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Filosofia / Architettura

Dieci viaggi nell’architettura italiana
Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Matteo Balduzzi, Alessandra Cerroti, Luciano Antonino Scuderi
Sino al 7 novembre 2021

«Il costruire è già in se stesso un abitare» (Heidegger, «Costruire Abitare Pensare», in Saggi e discorsi, trad. di G. Vattimo, Mursia 1976, p. 97). E questo anche perché siamo animali poietici, animali che di continuo costruiscono strutture, teoremi, oggetti, relazioni, piazze, case, ponti, strade. Ich bin, du bist, io sono, tu sei, in tedesco significano «io abito, tu abiti. Il modo in cui tu sei e io sono, il modo in cui noi uomini siamo sulla terra, è il Buan, l’abitare. Esser uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare» (Ibidem); esistere significa essere abitatori del tempo. E così via in uno dei testi più belli e illuminanti di Martin Heidegger e del pensiero contemporaneo. Un saggio che consiglio di leggere a chiunque voglia capire che cosa significhi esserci, abitare, scandire lo spazio, attraversare il tempo. Un testo al quale penso ogni volta che visito una mostra dedicata all’architettura.
Questa alla Triennale di Milano è una mostra fotografica nella quale dieci autori e collettivi (Roberto Boccaccino, Marina Caneve, Davide Cossu, Luigi Di Bella, Paolo Lindozzi, Allegra Martin, Simone Mizzotti, Flavia Rossi, Alberto Sinigaglia e il collettivo Luca Girardini/Marco Zorzanello) guardano e restituiscono alcune delle architetture inventate, costruite e abitate dagli anni Settanta del Novecento. Costruzioni e spazi che vanno dalla Sicilia al Trentino. Ne elenco solo alcune, per dare un saggio della ricchezza di questa esperienza.

Il Centro culture contemporanee  di Catania mi è ovviamente ben noto e nell’immagine qui sopra appare con lo sfondo delle ciminiere e della città.

La Piazza Alicia di Salemi (Trapani) è una sintesi di stratificazione storica millenaria pensata tra il 1982-1998 da Roberto Collovà e dal grande architetto portoghese Álvaro Siza.

Il Teatro di Sciacca (Agrigento) costruito tra il 1973 e il 1980 appare già in una condizione di degrado; ancor più in rovina sembra la Casa Sperimentale (1968-1971) di Fiumicino. Orribile già alla nascita era (ed è) il Centro Direzionale BESTAT di Taranto.
La Chiesa di San Paolo a Foligno (immagine di apertura) è invece un bellissimo parallelepipedo interrotto da ferite di luce.
Come dalla luce e dal verde è attraversato il cemento della Casa Ottolenghi a Bardolino (Verona). L’ampliamento della Scuola Parrocchiale di Sant’Antonio Abate e San Nicolò a Laives (Bolzano)  scandisce la continuità tra l’antico campanile e le parti aggiunte.

Sempre a Bolzano il Messner Mountain Museum Corones di Marebbe è una struttura che fa da eco alle montagne che la circondano e dentro le quali abita. La misura delle costruzioni umane del Polaris Parco Scientifico e Tecnologico di Pula (Cagliari) si installa dentro la più grande misura dei boschi.

Ancora in Sardegna la Piazza Sebastiano Satta di Nuoro è fatta di pietre preistoriche che emergono dall’ἀγορά umana.

Il Monastero delle Carmelitane Scalze di Sanremo sembra un luogo dove può diventare bello essere una monaca. È sempre bello, invece, essere pagani presso le Terme di Diocleziano a Roma.

Il Museo Archeologico della Sibaritide a Cassano All’Ionio (Cosenza) e le numerose opere di questa mostra confermano che da millenni l’architettura è una geometria che si fa pietra.

Altre strutture, costruzioni, progetti, spazi, si possono vedere sul sito dell’Atlante di Architettura Contemporanea, architettura che va confermando e sempre più approfondendo la sua assai feconda dimensione filosofica, la quale fa sì che «gli architetti riservano già da tempo una grande attenzione verso le correnti teoriche provenienti dall’ambito umanistico e delle scienze sociali» (Graham Harman, Ontologia Orientata agli Oggetti. Una nuova teoria del tutto, trad. di O. Ellero, Carbonio Editore 2021, p. 207).

Porto / Luz

Visitando la mostra Porto Poetic è sorto il desiderio di vedere questa città. Magnifica città che dalle mura/case settecentesche sulla riva del Douro sale verticalmente diventando liberty, déco, imperiale, azulejos, avenidas, parchi. Zeppa di chiese tracimanti di legno, di oro e di una sfacciata sofferenza. La passione dell’uomo crocifisso è infatti mostrata in tutte le maniere e con un realismo a volte rivoltante. Dalle steppe russe all’estremo occidente, l’Europa è la terra dei cristiani. Non c’è niente da fare. Ma questa fede così violenta ha saputo per fortuna creare anche edifici di bellezza, spazi aperti e chiusi nei quali si sono avvicendati stili, forme, architetture, suoni, immagini, guerre e feste. Nel Portogallo come altrove tutto questo è diventato città. La medioevale vicina Guimarães è infatti anch’essa colma di edifici sacri, di palazzi, di croci e monasteri. Ma anche di architetture e di giardini che assorbono la luce.
Come, tornando a Porto, la Burgo Tower di Eduardo Souto de Moura, la cui seriale semplicità si mescola e si discosta dagli analoghi edifici che la circondano; la sghemba, straordinaria e labirintica Casa da Música di Rem Koolhaas, dal cui auditorium principale si vede la città e nei cui anfratti nulla è lasciato al caso; lo splendido Museu de Arte Contemporanea di Álvaro Siza Vieira, ovunque luminoso dentro la luce del Parco nel quale è immerso. Parco che contiene anche la Villa Déco progettata da José Marques da Silva per Carlos Alberto Cabral, una delle abitazioni più belle che abbia mai visitato. E poi il fiume, l’oceano, i ponti. E la pulizia di Porto, la gentilezza e la buona educazione dei suoi abitanti, che in varie occasioni hanno salvato il visitatore da errori e distrazioni. Abitanti certo meno agiati degli italiani ma da nessuna parte ho sentito schiamazzi o voci altissime in luoghi pubblici. Ovunque invece pulizia e dignità. Ogni volta si comprende meglio quanto volgare sia diventato il nostro Paese. Ma anche questa malinconia si può stemperare nelle cantine di Vila Nova de Gaia, nel gusto del Porto, un vino luccicante e dolce come la terra che lo genera.

 

Pura forma che si fa poesia

Porto Poetic
Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Roberto Cremascoli
Sino al 27 ottobre 2013

Un progettare e un disegnare di apparente semplicità, il cui risultato è pulitissimo, raffinato, geometrico. E funzionale. L’opera di Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura è infatti attenta alla specificità dei luoghi nei quali le architetture sorgono e della funzione che gli oggetti svolgono. Dalle chiese alle sedi universitarie, dalle terme alle biblioteche, dalle piscine agli stadi di calcio, dai musei alle stazioni della metropolitana, dai conventi ai palazzi privati, dai ristoranti alle biblioteche, dalle sedie agli armadi e agli arredi da bagno, le strutture e gli oggetti di questi architetti sono profondamente rispettose sia del singolo che ne deve fruire e le deve abitare/attraversare sia dell’ambiente storico e naturale dentro il quale prendono vita, spazio, respiro.
La Chiesa di Santa Maria a Marco de Canaveses possiede la mistica verticalità del gotico; le piscine e il lungomare di Leça da Palmeira sono suggestive nella loro continuità tra la sabbia, il mare, gli invasi, il cemento, le rocce; l’edificio Burgo di Oporto è un parallelepipedo perfetto e affascinante; il Convento das Bernardas di Tavira è uno spazio di meditazione nel quale l’acqua è sacra; lo stadio di Braga è unito alla roccia nella quale è immerso. Quando la progettazione si sposta in Corea e in Brasile, cambiano le dimensioni e le forme perché altri sono i luoghi e altra la loro sinuosa imponenza. La più giovane scuola architettonica portoghese, documentata anch’essa assai bene dalla mostra, segue e rinnova l’impronta dei due maestri.
Il Movimento Moderno in architettura richiede degli artisti e non dei tecnici. È questo il suo limite ed è questa la sua forza. Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura sono gli artisti che del Moderno hanno colto ed espresso il bisogno di nitore, la pura forma che si fa poesia.

 

 

 

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