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Lo stato criminale

Ancora ci si stupisce, ancora alcuni giornali agitano scandali e altri giornali nascondono oppure delirano di complotti della magistratura (!), ancora si aspettano indagini, processi, sentenze. Come se non fosse evidente a chiunque sappia guardare con un minimo di oggettività i fatti e la condizione dell’Italia che essa ha superato il modello colombiano, che ormai da decenni è in mano a organizzazioni criminali di ogni genere: Logge massoniche i cui programmi sono diventati azione di governo; affiliati di Cosa Nostra che hanno fondato partiti che vincono le elezioni; Camorre che amministrano intere regioni; cittadini complici dei banditi e dei magnaccia che eleggono negli enti locali, succubi dello strapotere di ladri che allignano in ogni ambito della vita sociale (sanità, pubblica amministrazione, scuole, università…).
Un intero popolo ridotto a Lumpenproletariat, a proletariato straccione di nuovi ricchi xenofobi e ignoranti al Nord, di miserabili che al Sud si vendono «per dieci chili di pasta o per la scarpa sinistra o per un posto di lavoro o per l’acqua» (come scrive Giusy Randazzo), di cattolici pronti a sostenere un sardanapalo crapulone pur di ottenere privilegi finanziari e “morali”, di raccomandati ovunque. Gli anarchici sanno da sempre che lo stato è criminale, che la lotta non è tra il bene delle istituzioni e il male delle organizzazioni malavitose ma si combatte tra gli uomini liberi e i malviventi che stanno dappertutto.

Videocracy. Basta apparire

di Erik Gandini
Svezia, 2009
Trailer del film

videocracy

Vedere questo film è stato un grande, puro divertimento. Videocracy è fatto di un montaggio intelligente e sempre meditato, di musiche capaci di cogliere la natura tragica di immagini frivole, dell’epopea del Presidente che si intreccia con l’analogo sogno di un giovane operaio. Vi prende forma e figura un mondo surreale e realissimo nel quale il potente Lele Mora -agente e creatore di stelle televisive- rivendica di essere un mussoliniano e mostra sorridendo dei filmati nazionalsocialisti sul proprio cellulare; nel quale un re dei paparazzi -Fabrizio Corona- accusa di malvagità il Potere e di sé dice d’essere «un moderno Robin Hood, che toglie ai ricchi per dare a se stesso»; nel quale la storia delle televisioni commerciali, e del loro dilagare nelle case e nelle menti, diventa ed è la storia dell’Italia contemporanea. Un intreccio inestricabile di epica e di farsa, di casalinghe che si spogliano e di istituzioni che applaudono.

Il commento è sempre discreto e sobrio poiché le immagini, davvero, parlano da sole. «Basta apparire», è la frase conclusiva di Lele Mora posta a epigrafe dei due finali: bellissimo il primo, con ragazze che ballano frenetiche e uguali in un silenzio siderale; meditativo il secondo, col lento incedere del Capo sorridente tra ali di folla che plaude. La politica nell’epoca della sua riproducibilità televisiva.
Immondo è certo il Presidente ma più immondo ancora è il suo Pubblico.

Macugnaga – Valle Anzasca

Macugnaga_Monterosa
Proprio ai piedi del Monte Rosa si apre la Valle Anzasca. L’ultimo paese, quello che la chiude, è Macugnaga (Provincia di Verbano-Cusio-Òssola). Fino al XII secolo la località rimase quasi del tutto disabitata. Finché dalla vicina Svizzera arrivò una comunità che in quella valle cercava spazio e risorse per vivere. Il primo non mancava; le seconde furono sempre scarse e indussero la comunità Walser (e cioè dei “valligiani” provenienti dal Vallese) a condizioni di vita molto dure, improntate al risparmio di ogni bene, anche il più insignificante.

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Il nastro bianco

(Das Weiße Band)
di Michael Haneke
Austria, Francia, Germania 2009
Con: Christian Fredel (il Maestro), Burghart Klaußner (il Pastore), Susanne Lothar (l’Ostetrica), Ulrich Tukur (il Barone), Rainer Bock (il Medico), Leonie Benesch (Eva)
Fotografia di Christian Berger
Palma d’oro al Festival di Cannes 2009

Das weisse-band

1914. In un villaggio della Germania del Nord si verificano inspiegabili fatti di violenza. Il medico cade da cavallo per un filo invisibile teso tra gli alberi, una contadina muore nella segheria, due bambini -il figlio del barone e quello dell’ostetrica- vengono seviziati, un uomo si suicida, un magazzino è dato alle fiamme. Dentro le case si sfoga una violenza più formale ma altrettanto dura. Specialmente nella famiglia dell’integerrimo pastore domina la violenza del padre verso i figli, i quali la diffondono a loro volta nel villaggio…

Un bianco e nero secco e antico disegna la vicenda corale della mostruosità umana. È lo stesso contesto cristiano protestante dentro cui Nietzsche comprese, con la sua profonda limpidezza interiore, la falsità strumentale delle morali, la ferocia del monoteismo, la perversione delle persone per bene. Costruito come un thriller antropologico, Das Weiße Band descrive l’esistenza quotidiana di una piccola comunità simile a tante, dove anche gli eventi più estremi diventano del tutto plausibili, dove bambini e adulti seguono gli stessi impulsi distruttivi. Bravissimi i giovani interpreti, specialmente nel dialogo in cui la figlia del medico spiega al fratello più piccolo il fatto che tutti debbano morire. È uno dei momenti chiave di un film elegantissimo nelle soluzioni formali e inquietante nella colpa collettiva.


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