A sorreggere l’illusione di una identità di sinistra ormai dissolta soccorre in Italia l’antifascismo, che da idea e pratica storica nemica della dittatura mussoliniana e del totalitarismo nazionalsocialista si è trasformata in una concezione del tutto astratta, astorica e metempirica, fondata sull’Ur-Fascism (una delle tesi più deboli di Umberto Eco) e avente come risultato assai pericoloso l’eternizzazione del fascismo stesso da parte di quanti credono di combatterlo e invece lo rafforzano, sottraendolo alla storia e al divenire.
Riconoscimento maggiore Mussolini e Hitler non potevano ottenere, tanto è vero che la bibliografia -anche biografica- su questi due personaggi e sui loro regimi va crescendo a dismisura, segno inquietante di un perenne fascino che tali dittatori esercitano sulle menti contemporanee, anche e specialmente su quelle che credono invece di opporsi ai loro crimini.
A 76 anni dalla fine del regime fascista e a 74 dalla conclusione della Seconda guerra mondiale, l’eternizzazione del fascismo conferma il fatto che l’antifascismo è un mito invalidante, una prospettiva che non solo impedisce di capire i fenomeni degli anni Dieci del XXI secolo ma si pone al servizio di ciò che il mito impedisce di vedere, il vero nemico della libertà e della giustizia, vale a dire il capitalismo globalizzato e le molteplici forme del suo trionfo.
In un’intervista del 1974 Pier Paolo Pasolini affermava che «esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più. […] Buona parte dell’antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno. Insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo» (a cura di Massimo Fini, L’Europeo, 26.12.1974). E negli Scritti corsari chiariva alcune delle ragioni di un giudizio così duro: «Il vecchio fascismo, sia pure attraverso la degenerazione retorica, distingueva: mentre il nuovo fascismo -che è tutt’altra cosa- non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo» (Garzanti 1993, p. 50).
Sulla questione si può leggere anche il recente libro di Alberto De Bernardi Fascismo e antifascismo. Storia, memoria e culture politiche, Donzelli 2018.