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Anarchismo e antropologia


Libertaria_2015

Anarchismo e antropologia. Per una politica materialistica del limite
in «La pratica della libertà e i suoi limiti – Libertaria 2015»
a cura di Luciano Lanza
(Mimesis Editore, 2015, pp. 261)
Pagine 102-125

Credo che questo sia uno dei miei testi più importanti; certamente il più significativo tra quelli di argomento politico che abbia pubblicato sinora. In esso ho tentato di mostrare come «l’opzione anarchica possa dunque scaturire, e anzi meglio scaturire, da un profondo pessimismo antropologico piuttosto che dall’ottimismo roussoviano o di altra natura» (p. 123)

Salgado / Differenza

Il sale della Terra
di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado
Brasile-Italia-Francia, 2014
Con: Sebastião Salgado, Lélia Wanick Salgado
Trailer del film

salgado_wendersDifferenze tra i popoli, differenze tra i luoghi, differenze tra i climi. La Terra è il luogo delle differenze, come accade a tutto ciò che esiste nella complessità e non sia ricondotto e ridotto all’unità sempre uguale del conforme, dell’omologato, del «tutti siano uno». Sebastião Salgado ha fotografato questa differenza. E l’ha resa arte e documento. Documento anche della costante tendenza a cancellare la differenza, a uniformare le collettività e gli spazi sotto un dominio unitario. Per decenni Salgado ha visto dunque orrori, genocidi, sterminio, morti. Morti per fame e colera nel Sahel e in Etiopia, morti per machete e carri armati in Rwanda, morti per cecchini e soldati in Jugoslavia. Morti dappertutto, morti a centinaia di migliaia, che lo hanno fatto piangere e lo inducono ad affermare che «quella umana è la specie più feroce, siamo animali terribili, la nostra è una storia di guerre, storia senza fine, una storia folle. Di fronte a tutto questo ho pensato che nessuno è degno di sopravvivere, nessuno».
Ma Salgado ha fotografato anche la differenza nel mondo animale, nei fiumi, negli oceani, nelle piante, nei gruppi umani non raggiunti dall’uniformità del danaro, come in Papuasia e in Amazzonia, con l’etnia Zo’é. È il grande progetto di Genesi e della riforestazione di una vasta tenuta in Brasile. È la differenza della Terra rispetto alla ὕβρις di una delle specie che la abita e che la violenta.
Questo film-documento di una vita sempre in cammino testimonia anche la differenza tra il cinema -immagine in movimento- e la fotografia, scrittura di luce. È nella fotografia che l’istante diventa il già e il non ancora, è nella fotografia che χρόνος si fa καιρός.

Terra / Occhio

GENESI  di Sebastião Salgado
Milano – Palazzo della Ragione 
A cura di Lélia Wanick Salgado
Sino al 2 novembre 2014

Pinguini, albatri, cormorani, caribù, renne, caimani, a centinaia di migliaia nei loro habitat naturali. Immagini potenti nelle quali il gesto immediato di vita e di morte diventa eterno e l’istante si fa fermo.
Membri della specie Homo sapiens sparsi per tutti i continenti e capaci di vivere nelle condizioni più estreme. Una ricerca antropologica partecipe e attenta, in particolare, ai modi di vivere e di essere dei Boscimani (Botswana) e degli Zo’é (Amazzonia).
Gli sciamani, i loro riti, la vita quotidiana. Perché questi umani sono animisti, sono pagani. Come pagana è la Terra, perché lei è il Sacro. I protagonisti sono gli alberi; essi infatti danno respiro -letteralmente- alla sottile zoosfera che abita la superficie terrestre, le acque, qualche chilometro d’aria. Salgado e la moglie hanno riforestato una proprietà in Brasile. E subito la vita del mondo -in quel luogo scomparsa- è rinata.
Dune nel deserto immenso della Namibia. Qui le immagini diventano le più astratte. Ma astratte lo sono tutte, non realistiche. Perché la Terra è fotografata in un rigoroso e senza eccezioni bianco e nero, che mostra come la bellezza pura stia nella forma dell’immagine, non nello splendore dei luoghi. Così accade per il Bighorn Creek in Canada, un’immagine che abita al di là di qualunque realtà.

Terra / Forma

Yann Arthus-Bertrand. Saint-BrieucLa Terra vista dal cielo
di Yann Arthus-Bertrand
Museo di Storia Naturale – Milano
Sino al 19 ottobre 2014

Yann Arthus-Bertrand. PjorsaLa summa di questo artista è Home, un film che aiuta a capire il presente del nostro pianeta. E tuttavia osservare le sue immagini statiche, ciascuna con attente didascalie, dà la possibilità di apprezzare ancor di più la sapienza formale dello sguardo di Yann Arthus-Bertrand.Yann Arthus-Bertrand. Las Vegas

Ovunque la mente umana vede forme, colori, relazioni. La struttura a spirale di un alveare umano nella periferia di Las Vegas. La foresta di antenne satellitari sui tetti di Aleppo, una delle più antiche città del mondo. La densità cromatica di un centro di demolizioni di automobili in Yann Arthus-Bertrand. AleppoFrancia. Le macchie rosse degli ibis in Venezuela. Il livido bianco/nero di Pripyat, città fantasma vicino a Chernobyl. La pura e astratta forma disegnata dal fiume Pjorsa in Islanda. Yann Arthus-Bertrand. Pripyat

Ovunque splende ed emerge l’opera d’arte che abitiamo. Per quanto tempo ancora? Yann Arthus-Bertrand. Pedernales

Petronio / Fellini

È un libro, il Satyricon, che più di altri trasmette il senso di un’intera civiltà, il significato del mondo pagano. Una civiltà e un mondo caratterizzati in primo luogo dalla consapevolezza della nullità dell’umano e del dominio della morte. Senza però per questo condannare il vivere in nome di principî assoluti, o di principî qualsiasi. Nelle avventure veloci e diverse dei suoi ingenui, furbi, concreti, vivi personaggi traspare un esistere lieto di sovrabbondanza e colmo di desiderio. Encolpio narra una trama sempre in trasformazione, tra amori etero e omosessuali, realizzati e falliti; truffe ardite e portate a buon fine; vecchiaie sagge, disincantate e ludiche (come quella di Eumolpo); banchetti straripanti che si spengono anche nella malinconia, come la famosa cena di Trimalcione.
Il mondo che qui si agita è un mondo inferiore/infero, fatto di strati sociali subordinati, ricchezze da parvenu, presunzione di gente fallita. Encolpio e -per un tratto- il suo amico Ascilto si gettano in questo vivere con tutta la voglia di gente assetata. Le vicende grossolane che vi accadono sono tuttavia narrate con un raffinatissimo senso del gioco e con l’ironia che soltanto la filosofia sa dare. Se per i Greci l’essere umano è il più terribile, il più meschino e pertinace tra gli enti che sulla Terra respirano, per Petronio «utres infilati ambulamus! Minoris quam muscae sumus. Illae tamen aliquam virtutem habent, nos non pluris sumus quam bullae» [gonfi otri che camminano! Siamo meno delle mosche. Loro però qualche forza ce l’hanno, noi non siamo più che bolle] (42, 4). La nostra inconsistenza, la debolezza che ci costituisce crea i mondi ultraterreni, gli dèi, le punizioni: «Primus in orbe deos fecit timor» [Per prima cosa gli dèi la paura crearono] (Anth. Lat., I, 1, 466). Basta dunque riflettere un poco per valutare l’umano per ciò che è, per comprendere la tragedia del vivere, senza per questo maledire il fatto di esserci. Sfidando le paure e la morte, uno dei frammenti più emblematici attribuiti a Petronio recita: «I nunc et vitae fugientis tempora vende / divitibus cenis! Me si manet exitus idem / hic, precor, inveniat, consumptaque tempora poscat» [Vai dunque e vendi le sfuggenti ore in cambio di qualche cena sontuosa! Se già intravedo il morire, prego che qui mi trovi e mi chieda del mio esser vissuto]. Rapido come il vento, Petronio merita il riconoscimento che Nietzsche gli attribuì con queste parole:

Che aria viziata e malata in mezzo a tutto l’esagitato parlare di «redenzione», amore, «beatitudine», fede, verità, «vita eterna»! Si prenda per contro in mano un libro veramente pagano, per esempio Petronio, in cui in fondo non si fa, non si dice, non si vuole e non si giudica niente che non sia, secondo un criterio cristianamente ipocrita, peccato, anzi peccato mortale. E tuttavia che senso di benessere nell’aria più pura, nella superiore spiritualità dell’andatura più veloce, nella forza liberata e traboccante, sicura del proprio avvenire! In tutto il Nuovo Testamento non si trova una sola buffonerie: ma con ciò un libro è confutato…Paragonato a quel libro, il Nuovo Testamento rimane un sintomo di una cultura decadente e della corruzione -e come tale ha operato, come fermento della putrefazione.
(Frammenti postumi  1887-1888, trad. di S. Giametta, Adelphi 1979, 9[143], pp. 70-71)

Fellini Satyricon (Italia, 1969) -che consiglio di vedere- è tutto questo osservato con gli occhi raffinati, visionari e decadenti di un artista che vive nel pieno della cristianità ma sente assai forte il richiamo della Roma pagana. È un film meraviglioso e difficile, che non sta fermo mai, nel quale la levitās di Petronio si trasforma in una radicale arcaicità formale e psichica che tocca la ferocia; nel quale l’eccesso vuole essere benedetto ma più come atto di volontà che come spontaneo fluire del piacere. Un’arcaicità simile a quella della Medea di Pasolini. Il valore del Satyricon, certamente il più colto tra i film di Fellini, sta dunque anche e forse specialmente nel farci intravedere ciò che abbiamo perduto dei pagani: la loro profonda innocenza.
Ancora una volta Nietzsche aiuta a capire: «Quale ristoro, dopo il Nuovo Testamento, prendere in mano Petronio! Come ci si sente subito rimessi in piedi! Come si sente la vicinanza di una spiritualità sana, tracotante, sicura di sé e malvagia! E alla fine ci si trova di fronte alla questione: ‘non ha forse il sudiciume antico ancora più valore di tutta questa piccola arrogante saggezza e bigotteria dei cristiani?’» (Frammenti postumi  1887-1888, 10[93], p. 155)

Sapiens

Home
di Yann Arthus-Bertrand
Francia, 2009

[La versione originale del film è in inglese, con la possibilità di seguire l’audio mediante dei sottotitoli molto chiari. È stata comunque predisposta una versione  in lingua italianaDevo la segnalazione di questo film alla Dott.ssa Stefania Ruggeri, che ringrazio]

 

home«Faster and faster». Veloci, sempre più veloci. Lo si ripete di continuo in questo film. Veloci nell’abbattere foreste, nello sporcare i mari, nel massacrare altre specie, nel surriscaldare l’atmosfera. Veloci nell’avvelenare il pianeta. L’opera di Yann Arthus-Bertrand (prodotta da Luc Besson) è la più efficace illustrazione di una frase attribuita a un capo pellerossa: «Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro».
C’è qualcosa di psicopatologico in questa frenesia dell’Occidente, ma non soltanto di esso, volta a distruggere la casa di tutti i viventi e quindi anche l’abitazione umana. Di psicopatologico ma anche di spiegabile con un fatto tanto semplice quanto decisivo: l’orizzonte temporale. La singola vita di un essere umano, compresa quella dei capi delle multinazionali e degli stati (vale a dire dei dirigenti delle più grandi organizzazioni criminali), è breve: 80-90 anni al massimo. E dopo? Dopo che venga pure il diluvio, come si racconta abbia detto un famoso sovrano. Intanto, ci si arricchisce. Intanto si ha l’impressione di star comodi e di vivere bene. Se tutto questo costa ora grandi sofferenze ad altri umani e ad altre specie e alla lunga porterà alla fine della vita sul pianeta, chi se ne importa. Pensare ciò che accadrà quando saremo morti è non soltanto fastidioso ma anche del tutto astratto. Il concreto è la mia vita, qui e ora. E al diavolo il futuro. La miopia di un simile atteggiamento è evidente. E infatti civiltà più sagge della nostra (ci vuole poco) hanno visto più lontano.
Home è lo stridore stesso. Lo stridore che separa le immagini splendenti riprese dall’alto e la ferita profonda che a quegli ambienti viene inferta giorno dopo giorno. Ghiacciai, deserti, montagne, profondità, isole, oceani sembrano ricamati da degli artisti informali, sembrano l’astrazione stessa e l’essenza dei concetti, delle forme, della geometria. Ma dentro la loro vita, nel cuore della loro struttura, sta avvenendo l’irreparabile. È questo iato tra bellezza e veleno a costituire l’originalità di un film che si gusta come una sintesi dell’arte con la quale la materia plasma se stessa.
Una parte di questa materia, quella cosciente che chiamiamo ironicamente sapiens, opera con tenacia per far tornare la Terra alle condizioni irrespirabili che precedettero la comparsa dei primi batteri. Ci riuscirà l’Homo sapiens, ci riuscirà. E, sinceramente, non mi dispiace. O meglio, mi dispiace per le piante, per gli altri animali, per il blu del cielo. Ma sopravviveranno i vulcani, si estenderanno gli oceani senza più pesci e mammiferi, splenderanno ancora i colori accesissimi dei tramonti in un’atmosfera senza più ossigeno. Il finale non sarà quello nonostante tutto fiducioso di questo bellissimo film ma l’altro ben più realistico di una Terra ricondotta al gorgogliare delle sue lave, al punteruolo delle sue cime, alla cupezza dell’anidride. Quando gli ultimi batteri moriranno anch’essi, la materia continuerà a esistere. Sino a che -tra cinque miliardi di anni- il Sole avrà esaurito la sua immensa energia e in un ultimo sussulto si espanderà a inglobare i pianeti, compreso il nostro. Tutto sarà fuoco. E poi il silenzio. Prima, molto tempo prima, una specie di primati senza peli si sarà creduta saggia nell’anticipare la propria distruzione. E per questo forse saggia lo è veramente.

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