Il secolo della vittoria cristiana è un tempo di incertezza, paure, recessione economica. Con l’Editto di Milano (313) Costantino non solo trasforma il cristianesimo in uno dei culti ammessi ma stabilisce anche l’entità dei finanziamenti in suo favore. Nel 356 Costanzo II fa chiudere i templi pagani e ne sequestra i beni. Nel 380 Teodosio dichiara il cristianesimo religione di Stato e nel 391, infine, proibisce ogni culto pagano. Nel mezzo, l’ultima fioritura del mondo antico si esprime con l’imperatore Giuliano. Il suo tentativo di recuperare e far rivivere la grande tradizione del paganesimo più mistico e insieme più filosofico si scontra con un mondo morale che oscilla fra edonismo e superstizione.
Il vescovo cristiano Ambrogio contrasta in tutti i modi e con successo i tentativi del prefetto Simmaco di salvare l’Ara della Vittoria (384). Simmaco si appella alla tolleranza e alla pluralità di credenze della tradizione pagana: «suus enim cuique mos, suus ritus est…uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum» (Relatio III, 8-10); Ambrogio respinge tale invito. Un altro vescovo cristiano -Teofilo- si pone alla testa di chi vuol bruciare la Biblioteca di Alessandria (392), le Olimpiadi vengono chiuse (393) e i Misteri eleusini soppressi (396). Poco tempo dopo (415) e ancora ad Alessandria i cristiani aizzati dal vescovo Cirillo massacrano Ipazia nel modo raccontato da Damascio: «una massa enorme di uomini brutali, veramente malvagi […]..] uccise la filosofa […] e mentre ancora respirava appena, le cavarono gli occhi».