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Terrore e silenzio

È sempre la solita storia. Nulla il potere teme come la parola che «gli allòr ne sfronda ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue» (Foscolo, Dei sepolcri, vv. 157-158). Spinoza lo comprese perfettamente quando propose che «facta arguerentur, & dicta impune essent (fossero perseguibili soltanto le azioni, e le parole rimanessero impunite)» (Trattato teologico-politico, Prefazione). Non so chi sia Julian Assange, se dietro di lui ci sia qualcuno, quali siano gli scopi della sua azione. Ma sono certo che le accuse che gli Stati gli rivolgono -da quelle private a quelle politiche- sono finalizzate a colpire la libertà di sapere. Sapere chi davvero comanda nel mondo: le banche, la grande finanza di Wall Street, le industrie delle armi, i servizi segreti. Sapere che gli Stati democratici si reggono sulla medesima struttura criminale degli Stati non democratici. Sapere che mantenere i propri sudditi nell’ignoranza è ancora e sempre il vero scopo di chi comanda, poiché è la condizione che permette loro di continuare a comandare e di essere persino apprezzati.
Noam Chomsky, Barbara Spinelli, altri studiosi e giornalisti difendono l’azione di Wikileaks e di quanti cercano di informare sulle reali azioni degli Stati e non sulle parole vuote dei loro rappresentanti. Alcuni dei peggiori governi del mondo -tra essi Stati Uniti, Italia, Russia, Cina- cercano invece di mettere il silenziatore alla Rete, persino definendo “terrorista” Assange. I terroristi sono loro, loro è la guerra, loro il conformismo, loro la finanza che sta distruggendo l’economia e la società europee. Loro è il terrore quotidiano e silenzioso che ci domina.

[Invito a leggere la motivazione della proposta con la quale Il Fatto quotidiano chiede di firmare per la liberazione di Assange
Invito, inoltre, a leggere un interessante intervento apparso sul sito di Alfabeta2, paradossale solo in apparenza]

Spegnere le catene, un mondo da guadagnare

Nel belletto della “democrazia” le attuali società rimangono sempre la stessa broda spettacolare e totalitaria. Sui quotidiani italiani di ogni tendenza, e anche sulle loro versioni in Rete, si parla ossessivamente di programmi televisivi; sembra che gli eventi non possano essere raccontati se non attraverso il filtro della loro icona catodica. La televisione trionfa ovunque e totalmente, non soltanto in una società profondamente realityshowizzata come quella italiana. Un gesto politico tanto semplice quanto apparentemente difficile da compiere ma dagli effetti dirompenti prima di tutto sulle vite di chi lo attua e poi -se esteso a una massa sufficientemente critica- sul sistema pubblicitario e commerciale che ci domina sarebbe questo: spegnere il televisore, non riaccenderlo, disfarsene. In cambio ci verrà restituito il tempo, il rifiuto dell’ovvio, lo sguardo straniato e straniante rispetto al veleno che ormai non ci rendiamo più nemmeno conto di assorbire ogni giorno dalla scatola incantatrice e incatenatrice. Per quanto mi riguarda, nessun accordo con l’esistente, nessuna concessione alla miseria televisiva, nessuna complicità col nucleo profondo del dominio contemporaneo.

Il corpo di Sakineh, l'infamia del potere

Non so quale sarà il destino di Sakineh Mohammadi Shtiani, la donna iraniana frustata e condannata alla lapidazione per aver commesso adulterio. Ma so che l’essenza del potere è da sempre il controllo dei corpi e il dominio sui loro desideri. È quindi ingiustificata ogni nostra pretesa, nostra di cristiani europei o statunitensi, di essere diversi rispetto alla teocrazia che infesta l’Iran. La condanna a morte, l’isolamento sociale, l’angoscia psicologica costituiscono certo forme tra loro assai diverse di punizione e però hanno tutte a fondamento l’istituzione che più di ogni altra fa da tramite fra il potere e la persona: la famiglia. Quando essa è fondata su un contratto -civile o religioso che sia- e non sulla libera adesione di chi giorno per giorno sceglie di amare il proprio compagno o compagna, la famiglia diventa il luogo terrorizzante dell’oppressione che i maschi esercitano sulle donne. Tra tutte le religioni, i tre monoteismi del Libro sono le più maschiliste e sessuofobiche, sono delle autentiche macchine di infelicità, sono delle sadiche espressioni contro natura poiché naturale è il desiderio di cui i corpi sono fatti.

Ed è ingenuo credere che in questo il cristianesimo sia migliore del rigorismo ebraico e del fanatismo islamico. Anzi, nel Vangelo di Matteo si legge una frase che trasferisce il terrore (il cosiddetto “peccato”) dalle azioni esteriori alla psiche: «Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt, 5, 27-28). Che cosa c’è di più naturale del desiderio di un bel corpo? I Greci lo sapevano e lo accettavano; ebrei, cristiani e musulmani trasformano il desiderio in peccato. Lo conferma anche un altro brano evangelico, di solito addotto a testimonianza di clemenza. È vero, l’adultera non venne lapidata ma, rimasto solo con lei, Jeshu-ha-Notzri così le si rivolge: «“Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”» (Gv, 8, 10-11). Come se il desiderio e il piacere fossero peccato!

Contro la legge islamica ma anche contro quella mosaica, evangelica e civile, va detto con chiarezza che libertà è il poter disporre in modo incondizionato, sovrano e ininterrotto del proprio corpo, del corpo che si è, senza che il potere dei preti e dello stato intervenga a imporre la sua infamia.

Sprofonda

È con amaro disgusto che scrivo queste poche righe. Vivo altrove, infatti, e non vorrei più occupare la mente a rovistare nella merda. Ma Platone ci ha insegnato che non si deve permettere ai filosofi «di starsene lassù e di non volerne più sapere di tornare dai compagni in catene, e di condividere i loro onori e le loro fatiche, grandi o piccole che siano»; in questo caso, infatti, «dei pezzenti avidi di trar profitto personale si avventano sul bene pubblico» (Repubblica, VII, 519A e 521A). E allora diciamolo ancora una volta, pur in un piccolo e insignificante spazio come questo, diciamo che quanto oggi alcuni apprendono con sconcerto è evidente da decenni a chi abbia occhi e mente. Ripetiamo non soltanto che il potere è ovunque il risultato della natura perversa dell’umano ma che da vent’anni l’Italia è in mano a soggetti le cui fortune cominciarono con i soldi della mafia palermitana. Ciò che molte anime belle vanno oggi scoprendo -“ohibò, i Palazzi romani, milanesi, napoletani sono abitati da camorristi, ndranghetisti e malviventi assortiti”- è lampante da decenni. Non c’è alcun rapporto tra il governo nazionale e la malavita, l’attuale governo è la malavita.L’Italia è violentata ogni giorno dalle bande criminali che hanno occupato i ministeri romani, gli assessorati regionali, gli enti locali da Bordighera a Bronte. E lo hanno fatto con l’attiva e complice presenza degli ex comunisti, dei cattolici vaticani, degli eredi di un partito supremamente “giustizialista” qual era il MSI, dei leghisti secessionisti che hanno imparato ormai a imitare perfettamente la corruzione romana, di una legione di giornalisti asserviti. Si può sperare non nel senso civico degli italiani, che non esiste se non in piccole minoranze, ma nella miseria economica ormai sempre più incombente. In ogni caso, all’Italia va ripetuto quanto già disse Pasolini: «Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo».

1984

di George Orwell
(Nineteen Eighty-Four, 1949)
Trad. di Gabriele Baldini
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998
Pagine XI – 327

In una mattina di aprile dell’anno che forse è il 1984 Winston Smith torna a casa e comincia a scrivere i propri pensieri in un quaderno che ha da poco acquistato. Ecco: questa è la sua colpa, lo psicoreato che aveva già cominciato a commettere e che adesso è provato dalla sua stessa scrittura. Winston Smith vive, infatti, in Oceania, uno dei tre stati sovracontinentali nati dalla guerra atomica degli anni ’50.
In ciascuno di essi

«LA GUERRA È PACE
LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L’IGNORANZA È FORZA»
( p. 8 )

Winston lavora presso il Ministero della Verità, il cui compito è la falsificazione sistematica e la creazione di documenti che modifichino il passato. Infatti, «chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato» (260). In questo luogo, Smith lavora 60 ore alla settimana in quanto membro del Partito esterno. Su quest’ultimo domina il Partito interno il cui braccio operativo è la Psicopolizia e su tutti sta il Grande Fratello. Alla base della scala sociale, infine, vi sono i cosiddetti prolet, masse ignoranti e povere di milioni di persone alle quali è permessa una maggiore libertà di azione e di pensiero poiché esse pensare non sanno. In ogni caso, anche le masse vengono esaltate e controllate tramite la propaganda incessante contro il nemico interno ed esterno.

In questo mondo senza luce, Winston incontra Julia. Membro anche lei del Partito esterno, non crede ai suoi dogmi e cerca di godere della propria vitalità sessuale, atteggiamento che costituisce una forma di disobbedienza al Partito, il quale ha fra i suoi scopi quello di «abolire lo stesso piacere sessuale» (280). I due si incontrano quando possono, cercando di sottrarsi ai teleschermi che controllano ogni gesto quotidiano. Un giorno, O’Brien, membro del Partito interno, invita Winston a casa propria e gli rivela l’esistenza di un’opposizione al Regime guidata da Goldstein, vecchio fondatore del Partito e ora suo principale nemico e autore di un testo clandestino dal titolo La teoria e la pratica del collettivismo oligarchico. Winston e Julia decidono di entrare nella Fratellanza ma dopo qualche tempo vengono arrestati. Da qui comincia l’ultima intensissima parte del romanzo. A interrogare e torturare Winston è O’Brien che gli rivela come gli scopi del Partito siano ben più radicali di qualsiasi passata Inquisizione, di qualsiasi Regime totalitario del ventesimo secolo poiché il Partito vuole l’anima di chi ha pensato di resistergli e non uccide il colpevole finché questi non sia totalmente e sinceramente convinto della propria colpa e non provi autentico Amore per il Grande Fratello. A questo limite, infatti, sarà condotto Winston in un finale tanto terribile quanto malinconico e chiuso a qualsiasi speranza.

Si tratta di un libro chiave. E non solo per la potente forza visionaria, non solo per la scrittura lucida ed essenziale. È un libro che smaschera l’essenza del Potere il cui fine è lo stesso Potere. Orwell compie una singolare fusione di machiavellismo e anarchismo, il cui risultato è l’estrema, esaltata felicità con la quale O’Brien descrive il vero significato del Partito:

«I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinarono molto ai nostri metodi, ma non ebbero mai il coraggio di dichiarare apertamente i loro motivi, le loro ragioni. (…) Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere» (276).

La dottrina posta a fondamento di tale obiettivo consiste in una sorta di solipsismo antropocentrico, convinto che «non esiste nulla se non nella mente dell’uomo (…) non c’è niente al di fuori e oltre l’uomo. (…) La terra è il centro dell’universo. Il sole e le stelle ci girano attorno» (278-279). Un solipsismo collettivo che intende eliminare alla radice qualsiasi dimensione individuale, pensiero soggettivo, ambito privato. I teleschermi presenti ovunque, l’elaborazione della neolingua che riduce all’essenziale il numero delle parole, la vita in grandi alveari umani, la trasformazione dei figli nei primi nemici dei loro genitori -bambini trasformati in «una sottosezione della Psicopolizia» (142)-, la partecipazione obbligatoria alle iniziative serali dei Centri sociali, fanno sì che «nulla si possedesse di proprio se non pochi centimetri cubi dentro il cranio» (31) ma anche questo spazio alla fine sarà perduto. Lo stare da soli è già ragione di grave sospetto, così come il possesso o il desiderio di «qualsiasi oggetto antico o anche soltanto bello» (101) e dei libri, i quali vengono sistematicamente distrutti e sostituiti dalle opere collettive del Partito o da romanzi per i prolet elaborati con strumenti meccanici. L’ortodossia, quindi, consiste nel «non pensare, non aver bisogno di pensare. L’ortodossia è non-conoscenza» (57). E solo questo, infatti, interessa al Partito. Non le azioni compiute ma i pensieri che quelle azioni hanno prodotto
Nessuno ha mai visto il Grande Fratello poiché egli è la personificazione del Partito, è «la mente del Partito, che è collettiva e immortale» (261). 1984 è un libro molteplice, dai significati diversi e complessi. Un testo che descrive come lentamente si spegne l’ultimo uomo in Europa, che mostra la necessità del pensiero ribelle attraverso un incubo politico e televisivo nel quale individui e collettività vengono letteralmente cancellati dal servilismo assoluto verso il potere, verso la sua immagine.

Il male

Nel 2006 concludevo un articolo dal titolo L’amore debole di Benedetto XVI accennando alla sodomizzazione ecclesiastica dei bambini. Le notizie che ormai provengono da tutto il mondo confermano le responsabilità di Joseph Ratzinger sull’infamia dello stupro di bambini e ragazzi da parte di preti costretti a vivere contro natura.

Contravvenendo a tutte le norme (la cosiddetta e grottesca par condicio), il malnato imperversa in televisione invitando a votare per i suoi complici. Aveva ragione Solone a pensare che le leggi sono come tele del ragno: catturano i piccoli insetti mentre i grossi le rompono. Anche per questo l’anarchismo ha ragione.

A proposito di anarchici, puntualissimi sono arrivati degli “attentati” commissionati assai probabilmente da esponenti dell’attuale governo e attribuiti per l’ennesima volta ai libertari. Vecchissima strategia -il cui trionfo si ebbe con l’incendio del Reichstag nel 1933- messa in atto per racimolare altri voti da parte del Pdl, Partito dei Ladri, alle elezioni di domani. Si spera che funzioni sempre il bau bau contro gli anarchici.

A Catania stamattina ho visto l’automobilista davanti a me gettare a più riprese fuori dal finestrino delle carte e altri rifiuti. Chi utilizza lo spazio pubblico come una pattumiera sottoscrive in tal modo il proprio essere spazzatura. Questo sono moltissimi catanesi, siciliani, italiani: dei rifiuti.

«Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: “Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti”». (Genesi, 6, 5-7). È uno dei pochi brani accettabili di un libro immorale. Certo che doveva pentirsi, visto ciò che aveva combinato questo funesto demiurgo. Peccato che poi ci abbia ripensato.

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