iHuman
di Tonje Hessen Schei
Danimarca-Norvegia, 2019
Trailer del film
Parole, immagini. Pensieri, forme. Interviste a informatici, ingegneri, sociologi, avvocati, politici, economisti, coinvolti nella densità dell’Intelligenza Artificiale. Mentre appaiono punti digitali che crescendo si trasformano in volti inquietanti e ambigui, si cerca di comprendere e comunicare che cosa sia già accaduto, che cosa sia diventato irreversibile rispetto alle strutture numeriche dalle quali ormai da tempo la specie umana dipende totalmente, fingendo di non essersene accorta o anche, effettivamente, senza essersene accorta ma essendo immersa per intero negli smartphone continuamente consultati; nel digital labour applicato a sempre più numerosi settori economici e sociali compresa l’istruzione e il sapere -con esiti assai impoverenti, nozionistici–; nella distanza dei corpi sostituiti da ologrammi; nel controllo totale che i sistemi digitali consentono di esercitare sui cittadini; nelle armi che colpiscono da enormi distanze come fossero dei videogiochi; nella fragilità di infrastrutture digitali il malfunzionamento delle quali bloccherebbe tutto: trasporti, sanità, banche, amministrazioni, politica.
E così, lentamente e inesorabilmente, Homo sapiens si è consegnato all’altro da sé, all’artificio da lui scaturito ma su di lui ora dominante con la forza delle cose stesse e non della volontà. La prima forza, quella delle cose, è enormemente più efficace della seconda; da essa non si può sfuggire, essa è l’inesorabile della materia virtuale. Propongo questo ossimoro per dare conto della capacità che il digitale ha, che i numeri hanno, di plasmare la materia. Anche per questo iHuman è un film bello e inquietante, perché le parole degli umani che studiano il fenomeno -che siano parole di entusiasmo e fiducia o di timore e pericolo– sono continuamente accompagnate da immagini che mostrano la materia trasformarsi nel suo contatto con i numeri.
Una delle questioni fondamentali è la collocazione spaziotemporale che qualunque forma di coscienza del mondoambiente deve avere per entrare in relazione con l’altro da sé. Una capacità necessaria per interagire con altri agenti e in questo modo sviluppare l’abilità linguistica e con essa la facoltà di pensare. L’esserci è sempre un esistere nello spazio e nel tempo e non soltanto un astratto sussistere logico-computazionale, e ciò fa sì che le caratteristiche indispensabili ai cosiddetti “agenti”, delle reti neurali orientati all’interazione con il mondo esterno consistano «nell’essere situati, autonomi, adattativi, sociali, nell’essere dotati di continuità temporale e mobilità»; di più: «ogni agente dovrebbe inoltre possedere motivazioni finalizzate alle proprie azioni, la capacità di concentrare la propria attenzione sugli aspetti rilevanti dell’ambiente potenzialmente complesso in cui potrebbe trovarsi ad agire, modelli interni che esemplifichino l’ambiente esterno e una sorta di “curiosità” che lo porti a interessarsi alle caratteristiche del proprio mondo» (Barbara Giolito, Intelligenza artificiale. Una guida filosofica, Carocci 2007, p. 117).
Nessun tipo di hardware e di software esistente possiede alcuna consapevolezza di esistere. Il film mostra che, nonostante questo, hardware e software condizionano in modo determinante le scelte politiche e la vita collettiva della specie che invece possiede la consapevolezza di esistere.
iHuman diventa iPower, diventa il potere digitale che penetra negli interstizi più riservati della vita individuale e collettiva. Un’autorità sempre più capace di sostituire l’amministrazione umana. Non l’immaginazione, come credeva il Sessantotto, ma gli algoritmi sono arrivati al potere. I nostri nipoti avranno molto di cui preoccuparsi.