i progetti, vedere le immagini che testimoniano del prima e del poi dell’edificio, seguire l’avanzare dei lavori, godere del risultato non semplicemente guardando e leggendo ma standoci proprio dentro. L’ultima parte della mostra ha sede nella Sala del Tesoro prospiciente la Rocchetta -un austero e bellissimo cortile- e contiene le opere rinascimentali salvate e valorizzate da Beltrami.
Questa città che non si ferma mai, che trasforma continuamente se stessa e il proprio paesaggio urbano, ha trovato in Beltrami un architetto non soltanto competente e corretto ma anche davvero innamorato di Milano.

 

Abitare

Marco Petrus. Atlas
Palazzo della Triennale – Milano
Sino al 2 giugno 2014

Quando è pensata, quando è geniale, l’architettura contemporanea rappresenta un mondo di strutture e di funzioni nel quale immergersi per sentire la potenza del costruire, se esso è frutto dell’abitare. Come nel Bauhaus, per esempio, con le sue linee essenziali, semplicissime, pervase di una razionalità mai fine a se stessa. L’architettura è la meraviglia dell’abitare umano consapevole di sé.
Nelle pitture esatte e scandite di Marco Petrus essa si fa ritmo, onda, musica. I colori sono accesi e intensi, un po’ come nella Pop Art. I cieli che si affacciano sulle e dentro le costruzioni sono turchesi e arancioni. Gli edifici, oggetto esclusivo e non antropico di queste opere, riproducono a volte architetture esistenti, altre invece le inventano. Berlino, Napoli, Helsinki e soprattutto Milano. Della città lombarda si riconoscono la Torre Velasca, il Garage Traversi-Rosso, il Grattacielo Pirelli, la torre del Parco Sempione, la Camera del Lavoro. Prospettive diagonali, proiezioni ortogonali, ombre e luci scintillanti, disegnano un mondo che prima che stare nello spazio abita nel corpomente umano. Come sempre.

 

Porto / Luz

Visitando la mostra Porto Poetic è sorto il desiderio di vedere questa città. Magnifica città che dalle mura/case settecentesche sulla riva del Douro sale verticalmente diventando liberty, déco, imperiale, azulejos, avenidas, parchi. Zeppa di chiese tracimanti di legno, di oro e di una sfacciata sofferenza. La passione dell’uomo crocifisso è infatti mostrata in tutte le maniere e con un realismo a volte rivoltante. Dalle steppe russe all’estremo occidente, l’Europa è la terra dei cristiani. Non c’è niente da fare. Ma questa fede così violenta ha saputo per fortuna creare anche edifici di bellezza, spazi aperti e chiusi nei quali si sono avvicendati stili, forme, architetture, suoni, immagini, guerre e feste. Nel Portogallo come altrove tutto questo è diventato città. La medioevale vicina Guimarães è infatti anch’essa colma di edifici sacri, di palazzi, di croci e monasteri. Ma anche di architetture e di giardini che assorbono la luce.
Come, tornando a Porto, la Burgo Tower di Eduardo Souto de Moura, la cui seriale semplicità si mescola e si discosta dagli analoghi edifici che la circondano; la sghemba, straordinaria e labirintica Casa da Música di Rem Koolhaas, dal cui auditorium principale si vede la città e nei cui anfratti nulla è lasciato al caso; lo splendido Museu de Arte Contemporanea di Álvaro Siza Vieira, ovunque luminoso dentro la luce del Parco nel quale è immerso. Parco che contiene anche la Villa Déco progettata da José Marques da Silva per Carlos Alberto Cabral, una delle abitazioni più belle che abbia mai visitato. E poi il fiume, l’oceano, i ponti. E la pulizia di Porto, la gentilezza e la buona educazione dei suoi abitanti, che in varie occasioni hanno salvato il visitatore da errori e distrazioni. Abitanti certo meno agiati degli italiani ma da nessuna parte ho sentito schiamazzi o voci altissime in luoghi pubblici. Ovunque invece pulizia e dignità. Ogni volta si comprende meglio quanto volgare sia diventato il nostro Paese. Ma anche questa malinconia si può stemperare nelle cantine di Vila Nova de Gaia, nel gusto del Porto, un vino luccicante e dolce come la terra che lo genera.

 

Pura forma che si fa poesia

Porto Poetic
Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Roberto Cremascoli
Sino al 27 ottobre 2013

Un progettare e un disegnare di apparente semplicità, il cui risultato è pulitissimo, raffinato, geometrico. E funzionale. L’opera di Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura è infatti attenta alla specificità dei luoghi nei quali le architetture sorgono e della funzione che gli oggetti svolgono. Dalle chiese alle sedi universitarie, dalle terme alle biblioteche, dalle piscine agli stadi di calcio, dai musei alle stazioni della metropolitana, dai conventi ai palazzi privati, dai ristoranti alle biblioteche, dalle sedie agli armadi e agli arredi da bagno, le strutture e gli oggetti di questi architetti sono profondamente rispettose sia del singolo che ne deve fruire e le deve abitare/attraversare sia dell’ambiente storico e naturale dentro il quale prendono vita, spazio, respiro.
La Chiesa di Santa Maria a Marco de Canaveses possiede la mistica verticalità del gotico; le piscine e il lungomare di Leça da Palmeira sono suggestive nella loro continuità tra la sabbia, il mare, gli invasi, il cemento, le rocce; l’edificio Burgo di Oporto è un parallelepipedo perfetto e affascinante; il Convento das Bernardas di Tavira è uno spazio di meditazione nel quale l’acqua è sacra; lo stadio di Braga è unito alla roccia nella quale è immerso. Quando la progettazione si sposta in Corea e in Brasile, cambiano le dimensioni e le forme perché altri sono i luoghi e altra la loro sinuosa imponenza. La più giovane scuola architettonica portoghese, documentata anch’essa assai bene dalla mostra, segue e rinnova l’impronta dei due maestri.
Il Movimento Moderno in architettura richiede degli artisti e non dei tecnici. È questo il suo limite ed è questa la sua forza. Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura sono gli artisti che del Moderno hanno colto ed espresso il bisogno di nitore, la pura forma che si fa poesia.

 

 

 

Architettura / Filosofia

Premio Mies van der Rohe 2013
Palazzo della Triennale – Milano
Sino all’1 settembre 2013

La Triennale di Milano è un luogo consacrato soprattutto al design e all’architettura. Una piccola ma coinvolgente mostra documenta i risultati del premio intitolato al grande architetto Mies van der Rohe. Vi compaiono le opere premiate a partire dal 1988, alcune delle quali rappresentano dei capisaldi dell’architettura contemporanea, come la magnifica Bibliothèque nationale de France progettata da Dominique Perrault (1996) e l’Oslo Opera House dello studio Snøhetta (2009; immagine qui sotto).


Quest’anno il riconoscimento è andato allo Batteríid architects, Henning Larsen Architects Studio Olafur Eliasson che ha ideato l’Harpa, vale a dire il Concert Hall & Conference Centre di Reykjavik. Si tratta in effetti di una costruzione (quella che si vede qui sopra) che appare piena di luce, di spazio, di modularità, nella quale una struttura geometrica ripetuta sembra trasformare in musica l’edificio. Musica alla cui esecuzione la struttura è appunto dedicata.
La Menzione speciale «per il migliore architetto emergente» è andata a María Langarita e a Víctor Navarro che a Madrid hanno dato vita alla Nave de Música Matadero, una sorta di città della musica (musica, ancora una volta).
Gli altri progetti finalisti sono il Municipio di Gand, interessante costruzione che ripete gli stilemi gotici della bella città belga e lo fa senza citare né imitare ma immergendosi nel pieno della sobrietà stilistica contemporanea; il Superlinken, un coloratissimo parco urbano di Copenaghen; il Metropol Parasol di Siviglia, che sembra un po’ imitare Calatrava e forse non si inserisce molto bene nel cuore della città andalusa; e infine una Casa per anziani ad Alcácer do Sal (Portogallo) che mi è sembrata mirabile per la purezza delle forme, la razionalità dell’impianto, la luce che assorbe e che restituisce.
Ho sempre pensato all’architettura come a una tecnica filosofica, capace di fare delle pietre, del legno, dei marmi, dell’acciaio un’espressione e un’incarnazione delle forme ideali platoniche, perché -come afferma Heidegger- abitare viene prima di costruire: «Il costruire, cioè, non è soltanto mezzo e via per l’abitare, il costruire è già in se stesso un abitare. […] Non è che noi abitiamo perché abbiamo costruito; ma costruiamo e abbiamo costruito perché abitiamo, cioè perché siamo in quanto siamo gli abitanti (die Wohnenden). […] La relazione di uomo e spazio non è null’altro che l’abitare pensato nella sua essenza. […] Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire» («Costruire abitare pensare», in Saggi e discorsi, Mursia 1976, pp. 96-108)

 

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