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Parla sussurra grida

Fai bei sogni
di Marco Bellocchio
Italia, Francia – 2016
Con: Nicolò Cabras (Massimo bambino), Barbara Ronchi (la madre), Valerio Mastandrea (Massimo adulto), Bérénice Bejo (Elisa), Guido Caprino (il padre), Fabrizio Gifuni
Trailer del film

Massimo gioca e balla con la sua mamma. Una ragazza solare. Poi li si vede andare in giro per Torino. Lei è diventata distante, persino cupa. A casa gli sguardi sorridenti della donna si alternano ad altri venati di follia. Una sera, mentre fuori nevica, lei muore. Il bambino non ci crede. La chiama. Nei giorni e nei mesi successivi chiede aiuto alle fantasie e ai personaggi che ha creato insieme a lei. Da adulto, Massimo è riservato, lontano, non sorride. Sino a che un’altra donna gli dice: «Lasciala andare».
Cinema, puro cinema. Dove non si spiega nulla -tranne una forse inevitabile agnizione finale- e a parlare  sono le immagini, gli sguardi, l’accadere. Sono i colori densi degli anni Sessanta e Settanta. Parla la ricostruzione filologica di ambienti, oggetti, strade, automobili, canzoni. Parlano i programmi televisivi, vero e proprio basso continuo di tutto il film.
Parla, sussurra, grida la sofferenza umana nelle sue forme molteplici e dolenti: la fine di un amore, l’invisibilità delle persone, l’abbandono della madre, la durezza degli eventi, la follia dei sentimenti, l’irredimibile solitudine, le notti senza luce, il panico improvviso tra le cose, l’incomprensione gelosa, il chiudersi a riccio, l’angoscia senza nome.
Tutto questo è narrato da Bellocchio con partecipe misura, con saggezza. La magnifica scena iniziale con Massimo e la mamma che ballano felici proietta il corpomente in un paradiso reale e insieme perduto. Uno dei personaggi afferma che non bisogna dire «se» -parola dei falliti- ma «nonostante». Sorridere, capire, danzare nonostante l’assurdità dell’esserci e del vivere. Un film bellissimo e lancinante.

Gli USA, la guerra

American Pastoral
di Ewan McGregor
USA, 2016
Con: Ewan McGregor (Seymor ‘Lo Svedese’ Levov), Dakota Fanning (Merry Levov), Jennifer Connelly (Dawn Levov), Peter Riegert (Lou Levov), Valorie Curry (Rita Cohen), David Strathaim (Nathan Zuckerman)
Trailer del film

Guerra degli Stati Uniti contro il Vietnam. Guerra dei neri contro i bianchi. Guerra dei giovani contro lo Stato. Guerra del passato contro il presente. E soprattutto guerra dei sentimenti dentro una famiglia. Guerra degli umani contro se stessi. Anche questo è American Pastoral di Philip Roth, dal quale Ewan McGregor ha tratto un film sobrio, doloroso, assai teso.
Romanzo e film raccontano di un giovane del New Jersey negli anni Cinquanta, figlio di un piccolo industriale dei guanti. Seymor è un uomo bello, atletico, marito di una ragazza affascinante, padre amatissimo della bimba Merry. Ma. Le passioni, il corpo sociale e il tempo distruggono questo idillio pastorale, questa così invidiabile esistenza. Merry detesta la madre, vorrebbe il padre tutto per sé, diventa una contestatrice appassionata ma anche ingenua del sistema americano, del suo imperialismo, della sua ipocrisia. Seymor cerca di convincerla che non è necessario andare a New York per vivere questi ideali. Che anche la loro piccola città è America e che dunque «puoi portare qui la guerra». E Merry la guerra la porta veramente. Facendo saltare l’ufficio postale con dentro l’impiegato. La ragazza scompare, diventa clandestina, si perde. La madre impazzisce e poi rinasce dimenticando la figlia e odiando il marito. Il padre non si rassegna, la cerca, la trova nei sobborghi più squallidi, diventata induista, rispettosa di ogni forma di vita e dalla vita ferita sino in fondo.
Un grumo di passioni, d’amore e di stoltezza è questa storia, come l’intera vicenda umana. Attaccarsi a un proprio simile -figlia, padre, compagna, amante che sia- sino a farne respiro e tessuto dei giorni che vanno, è qualcosa che a molti umani riesce facile. E rischiosa. Le ragioni dell’abbandono possono essere le più diverse, nel caso di Merry una confusa motivazione politica, ma se questo accade bisogna lasciare andare le persone per la loro strada. Se l’abbandono è stato precipitoso -quasi sempre lo è quando l’abbandonato ci amava veramente- la vita si incaricherà di illuminare tale imprudenza, come accade a Merry.
«Tutto è politica, anche lavarsi i denti è politica» dice la ragazza. Vero. Tutto è politica e tutto è sentimento. Per questo la storia universale e quella di ciascuno è tanto irrazionale, perché le passioni guidano la vita di ognuno, palesi o mascherate che siano. Non esiste idillio nelle relazioni umane, non esiste pastorale.

Le donne del 6°piano

di Philippe Le Guay
(Les Femmes du 6ème ètage)
Con: Fabrice Luchini (Jean-Louis Joubert), Sandrine Kiberlain (Suzanne Joubert), Natalia Verbeke (Maria)
Francia, 2011
Trailer del film

La struttura e l’altezza dei palazzi di Parigi vennero stabiliti dal barone Haussmann durante il Secondo Impero. L’ultimo piano delle case fu riservato alla servitù. E così ancora nel 1962 sopra il quinto piano, dove abitano il finanziere Joubert e sua moglie, alloggiano nelle loro piccole stanze con i servizi in comune alcune donne che hanno lasciato la Spagna di Franco per trovare lavoro nella capitale. E dunque dopo il licenziamento della vecchia domestica, in insanabile contrasto con la padrona, la coppia assume Maria, una delle più giovani, vitali, determinate e malinconiche fra queste inquiline. A poco a poco mentre la signora Joubert continua i propri riti borghesi, banali e sempre identici, nella vita del marito entra un’aria nuova portata da Maria e dalle sue compagne.

Il film narra l’incontro tra classi sociali, lingue, modi di vivere assai diversi. Lo fa in un tono favolistico e lieve sino alla superficialità. L’intreccio tra politica, amore e costume è comunque gradevole e risulta estremamente accurata -sino ai minimi dettagli- la ricostruzione del milieu borghese e popolare degli anni Sessanta. Sembra soltanto una garbata -e ben recitata- commedia che può però essere letta anche alla luce dei problemi che gli anni Dieci del nostro secolo pongono all’incontro tra gli indigeni europei e i nuovi migranti.

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