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Da Rousseau all'ingegneria genetica

Hanna
di Joe Wright
Con: Saoirse Ronan (Hanna), Cate Blanchett (Marissa Wiegler), Eric Bana (Erik Heller), Tom Hollander (Isaacs), Jessica Barden (Sophie)
Sceneggiatura di  Seth Lochhead e David Farr
Usa, Gran Bretagna, Germania, 2011
Trailer del film

Hanna e suo padre Erik vivono a un centinaio di chilometri dal Circolo polare artico. Abitano in una casa di legno priva di elettricità. Si nutrono degli animali che catturano con le frecce. Leggono enciclopedie e favole. Studiano molte lingue. La ragazzina non ha conosciuto altro. Arriva il momento nel quale Hanna è pronta a entrare nel mondo, dove l’attende un’agente della CIA, Marissa, che farà di tutto per ucciderla. Lei lo sa e si è ben preparata, anche se ignora le vere ragioni per le quali Marissa la vuole morta. L’inseguimento si snoda tra le foreste polari, il deserto del Marocco, la Spagna. Per concludersi a Berlino, nel parco dedicato ai personaggi dei fratelli Grimm.

In un breve e magnifico racconto di Friedrich Dürrenmatt -intitolato Il figlio– si narra di un bambino allevato dal padre alla maniera dell’Emilio con un esito catastrofico. Un bel film di Luc Besson -dal titolo Léon– descrive il rapporto tra un killer di professione e una ragazzina, entrambi alla ricerca di giustizia e di affetto. Le favole dei fratelli Grimm sono delle potenti metafore il cui tema è l’attraversamento dell’enigma, dell’oscurità, dell’inquietudine in cui consiste il crescere degli umani. Queste fiabe tornano di continuo in Hanna, insieme alla furia, al gelo, alla tenerezza. La spettacolarità degli scontri fisici e l’intensa recitazione  della sedicenne Saoirse Ronan –un insieme di dolcezza e di forza quasi sovrumana, di determinazione assoluta e di tenerezza infantile- non salvano però il film dalla superficialità dell’insieme. Come già in Espiazione, Joe Wright mostra ambizioni superiori ai risultati. Alcune scene sono tuttavia assai dense: il momento in cui Hanna scopre l’elettricità e non riesce a fermare gli infernali elettrodomestici; l’interrogatorio nel bunker della CIA; la battuta con la quale il film inizia e si chiude: «Ti ho mancato il cuore».

 

Il ragazzo con la bicicletta

Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
Il ragazzo con la bicicletta
(Le gamin au vélo)
Con:  Thomas Doret (Cyril), Cécile de France (Samantha), Jérémie Renier (Guy Catoul)
Francia, 2011
Trailer del film

Un dodicenne viene rifiutato dal padre, che adora. Il suo pianto, la solitudine, la rabbia si infrangono sul corpo paziente e sul sorriso di Samantha, una parrucchiera che incontra per caso e che decide di ospitarlo il sabato e la domenica. Gli altri giorni il ragazzo rimane in un istituto. Il bisogno di farsi accettare induce Cyril a farsi convincere da un amico più grande ad aggredire e rapinare un commerciante e suo figlio. Scoperto dalla polizia, Samantha garantisce per lui e paga i danni all’aggredito. Ma il figlio del commerciante non lo perdona e cerca di vendicarsi.

La bicicletta venduta dal padre e riacquistata per Cyril da Samantha rappresenta l’oggetto simbolico che regala libertà e affetto al ragazzo. Alla donna pressoché perfetta che lo accoglie fanno da contrappunto un padre davvero squallido e un altro ragazzo che cerca la sua amicizia soltanto per averlo come complice. L’inversione dei ruoli diventa radicale nella chiusa del film, quando il padre e il figlio aggrediti mostrano una violenza più rancorosa e più ipocrita di quella di Cyril ma alla quale il ragazzo offre la grazia silenziosa del suo perdono.
I Dardenne narrano di un personaggio ancora una volta ai margini del corpo sociale, lo seguono nel suo moto perpetuo, ne fanno l’unità di misura delle relazioni umane.

Stella

di Sylvie Verheyde
Francia, 2008
Con Léora Barbara (Stella), Karole Rocher (la madre di Stella), Benjamin Biolay (il padre di Stella ), Melissa Rodriguez (Gladys), Laetitia Guerard (Geneviève).

stella

Stella è una bambina. Stella è una donna. Stella è sensuale e candida, ha paura di tante cose ma nessuno se ne accorge, è sola -molto sola- ma ha due amiche vere. Stella frequenta la prima media in una scuola parigina “per ricchi” ma vive in un bar gestito dai suoi genitori, che litigano sempre. Un bar frequentato da malviventi, disoccupati, giocatori, alcolizzati. Dice di se stessa che «sa tutto del calcio, dei cocktail, di come si fanno i bambini, di come si scopa, di chi fidarsi e di chi no; per il resto, sono una schiappa». Stella va molto male a scuola, soprattutto in francese, ma comincia a leggere Balzac e Duras e sa che quella particolare scuola è «un’occasione da non perdere». Stella è bella.

Stella è diventata la regista di questo film e sa raccontarsi senza sentimentalismi e senza giudicare. Sylvie Verheyde costruisce il film con una regia strepitosa che rende dinamiche e imprevedibili delle scene molto semplici e ripetitive, a scuola al bar in vacanza. Nessun campo lungo e molti primi piani, la cinepresa va dentro ciò che accade anche quando sembra non accadere nulla. Momenti chiave la corsa di Stella e il suo ascoltare e ripetere una canzone nella solitudine della propria camera. Un film autobiografico non per ciò che racconta ma per il modo -magistrale- in cui lo fa.

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