Skip to content


A come animale


Recensione a:
A come animale. Voci per un bestiario dei sentimenti
A cura di Leonardo Caffo e Felice Cimatti
(Bompiani 2015, pp. 320)
in Discipline Filosofiche (maggio 2015)

L’animale non esiste. Questo nome-grimaldello chiude la molteplicità biologica dentro un segno che la sottopone al dominio di una sua parte, la parte umana. Questo nome-grimaldello apre le pratiche umane alla legittimità dello sterminio. Il risultato è che l’animalità diventa invisibile, prima di tutto l’animalità che noi stessi siamo.

Iniziazioni

Class Enemy
di Rok Bicek
Con: Igor Samobor (Robert), Daša Cupevski (Sabina), Doroteja Nadrah (Mojca), Natasa Barbara Gracner (Zdenka), Masa Derganc (Nusa)
Slovenia, 2013
Trailer del film

In un liceo l’insegnante di tedesco, molto comprensiva e molto materna, va in congedo. La sostituisce il Prof. Zupan, di tutt’altra indole. Un’indole poco coerente con il Progetto Formativo d’Istituto, il quale è assai morbido con gli studenti e la loro presunzione. Il conflitto tra la classe e il docente esplode quando una delle alunne si uccide. Anche se le cause sono di tutt’altra natura, viene ovviamente accusato il nuovo professore. La preside e i colleghi si barcamenano -come sempre in questi casi- tra viltà e interessi privati. I comportamenti certamente rigidi ma anche realmente educativi di Zupan scivolano sugli studenti e sui loro genitori. La meschinità di questi ultimi è palese.
Parlare di scuola non è facile, mai e per nessuno. Si tratta infatti di un mondo estremamente complesso ma del quale tutti si sentono autorizzati a dire, per la banale ragione che una volta -da studenti- ci sono stati. Al cinema, poi, i risultati sono quasi sempre falsi, semplicemente falsi. E invece una delle qualità principali di Class Enemy è la sua completa verosimiglianza. Certo, i caratteri sono un poco eccessivi (per lo spettacolo) ma le situazioni, le dinamiche, il retroterra sono decisamente reali.
In uno slancio di sincerità, la preside di questo liceo riconosce che «una volta ci temevano, ora noi temiamo loro». E ciò significa, né più né meno, la fine della scuola. Indulgere infatti nel sistematico giustificazionismo di ogni debolezza, capriccio, pigrizia, narcisismo degli studenti significa negare loro il diritto a diventare adulti. Diritto che in tutte le società conosciute passa anche attraverso dei riti di iniziazione. Le difficoltà e la fatica impliciti nel lavoro scolastico costituiscono anche tale iniziazione.  Non a caso il testo sul quale le lezioni di Zupan si incentrano è Tonio Kröger di Thomas Mann, un bellissimo racconto di formazione.
Cancellata dalla scuola l’iniziazione, i ragazzi la cercheranno altrove, in modi e forme assai più pericolose. L’ignoranza di questa componente antropologica è una delle caratteristiche più distruttive del dominio che pedagogisti e psicologi esercitano sulla teoria e pratica dell’educazione e che ha come risultato l’assoluta fragilità degli adolescenti.
Class Enemy fa emergere tutto questo dall’interno del rapporto educativo, e lo fa con uno stile sobrio che nulla concede alla banalità, evitando finali sia drammatici sia lieti e ribadendo -nell’assai bella scena conclusiva- il vuoto profondo delle vite. Rispondendo alla preside, Zupan afferma che «essere studenti non è un diritto ma un grande privilegio». Condivido.

Sul Dio abramitico

Mente & cervello 123  – marzo 2015

 

«Violento, arrogante, intollerante con i nemici, benevolo solo se blandito con offerte e atti di sottomissione. Non è il ritratto di un bullo di quartiere ma di un dio, anzi del Dio onorato dalle religioni del Libro, ebraismo, cristianesimo e islam» (P.E.Cicerone, p. 26). È quanto emerge dall’analisi del monoteismo condotta da Hector A. Garcia nel suo libro Alpha God. The Psychology of religious violence and oppression (Prometheus Books, 2015, pp. 287).
E in effetti basta leggere la Bibbia, leggerla davvero per ciò che vi è scritto e non tramite filtri allegorici o pregiudizi di fede, per comprendere che il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani è un Dio violento: «Lo scrittore Steve Wells si è preso la briga di contare quante sono le persone uccise da Dio durante tutta la narrazione e si arriva alla cifra di 24 milioni. Per avere un riferimento, le persone uccise da Satana nella stessa narrazione sono 60» (Garcia, p. 27); Hitler e Stalin messi insieme non arrivano a un tale successo.
Il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani è un Dio che ama l’ignoranza: «Una delle mistificazioni trasmesse dalla fede è l’idea che la conoscenza sia un peccato: le religioni tendono a sopprimere la cultura, il pensiero critico» (30).
Il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani è un Dio vanitoso (e antispinoziano): «In effetti è curioso pensare che un essere morale e onnipotente richieda rispetto: il rispetto è una conferma del proprio potere, di cui potrebbe avere bisogno un maschio dominante. Ed è uno dei modi con cui è gestito il potere nelle gerarchie maschili, perché implica che la posizione dominante possa essere assunta da qualcun altro, e che sia necessario impegnarsi per mantenerla» (29).
Il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani è un Dio inquinante e nemico della Natura: «In una religione di questo tipo l’uomo è visto come colui che deve dominare le altre forme di vita piuttosto che instaurare con esse un rapporto egualitario» (31).
Il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani è quindi un Dio maschio alfa, «e quando nella religione si fa strada la psicologia del maschio dominante, combattere la violenza diventa impossibile. Come si fa a contrastare la volontà dell’essere più potente dell’universo? Come si esprime il dissenso, quando andare contro il volere di dio è considerato blasfemia?» (28). Bisogna ricordare che il comandamento mosaico del ‘Non uccidere’ si riferisce «ai membri della tribù, della comunità, non all’umanità in generale»; e infatti «la Bibbia è piena di stragi, rapimenti, stupri. Nel Nuovo Testamento la violenza è meno presente, ma accanto agli inviti alla mitezza non mancano minacce contro i non credenti. […] D’altronde la Chiesa ha sempre combattuto  e sterminato popolazioni in nome di Dio. Pensiamo a quello che è avvenuto in Sud America con i conquistadores» (28-29). Stragi, genocidi, guerre, torture non costituiscono comportamenti ‘da deboli peccatori’ ma rappresentano il modo più coerente di essere ebrei, cristiani e musulmani.
Anche le religioni animistiche e politeistiche presentano alcuni caratteri violenti ma essi sono del tutto incommensurabili con ciò che ebraismo, cristianesimo e islam hanno generato: «Le religioni più antiche sono state religioni politeistiche con divinità di entrambi i sessi, spesso ispirate a fenomeni naturali. Più avanti l’organizzazione delle società è diventata più complessa, i sistemi di potere hanno sentito l’esigenza di tutelarsi, e così in Medio Oriente è nato il monoteismo, da cui poi si sono evolute le religioni abramitiche» (26-27).
Capisco che leggere simili affermazioni può risultare disturbante ma è dalla Bibbia che scaturisce l’abominio. Bisogna comunque riconoscere che se tutto questo è stato ed è ancora possibile è anche perché «la religione, in particolare le sue tendenze oppressive, è radicata nel nostro passato evolutivo profondo» (27). Forse possiamo difenderci dalle più disastrose conseguenze di tale eredità filogenetica, dalla demenza monoteistica, con gli stessi strumenti con i quali è possibile difenderci dall’Alzheimer: «La lettura, l’apprendimento e il gioco accrescono la cosiddetta riserva cognitiva, che permette di rallentare il declino cognitivo e il rischio di demenza. D’altra parte la pratica di un’attività fisica regolare favorisce la liberazione di molecole dette neurotrofine e la produzione di nuovi neuroni -o neurogenesi- che contribuiscono allo sviluppo di questa riserva cognitiva» (L.Buée, 78-79).
M&C_123_marzo_2015I giovani europei che lasciano le loro vite per entrare nell’ISIS o in analoghe organizzazioni -come Boko Haram allo scopo di imporre mediante lo sterminio delle esistenze altrui la verità secondo cui «Allah è l’unico Dio e Maometto è il suo profeta»; allo scopo di distruggere i resti di millenni di civiltà politeistiche e animistiche; allo scopo di rinunciare per sempre alla libertà del corpomente; tali giovani avrebbero tutto da guadagnare da qualche conoscenza filosofica e storica in più, da qualche esercizio fisico nello spazio libero della natura. Quello spazio che il Dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani contrae sino alla propria piccola persona.

Creature della notte

Solo gli amanti sopravvivono
(Only Lovers Left Alive)
di Jim Jarmusch
Gran Bretagna-Germania-Francia-Cipro-USA, 2013
Con: Tom Hiddleston (Adam), Tilda Swinton (Eva), Mia Wasikowska (Ava), John Hurt (Marlowe), Anton Yelchin (Ian), Jeffrey Wright (il Dottor Watson)
Trailer del film

Adam vive a Detroit, Eve a Tangeri. Si amano appassionatamente. Lei conosce e legge molte lingue ed è antica amica di Marlowe. Lui compone musica per le chitarre di ogni tempo e luogo. Vivono e viaggiano di notte, prediligono la solitudine, coltivano la bellezza e la scienza. L’arrivo della sorella di lei, più giovane e decisamente viziata, disturba i loro luoghi, infrange i loro equilibri, ma non tocca la quiete profonda che li intesse. Adam e Eve hanno bisogno di procurarsi sangue. È però sempre più difficile trovarne di non contaminato. E forse sono rassegnati a spegnersi nella notte dalla quale sono venuti. Soprattutto Adam è stanco della follia, della stupida ripetitività, della gratuita ferocia degli umani. Ma Eve, saggiamente, gli ricorda che «se dovessimo elencare i crimini che gli zombie hanno perpetrato nei secoli, staremmo qui sino all’alba», l’alba in cui inizia il loro sonno.
Elegante e malinconica metafora dell’arte e dell’artista, della solitudine e dei solitari, della lettura e dei lettori. Metafora intrisa di musiche e di danze. La creatura della notte conosce la morte e sa che cosa è il tempo. Per questo il suo ritmo è così calmo e la sua angoscia così sapiente.

Melandri su «Contro il Sessantotto», Libertaria 2015

Libertaria_2015_copertina

Franco Melandri analizza e discute Contro il Sessantotto in un vero e proprio saggio critico dal titolo Il Sessantotto? Un nuovo integralismo
«Libertaria 2015 – La pratica della libertà e i suoi limiti»
A cura di Luciano Lanza
Mimesis 2015
Pagine 227-233

«Il libro è una sorta di pamphlet di “filosofia applicata”, cioè muove dall’analisi di quanto animò quegli anni non soltanto per svolgere un ragionamento su quel periodo, ma per avanzare più specificamente una serie di tesi e argomentazioni di portata più generale, giungendo a delineare un’antropologia filosofica e una serie di tesi sull’utopia, la politica, la cultura»

Sulla religiosità siciliana Una lettura a partire da Ernesto De Martino

Convegno Autori Meridionali

Venerdì 13.2.2015 alle 16,30 nell’Aula A1 del Monastero dei Benedettini (Catania) terrò una relazione -dal titolo Sulla religiosità dei Siciliani e dei loro scrittori a partire da Ernesto De Martino– nell’ambito del Convegno La Sicilia come metafora: due secoli di letteratura nazionale.

Vai alla barra degli strumenti