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Louli su Anarchisme et Anthropologie

Sul numero del 12 aprile 2017 della rivista Lectures Jonathan Louli ha recensito Anarchisme et anthropologie.
Lo ha fatto in modo corretto, argomentato, problematico. Si tratta infatti di una riflessione competente, giustamente critica ma anche pronta a riconoscere il significato e l’originalità della prospettiva che il libro propone. Anarchismo tragico è una formula che ben sintetizza quanto il recensore ha colto ed espresso delle mie tesi.
Sono contento di essere letto in questo modo, in una corretta dialettica che esprime delle consistenti e legittime riserve ma prende molto seriamente il libro. Il modo in cui il testo si chiude mi sembra un riconoscimento metodologicamente corretto e politicamente efficace:
«Quoiqu’il en soit, malgré ces différents aspects polémiques, l’essai reste dense et riche, dans un style cinglant et concis. La critique de l’anthropocentrisme, peu courante, qui plus est à travers une approche proprement matérialiste, n’en est pas moins cohérente et intéressante à lire. Dans le livre, l’importance du regard « désenchanté » qui se forme alors au sujet de nous-mêmes produit un anarchisme individualiste et une anthropologie assez tragique. “L’homme est un loup pour l’homme”, disait Hobbes pour justifier l’État-Léviathan, source d’émancipation individuelle à travers les protections qu’il offre aux individus. “L’homme est un loup pour l’homme”, dit Biuso pour justifier la fin de l’État et du rapport destructeur à la nature, fin qui sera source d’émancipation individuelle à travers les protections qu’elle offrira aux individus. Une curieuse mais plutôt originale façon de penser l’anarchisme et l’anthropologie, mais après tout, il peut être constructif de dépasser les querelles de chapelles quand il est question de résister, chacun à son échelle, contre les principales formes de hiérarchie en place»

Link alla recensione 

Alterità

L’antica animalità e il consapevole sguardo filosofico del limite
il manifesto
14 marzo 2017
pag. 11
Pdf dell’articolo

Non siamo compartimenti stagni ma soglie di coniugazione. Non siamo strutture permanenti ma entità che emergono dal flusso temporale. Non siamo dispositivi autarchici ma scambi di alterità con tutto ciò che delimita i nostri corpi e che però li forma, li plasma, li nutre, li guida nell’ambiente, li significa nei simboli, li rende vivi, splendidi, mortali.

Sant’Agata

Dal 3 al 6 febbraio scorsi Catania ha vissuto ancora una volta la sua Grande Festa. A essere celebrata, portata tra le strade, arricchita di offerte, ricolma di desiderio, amata come figlia madre sorella, è stata Agata, il cui nome greco indica valore e nobiltà. Ἀγάθη è infatti anche una manifestazione di Artemide, vergine intransigente come lei.
Hanno quindi ragione coloro che accusano questa festa di essere pagana. Il cristianesimo, in effetti, ha poco da spartire con il culto totale riservato al busto argenteo di Agata, a questo idolo che si muove per giorni e notti tra i suoi fedeli, dando loro passione, lacrime e gioia. Come accadeva per le antiche statue degli dèi, il busto di Agata non rappresenta la santa ma è la santa. La dimensione pagana di queste feste dimostra la tenacia degli antichi culti in Europa e mostra soprattutto la naturalità del paganesimo, che è fatto di materia, di corpi, di fisicità, come appare chiaro a chiunque assista alla festa agatina.
A chi, poi, deplora le inflitrazioni criminali in questa celebrazione, si risponde che hanno certo ragione, che la festa è in gran parte controllata dalla malavita, ma che è la città a essere banditesca e quindi lo è anche la sua festa più importante. Pretendere che le celebrazioni popolari siano pure e linde quando la borghesia e i ceti dirigenti di Catania sono in gran parte corrotti significa essere o in mala fede o ingenui. Significa in ogni caso non comprendere le strutture della vita collettiva. È Catania a essere mafiosa non sant’Agata.
Per un pagano disincantato è un piacere vedere la fede nell’idolo, sentire le voci gridare «Saccu o senza saccu semu tutti devoti tutti!», sapere che al rientro definitivo della statua -il 6 mattina- gli innamorati di Agata piangono, la trattengono, le chiedono di rimanere ancora un poco con loro. Gli enormi ceri portati a spalla e bruciati dappertutto rappresentano ancora una scintilla -sporca, certo, decaduta e miserabile ma sempre viva- della grande Luce ellenica e mediterranea.
Segnalo il progetto -e il video, bello e interessante- di Durga, un film francese dedicato a Catania e ai suoi miti, nel quale trova spazio e senso anche la dea Agata.

L’umano, la bestia

Split
di Manoj Nelliyattu Shyamalan
USA, 2017
Con: James McAvoy (Kevin e tutti gli altri), Anya Taylor-Joy (Casey), Betty Buckley (la dottoressa Fletcher), Haley Lu Richardson (Claire), Jessica Sula (Marcia), Brad William Henke (lo zio John)
Trailer del film

Lo sguardo intenso e inquietante di Casey è la prima immagine del film. Vi si intravvede l’orrore, anche se non sappiamo ancora perché. Subito dopo, Casey e due sue compagne di scuola vengono rapite da Kevin, tenute prigioniere in una casa-scantinato, preparate come ‘cibo sacro’ per ‘la bestia’. Quale bestia? Kevin non è solo. Nel suo corpo vivono altre persone: l’ossessivo-compulsivo Dennis, la gentile e gelida Patricia, lo stilista gay Barry, il bambino Hedwig e altri soggetti. La sua psichiatra ne ha contati ben 23. Il nome collettivo è Orda. Kevin è dunque affetto dal DID, Disturbo Dissociativo dell’Identità, ma pensa di poter tenere sotto controllo questa comunità. Kevin ha «portato alla luce» Dennis e alcune delle altre persone allo scopo di difendere la propria parte più fragile, colpita e ferita da quando aveva tre anni e la madre lo odiava. Il bisogno di difendersi, e di mostrare a se stesso e agli altri la propria forza, arriva a generare l’estremo, ciò che lo stesso Kevin definisce, appunto, ‘Bestia’. Delle tre ragazze, soltanto Casey appare ai suoi occhi -ed è- ‘pura’, perché ha conosciuto il dolore. E per Kevin soltanto il dolore crea grandezza nell’umano, lo giustifica. Un dispositivo etico, come si vede, di impronta cristiana.
Chi è dunque veramente la Bestia? Non certo gli altri animali che appaiono alla fine e che non toccano Casey. In fondo neppure Kevin o l’Orda sono la Bestia. È qualcuno di assai più vicino a Casey, di più ‘normale’. E soprattutto, al di là di Casey e di Kevin, bestia è l’umano privo di gentilezza; bestia è l’umano capace di infliggere sofferenza senza scopo; bestia è l’umano che brama danaro e potere come se da questo accumulo potesse derivarne per lui una qualche forma di garanzia dalla furia del dissolvimento; bestia è l’umano che disprezza l’amore che riceve e ne approfitta; bestia è l’umano che risponde con uno schiaffo al candore e alla tenerezza; bestia è l’umano che umilia per il piacere di umiliare; bestia è l’umano che si scatena in gruppo contro uno; bestia è l’umano le cui reazioni sono imprevedibili, che oggi ti sorride con le parole e domani con altre parole ti strazia; bestia è l’umano che gode delle sciagure altrui se gli portano qualche minimo vantaggio o anche se non gli portano niente; bestia è l’umano nel quale abitano le molteplici forme di ferocia di cui soltanto la nostra specie è capace; bestia è l’umano fatto a immagine e somiglianza del suo dio. La Bestia è l’Homo sapiens sapiens, l’Orda siamo noi.

Amor fati

Strade, palazzi, chiese, conventi, distribuiti su un territorio immerso nel verde e rivolto al mare. Struttura e nucleo medioevali. Questo è Savoca, in provincia di Messina. Vi si trova un suggestivo Museo etnoantropologico che documenta la cultura materiale dei contadini di Sicilia ed è arricchito da una straordinaria raccolta di proverbi. Come questo: «A ccu è distinato di  moriri o scuru, ammatula cci menti l’ogghiu lantirnatu» (Per chi è destinato a morire al buio, è vano aggiungere olio alla lanterna).
Ammatula, ‘vanamente’, è bellissima parola siciliana. Potente, tragica, dal suono intraducibile. E vera. La contingenza è un’illusione della mente. Nel tutto domina la necessità. «I nostri massimi sforzi e precauzioni appartengono intimamente al fato di tutte le cose;  e così pure ogni stoltezza. Chi si smarrisce per questa idea è, con ciò stesso, egli pure fato. Contro il pensiero della necessità non vi è scampo» (Nietzsche, Frammenti postumi 1884, 26[82]). Amor fati.
Sparsa tra colline e dirupi, Savoca è un luogo fedele alla memoria di ciò che è stato, è uno spazio immerso in un presente che esprime la bellezza dell’Isola senza umiliarla con dubbie invenzioni urbanistiche. Da questa altezza tra il vulcano e l’acqua, la vita luccica nella sua ferocia.

«Così fanno i pagani»

«Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come  è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt, 5, 43-48).
Quanti cercano di seguire davvero queste massime di Jeshu-ha-Notzri perdono una delle gioie della vita. Essa consiste nel vedere soffrire chi ci ha fatto soffrire; nel gustare la caduta di quanti produssero in noi lacrime, umiliazioni o tristezza; nel godere sino in fondo e con un sorriso della malattia, dell’abbandono, della rovina che afferra chi ci ha procurato dolore. A coloro che mi hanno ingannato, tradito, voluto del male -come costui, come uomini e donne che non hanno meritato il mio amore e la mia amicizia, come alcuni indegni soggetti incontrati in contesti professionali-, io auguro ogni sofferenza.
Ma in realtà i cristiani provano di frequente la gioia che qui sto cercando di descrivere. Loro che ben lontani dall’“amare i nemici” sono sempre stati i primi a massacrarli. Guerre di religione, roghi (Giordano Bruno sarà per sempre la maledizione dei papisti e Michele Serveto lo sarà per i protestanti), persecuzioni di streghe ed eretici, colonialismo, benedizione di tutte le guerre, complicità con i mafiosi e i pedofili, conflitti interni per il potere, sostegno a ogni sorta di tiranni, crimini vasti e di varia natura, costituiscono il contrappasso che condanna tali ipocriti. I cristiani negano la natura umana e però la praticano (e che altro potrebbero fare?), i pagani la seguono senza mentire, in primo luogo a se stessi:
«καὶ τὸ τοὺς ἐχθροὺς τιμωρεῖσθαι καὶ μὴ καταλλάττεσθαι (e vendicarsi dei nemici è più bello anziché riconciliarsi)»
(Aristotele, Retorica A, 9, 1367 a, 24).
«Ma ho forse torto a lamentarmi… la prova, io sono ancora vivo… e perdo dei nemici tutti i giorni!… di cancro, … di apoplessia, di ludreria… è un piacere come che si svuota il sacco!… non insisto… un nome!… un altro! ci sono dei piaceri nella natura…»
(Céline, Da un castello all’altro, in «Trilogia del Nord», Einaudi 2010, p. 24).
«οὐκοῦν ἐπὶ μὲν τοῖς τῶν ἐχθρῶν κακοῖς οὔτ᾽ ἄδικον οὔτε φθονερόν ἐστι τὸχαίρειν (gioire dei mali dei nemici non è né ingiusto né invidioso)»
(Platone, Filebo, 49 D).
«εἰ κεινόν γε ἴδοιμι κατελθόντ’Ἄϊδος  εἴσω / φαίνην κε φρέν ἀτερπου ὀιζύος ἐκλελαθέσθαι» [Se lo vedessi discendere dentro i recessi di Ade, / direi che un brutto malanno avrebbe scordato il mio cuore]. Questo dice Ettore di Paride, suo fratello, in Iliade, VI, 284-285.
Così fanno i pagani.

Zombi

 

manifesto_23-12-2016

Quella umanità condannata a una perenne non vita virtuale
il manifesto
23 dicembre 2016
pag. 11
Pdf dell’articolo

Gli zombi sono il modello al quale il Capitale vorrebbe ridurre ogni proletario e -alla fine- l’intera umanità; gli zombi sono i sempre connessi a facebook, i teledipendenti, tutti i soggetti che si muovono verso la non vita virtuale; gli zombi sono tristi metafore dell’omologazione e del conformismo.

 

 

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