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Più morti degli altri

Da Televideo di oggi

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11/03/2012 10:06

Afghanistan: militare Usa spara a civili

È di almeno 10 morti e 5 feriti il bilancio della strage provocata da un militare americano in due località della provincia di Kandahar, in Afghanistan. Lo scrive il Washington Post online citando Javed Faisal, il direttore del media center del governo provinciale, contattato per telefono. Un comunicato militare Isaf esprime “rammarico per l’incidente”. Tuttavia, secondo il governatore di Kandahar, Weesad, i morti sarebbero almeno 16.
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Questi morti non valgono nulla. Le loro età, condizione, speranze, vite, distrutte e spezzate dallo «spiacevole incidente» sono e saranno una fuggevole notizia sui telegiornali e sui quotidiani. Il “rispetto per la vita umana” è una delle più grottesche menzogne che i potenti di ogni colore -soprattutto i più democratici e i più cristiani- sbandierano per gli allocchi che ci credono.
Di un solo italiano ucciso in Nigeria si parla da giorni; i due marinai italiani assassini in India stanno diventando quasi degli eroi; questi afghani vittime della follia statunitense meriteranno soltanto un trafiletto. Eh sì, «tutti i morti sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri».
Dato che -diversamente dai cristiani occidentali portatori di civiltà- non credo al valore intangibile della vita umana, auguro agli statunitensi e ai loro servi di rimanere pure loro vittima di qualche «incidente particolarmente spiacevole».

 

Identità e differenza

Ora che con estrema lentezza ma anche con inevitabile parabola il più volgare politico italiano dell’età moderna va dissolvendosi, non bisogna dimenticare che parte dei suoi crimini sono stati e continuano a essere le guerre coloniali in Afghanistan, in Iraq e in Libia. La tragedia dentro la tragedia è che tali crimini sono stati e continuano a essere perpetrati con la complicità convinta del Partito Democratico e del centrosinistra in genere. E  persino con il sostegno di settori della sinistra radicale, come quella che parla in Micromega e nel Manifesto.

Il fardello dell’uomo bianco si espresse una volta sotto il sole trascendente del cristianesimo, poi nella freddezza dello scientismo positivista (del quale l’imperialismo sovietico è stato una potente variante), ora trionfa tramite la menzognera formula della “democrazia” e dei “diritti umani”. Ma si tratta sempre della stessa ossessiva volontà di uniformare il molteplice all’uno, si tratta della stessa mortale presunzione di rappresentare il valore e la verità unica del mondo. Io sono orgoglioso di essere europeo ma lo sono perché l’Europa è stata ed è la terra del tramonto della verità e non il luogo di un’identità dogmatica, che essa sia religiosa, scientifica o politica. Perché la pace sta nelle differenze.

 

Immagini/Realtà

Immagini inquietanti / Disquieting images
Milano – Palazzo della Triennale
A cura di Germano Celant e Melissa Harris
Sino al 9 gennaio 2011

Fotografie. Saranno qualche centinaio. Gli autori sono sparsi per l’intero pianeta. Si cammina tra queste immagini con un crescente senso di orrore. Esse documentano la quotidiana infelicità di tanti umani; le loro passioni estreme; le guerre e le trasformazioni che esse producono nei corpi di chi rimane vivo, oltre all’enorme numero di cadaveri che generano; la vita nei luoghi dominati dal crimine -dal Messico a Palermo-; la sofferenza inflitta dalle donne su altre donne nelle culture che recidono il clitoride alle bambine, come in Indonesia; la violenza dentro la famiglia; l’immensa solitudine di ciascuno.
Nan Goldin ritrae ironicamente uno skinhead vestito comme il faut con accanto la propria figlia tutta linda e ben educata. Elena Dorfman intitola Still Lovers il rapporto tra degli esseri umani e delle bambole erotiche, fotografati mentre si fanno semplicemente compagnia. Donna Ferrato mostra che cosa significhi Living with the Ennemy, con un marito che dà in escandescenze mentre la moglie cerca di nascondergli la cocaina. Robert Mapplethorpe mostra il lato più estremo della propria arte di raffigurare i corpi, giungendo a un risultato pornografico sino all’inguardabile.
Ma nulla è più inguardabile dei morti sfigurati che costellano le tre tappe -dal titolo The Silence– nelle quali Gilles Peress ha scandito i massacri avvenuti nel 1994: The Sin (Rwanda), Purgatory (Tanzania), The Judgment (Zaire); sono foto senza filtro, senza censura, atroci. Zaimaï disvela l’orrore dell’Afghanistan, luogo nel quale le apocalittiche “missioni di pace” hanno portato in ogni angolo le armi più all’avanguardia, hanno raso al suolo il tessuto antropologico e sociale di quelle comunità, hanno indotto persone di tutti i ceti e gruppi a usare dosi massicce di oppio per sopportare ferite e sofferenze. Nina Berman mostra senza infingimenti e retorica le conseguenze delle guerre statunitensi sui soldati americani, tranciati, deturpati, ridotti a fantasmi di se stessi, orribili e segnati per sempre. Letizia Battaglia descrive i cadaveri disseminati dalla mafia a Palermo e la disperazione dei loro familiari. Philip Jones Griffiths documenta i Collateral Damages della guerra in Vietnam, con immagini che non si possono descrivere a parole. Michael Nichols denuncia il Brutal Kingdom, le violenze inutili e terribili che gli umani infliggono ai primati e ad altri animali.
Inquietanti è naturalmente un eufemismo. Mi vergogno di appartenere a una specie che è capace di compiere le azioni e gli eventi che le immagini di questa mostra dicono accadere ogni giorno, qui ora.

I nostri morti e i loro

«I nostri morti». Quali? Le vittime senza numero delle guerre statunitensi in Irak, Libano, Afghanistan? Le centinaia di cadaveri lasciati il 4 settembre dall’aviazione della NATO accanto a una cisterna di benzina? I sei paracadutisti italiani che hanno consapevolmente scelto di dare e rischiare la morte in cambio di un ingaggio di 7.000 euro al mese? Perché i primi non contano e i secondi sì? Forse perché costoro sono «i nostri morti» mentre uomini, bambini, donne sterminati a centinaia di migliaia dagli eserciti occidentali e dalla resistenza locale sono i loro morti? Non è questa la logica arcaica e tribale di ogni conflitto, che l’Europa illuministica, cosmopolita e moderna si illude di aver oltrepassato e che invece ritorna di continuo nella propaganda militarista dei governi di ogni colore? E non è forse un’ipocrisia, un’insensatezza, un ossimoro voler generare «democrazia e libertà» coi bombardamenti, con i carri armati, con uomini di altre religioni, di lontane terre, vestiti come robot da combattimento che entrano nelle case a mostrare il volto più feroce e più impaurito dei ricchi del pianeta? E lo spreco di risorse che in Italia sottrae solo per l’Afghanistan un miliardo di euro alla salute, alla scuola, alla ricerca, alla bellezza e alla pace, arricchendo invece le industrie che producono armi e i conti correnti dei politici che da esse intascano tangenti? A tutto questo ha dato voce stamattina Massimo D’Alema rispondendo così a una domanda del GR3: «Andare via dall’Afghanistan, dal Libano, dal Kosovo? No. Dobbiamo decidere se l’Italia è un Paese importante o se vogliamo andare in serie B». Non dunque per cercare Bin Laden, non per vendicare l’11 settembre (evento per il quale non un solo afghano è stato indagato), non per togliere il burqa alle donne e neppure per il petrolio. È per rimanere “in serie A” tra «i grandi del mondo» che si uccide e si muore, che si moltiplicano i nostri e i loro morti. Politica di potenza, puro imperialismo.

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