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Il gioco al massacro

Nel febbraio del 2013 l’Università di Catania elesse un nuovo Rettore -Giacomo Pignataro- con una percentuale di voti che non lasciava dubbi sulla volontà del corpo accademico di segnare una discontinuità con la precedente amministrazione. La quale però non si è rassegnata a tale risultato e ha operato in molti modi per capovolgerlo. L’episodio più recente è raccontato nel documento del CUDA che riporto per intero, condividendone i contenuti e le intenzioni. È bene che soprattutto gli studenti sappiano come si intende paralizzare la vita della loro Università, con grave danno per tutti.

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Questa storia narra di un ateneo presso il quale la parola legalità faticava a far rima con realtà, giustizia e legittimità.
C’era un rettore che aveva dato corso a una legge solo nelle parti in cui gli piaceva. Questa legge gli imponeva di adottare uno statuto raccordandosi con altri attori istituzionali (il MINISTERO). Ma lui niente: lo statuto è mio e me lo faccio come voglio io; anzi, lo approvo “a prescindere”. E se qualcuno si lamenta, vada a raccontarlo ai giudici. Io me ne infischio; anzi, me ne frego.
Nel 2011, questo rettore manda tanti saluti al Ministero e fa approvare uno statuto “fai da te”.
In quegli stessi anni, questo rettore che non amava tanto essere disturbato, e che si segnala anche per il conferimento di laurea honoris causa a un signore – un uomo d’onore, direbbe Shakespeare – che l’ha, ci dicono, successivamente riposta nel poco spazio lasciato libero dagli incartamenti di tutte le pendenze giudiziarie che lo riguardano, questo rettore, amante delle regole, amante del confronto pacato con tutti, si segnala per aver promosso un’azione disciplinare contro un preside, uno tra i pochi docenti del Suo ateneo a farlo in verità, che osa biasimare, ah ingeneroso!, la sua gestione amministrativa.
In quegli stessi anni, il medesimo rettore, uso a discutere ragionevolmente con quanti non riescono a vedere i sacrifici che fa ogni giorno per mandare avanti la baracca, pensa bene di lanciare in politica la moglie di un suo sottoposto. Ma nel farlo si affida, poveruomo, alla collaborazione di maldestri esecutori che gli combinano un guaio con risvolti penali.
Sempre negli stessi anni lo stesso rettore si segnala, nella sua azione politica indefessa, per un esilarante doppio incarico che evidenzia l’ateneo come indiscussa anomalia nel panorama nazionale: presidente regionale dell’UDC – partito dell’allora presidente della Regione Cuffaro Totò – e immarcescibile rettore…
Ora, diciamo noi, ma è possibile che un tale lavoratore indefesso debba anche tollerare che i soliti sfascisti, gufi e rosiconi facciano commenti su tutte le cose buone che fa. Per di più disprezzandole, non cogliendone la bellezza, la purezza, il disinteresse. Ma la libertà di pensiero può mai divenire libertà di scassare i cabbasisi a un santo? No, e infatti arrivano le linee guida comportamentali in caso di azioni disciplinari, incostituzionali e illiberali, tanto da scatenare una polemica nazionale.
Le vite dei santi, genere letterario importantissimo, ispirano una sequela della santità, fanno proseliti. Oggi ci pare che questo esempio di difensore delle regole abbia giuridicamente ispirato una collega, già componente del Cda, che si è accorta che c’era del marcio a Catania.
Menomale. Menomale che ha caricato la sveglia, dato fiato alle trombe, fatto suonare le campane.
C’è un giudice a Berlino, anzi a Palermo, e finalmente c’è, dopo una parentesi di oscurantismo e notte e nebbia, un po’ di luce anche a Catania (dove nel frattempo ricorso-fotocopia è stato presentato, proprio dal già rettore, con perfetto tempismo e pervicace attivismo giudiziario…).

A conclusione di questa doverosa, lunga e ricca (ma di povertà) premessa storica – perché la tendenza a dimenticare è una tentazione diffusa nel nostro Paese e dalle nostre cuffariane parti in ispecie – ecco il punto. Proprio da parte di chi ha creato un vulnus grave e dunque una condizione di potenziale ingovernabilità e stallo istituzionale (con l’approvazione dello Statuto “a prescindere”) viene oggi agitato quel vulnus, per dire che l’attuale amministrazione è illegittima, non ha titolo, e che un rettore votato da  oltre l’80% dell’ateneo è abusivo. Addirittura, in un’ultimissima esternazione a mezzo stampa, avente per oggetto niente di meno che “elezioni del nuovo rettore”, il prof. Recca, in abborracciato blasone istituzionale, dichiara “grande soddisfazione” per la sentenza del CGA che a suo dire azzererebbe tutte le cariche dell’ateneo (Rettore compreso) e si lancia come suo solito in accuse incontrollate e ardite nei confronti dell’attuale Rettore (mentre allestisce già gazebi elettorali agostani e lancia prevedibili candidature civetta). Scorda, il Recca (o finge di scordare e ignorare), che la stessa sentenza del CGA da lui osannata lo censura gravemente, ribadendo testualmente (come già la sentenza di primo grado) che “male ha fatto il rettore Recca” (si veda p. 12, rigo  7 e seguenti della stessa) ad avviare un contenzioso così pernicioso per l’Ateneo approvando lo Statuto in conflitto con MIUR e TAR.
Ma oggi il prof. Recca – con ennesima e metamorfica giravolta –  si erge a paladino della “legalità”! Fantastico! Abbiamo avuto notizia che alcuni colleghi, appena ricevuta la sua esternazione, l’hanno prontamente stampata e incorniciata, ponendola in bella mostra tra una foto di Totò e una di Dario Argento…
E dunque, e veniamo al punto, c’è da chiedersi: perché tale accanimento nei confronti della presente amministrazione? Un’amministrazione che noi abbiamo sostenuto ma con franchezza e libertà criticato su alcuni aspetti, anche rilevanti, della sua azione (tra questi la composizione troppo gerarchica e poco rappresentativa del SA [Senato Accademico] nel nuovo Statuto, o la posizione contraria assunta nella protesta sullo Stop VQR [Valutazione Qualità della Ricerca]); ma un’amministrazione che – non dimentichiamolo – ripristinando forme fisiologiche di confronto e dibattito (prima inimmaginabili), ha ereditato e affrontato, con importanti risultati, una crisi fortissima del nostro ateneo nella didattica e nella ricerca (nel settennio precedente altre erano le priorità), che ha  ripristinato modalità trasparenti di gestione degli appalti, che si è costituita parte civile nell’avvilente affaire del mailgate, che ha affrontato situazioni gravi e complesse – segnalandole  a tutti gli organi competenti – come la lievitazione esorbitante dei costi della Torre biologica e del contratto Global Service stipulato in precedenza dall’ateneo (solo per citare alcune delle azioni “sensibili” di questa amministrazione)?
Siamo in presenza di un gioco al massacro? Ovvero di un gioco in cui chi non ha nulla più da guadagnare nell’attuale situazione, ma tutto da perdere nel perdurare di azioni di trasparenza amministrativa, gioca il tutto per tutto, il “la va o la spacca”, il “muoia Sansone con tutti i Filistei”?
Calma, calma, con le illazioni. Diciamo calma a tutte le colleghe e i colleghi (circa un migliaio) che si stanno ponendo questa esatta domanda in queste settimane e in questi giorni.
E in attesa che si stabilizzi il contenuto – invero non chiaro e talora sibillino – della recente sentenza del CGA (si chiede il rinnovo degli organi statutari escluso o compreso il rettore? La prima ipotesi sembrerebbe ben più probabile a rigor di legge e di logica…), ci pare di potere dire una cosa, con serenità.
A chi ha ispirato, sostenuto, incoraggiato, promosso le recenti azioni giudiziarie vorremmo dire che noi non abbiamo MAI avuto paura delle regole né di chi le applica in un determinato momento. Se non ci piacciono le rispettiamo, ma cerchiamo di cambiarle e anche di cambiare chi le fa e le applica (se democraticamente eletto).
Il passato non ritorna mai uguale a prima e noi siamo ancora qui.
Pensiamo, dunque, che il  nostro ateneo non possa più di tanto stare al palo a farsi indebolire da interessi obliqui e giochi al massacro. Se l’incertezza dovesse perdurare, in assenza di un’interpretazione autentica della sentenza, aggravata anche da un gioco di rimpalli giuridici e di  indignazioni tanto strillate quanto interessate, c’è – in extrema ratio – un modo semplice per risolvere la questione. Tornare  a votare. E se (in questo ipotetico scenario) il Rettore Pignataro vorrà ricandidarsi e presenterà un programma condivisibile, lo sosterremo convintamente come abbiamo fatto la volta passata, per dare sia serenità e continuità alla gestione amministrativa quanto per migliorarla e rafforzarla dove possibile e necessario: ciò che riteniamo sia nell’intendimento della stragrande maggioranza dell’ateneo, docenti, personale amministrativo e studenti. Perché – come ricorda Machiavelli nei suoi Discorsi – “la malignità non è doma dal tempo né da alcuno dono”. Ma la volontà collettiva, serena e vigile, può sanare e correggere storture che il tempo lascia in eredità. Ma non per sempre.

CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica)

700 euro al giorno

[Inauguro con questa notizia una nuova sezione -informativa- del sito, che ha come titolo Cronache / Luoghi / Eventi]

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Un affitto d’oro: la sede della televisione a UNICT

di CUdA – 20 luglio 2013

In data 14 luglio 2009, l’Ateneo di Catania stipulava un contratto d’affitto con la I.S.A., Impianti Sportivi Alberghieri S.R.L., società con sede a Catania in via Centuripe 1/C.

Tale contratto prevede la locazione di uno stabile situato a Catania, tra via Umberto, via Sangiorgi e via Tagliamento, di oltre 1000 mq, con destinazione “uffici e aule didattiche”, per sei anni, fino al giugno del 2015, senza possibilità di recesso da parte dell’Università stessa.

In questo stabile non si sono mai svolte lezioni o laboratori; dopo qualche tempo, e dopo dei lavori di adattamento – non poco costosi – pagati sempre dall’Ateneo, è stata trasferita lì Radio Zammù; e poi, dopo il novembre 2011, la costituenda e poi costituita Web-TV d’Ateneo, la cui linea editoriale e il cui progetto di comunicazione non risultano mai (cosa strana) essere stati vagliati né approvati dagli organi dell’Ateneo, la quale Web-TV ha come direttore il sig. Recca Severino.

L’affitto dello stabile, d’altronde, era un vero affare: 252.000 euro annui, ovvero 21.000 euro al mese, un canone al di fuori di qualsiasi ragionevole valore di mercato (fate mente locale: voi riuscireste ad affittare a 2.100 euro al mese un appartamento di famiglia di circa 100 mq, l’equivalente di un decimo dello stabile in oggetto?)

Facciamo dunque un po’ di conti. In sei anni UNICT ha speso e spenderà per l’affitto di questo spazio (che continua a costarci 700 euro al giorno) oltre un milione e mezzo di euro; spesa esorbitante alla quale vanno aggiunti i soldi della ristrutturazione e le spese per le attrezzature della Web-TV (sulle quali per ora non entriamo in merito e che non computiamo).

Insomma, facendo un primo totale, quel che è certo è che circa 1,6 milioni di euro sono andati via, in fumo.

Di certo, crediamo, questo affitto d’oro verrà dismesso alla scadenza (ma il danno resterà); di certo la Web-Tv d’Ateneo si darà un progetto chiaro e una mission condivisa.

Restano le macerie, però.

Ci chiediamo, dopo che è stato detto per anni che non c’erano soldi per tutorati, dottorati, assegni di ricerca, precari dell’amministrazione e della ricerca, corsi di studio… Cosa si sarebbe potuto fare, di più e di meglio, con questi 1,6 milioni di euro (senza considerare altre spese…) in tutti questi anni?

Siamo certi che la presente Amministrazione vorrà e saprà sanare queste situazioni.

Chiediamo però, anche, che tali scelte del passato abbiano evidenza pubblica; così che ognuno possa farsi un’idea: sul passato ma anche sul presente del nostro Ateneo.

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La fonte dell’articolo è Fuori dal coro, sito del Coordinamento Unico dell’Ateneo (CUdA) di Catania.
Di questo testo mi ha fatto riflettere soprattutto il seguente brano: “Ci chiediamo, dopo che è stato detto per anni che non c’erano soldi per tutorati, dottorati, assegni di ricerca, precari dell’amministrazione e della ricerca, corsi di studio… Cosa si sarebbe potuto fare, di più e di meglio, con questi 1,6 milioni di euro (senza considerare altre spese…) in tutti questi anni?”. Di tali dichiarazioni sulla endemica e grave mancanza di fondi sono stato infatti testimone in numerosi Consigli di Facoltà (prima) e di Dipartimento (poi).
Il Rettore sotto il cui governo fu stipulato questo contratto era Antonino Recca, il cui mandato si è concluso nel marzo 2013.

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