Biotecnologie e antropodecentrismo
in Tecnica e coesistenza. Prospettive antropologiche, fenomenologiche ed etiche
A cura di Lorenzo De Stefano
Quaderni di Mechane, volume n. 2
Mimesis, 2024
Pagine 149-156
Indice
-Etoantropologia
-Sperimentazione animale
-Biotecnologie
In questo saggio, frutto della relazione che presentai a un Convegno tenuto a Napoli nel settembre del 2021, ho cercato di delineare alcuni elementi essenziali dell’antropodecentrismo a partire dall’etoantropologia, vale a dire dalla piena continuità tra l’animale umano e gli altri animali. Su tale base perdono ogni legittimità e ogni significato scientifico e ontologico sia le vecchie pratiche di ‘sperimentazione animale’ come la vivisezione sia molte delle nuove biotecnologie, le quali non comprendono che ogni animale ha il proprio modo di stare al mondo, le proprie specificità etologiche, la propria struttura percettiva e situazione spaziotemporale. In una parola la propria Umwelt, lo spaziotempo che ogni vivente consapevole non si limita ad abitare ma lo spaziotempo che è. Tutti elementi che le biotecnologie cancellano imponendo alla vita animale e al singolo vivente strutture spaziali e ritmi temporali del tutto artificiali, estranei alla specificità etologica dell’individuo e della specie.
L’animalità è trasformazione, certo, è ibridazione, scambio, flusso ma tutto questo ha senso e conduce a risultati adattivi nei tempi lunghi dell’evoluzione. Non esiste invece trasformazione, ibridazione, flusso quando le trasformazioni genetiche vengono «mediate dalle tecnologie che sono state imposte agli animali in laboratorio praticamente da un giorno all’altro (secondo i parametri evoluzionistici)» (Zipporah Weisberg).
Chi, anche in ambito postumano se non addirittura animalista, guarda con favore le biotecnologie in quanto nemiche dell’essenzialismo – una vera ossessione per molto ambientalismo progressista – non sa quel che dice, non si rende conto che difendere l’essenza degli enti – sempre dinamica, certo, come tutto ciò che esiste – significa salvaguardare gli enti dalla manipolazione arbitraria e dalla distruzione interessata. Sempre Weisberg afferma giustamente che «i postumanisti tendono a romanticizzare il ruolo che la tecnologia ha nel ‘queerizzare’ e nel ‘trasgredire’ i confini tra umani, animali e tecnologie».
Le biotecnologie fondate sul mercato della vita sostengono che lo stare al mondo è una collazione di particolari; l’olismo fenomenologico ed etologico ritiene invece che ogni singola sensazione, dolorosa o piacevole che sia, ha senso e funzione soltanto all’interno di una complessiva struttura relazionale e adattiva, nella quale sono profondamente coniugati gli aspetti chimici, percettivi, neurologici.
In sintesi, le biotecnologie che riducono l’animalità a un’invenzione brevettabile costituiscono una pratica di sterminio e rappresentano il momento più basso delle relazioni tra l’animale umano e gli altri animali.
Le forze economiche del capitale e del suo feticcio per eccellenza – il mercato – non rinunciano mai da sole e spontaneamente al loro dominio. Se la situazione ecologica del mondo contemporaneo è questa, se «l’uomo non sa esistere se non attraverso il dominio», allora ha ragione Patricia Mac Cormack a stupirsi per «come gli ambientalisti possano ancora riprodursi, come i vegani possano ancora riprodursi e come gli ambientalisti possano non essere vegani» e a proporre una plausibile posizione estinzionista. Perché il punto sembra ormai questo: o noi o il pianeta vivente. Ma il pianeta può vivere senza l’umano, l’umano non può vivere senza il pianeta, nonostante la ὕβρις biotecnologica si illuda del contrario.
Forse è arrivato il momento per tutte le scienze di andare oltre il paradigma antropocentrico che accomuna creazionismi e tecnofilie, che coniuga religioni e scientismi, per volgersi verso un più ampio paradigma etoantropologico consapevole del limite delle risorse della Terra e della profonda relazione che tutti i suoi abitatori intrattengono tra di loro, come singoli, come società e come specie.