La vita di Adele
(La vie d’Adèle)
di Abdel Kechiche
Belgio, Francia, Spagna, 2013
Con: Adèle Exarchopoulos (Adèle), Léa Seydoux (Emma)
Trailer del film
In una classe di liceo si sta leggendo La Vie de Marianne di Marivaux. Il drammatico gioco dell’innamoramento come maschera piace molto ad Adèle, alla sua inquieta timidezza in cerca di reciprocità. Con i ragazzi, però, è una delusione. L’incontro con Emma cambia tutto e le regala l’amore passione. Come tutti gli amori, la parabola si fa tuttavia discendente, sino alle reciproche accuse di distrazione e di tradimento. Emma la caccia di casa e per Adèle si fa notte.
L’amore tra queste due donne è identico -nelle sue motivazioni, nel decorso, nella fine- a quello di tante altre storie eterosessuali. Abdel Kechiche è bravo a descriverlo così, come una qualunque altra vicenda di relazione appassionata. È bravo anche a mostrare con ardita naturalezza l’eros, l’intimità che dà piacere a Emma e Adèle.
Ma fin qui niente di notevole: una storia come tante, esibita in modo esplicito. Anzi, il fatto che protagoniste siano due lesbiche potrebbe rappresentare un’espressione di furbizia commerciale più che di analisi del sentimento amoroso. Il senso di questo film credo stia in altro. Precisamente nell’indugiare per tre ore sul corpo dell’attrice. La scelta stilistica dei primissimi piani dai quali ci si allontana raramente -non soltanto per la protagonista ma anche per tutti gli altri personaggi- trova nella magnifica Adèle Exarchopoulos un’attrice espressiva sin nei minimi accenni del volto, capace di comunicare anche soltanto con un battito di ciglia o una lieve torsione del capo. La vie d’Adèle è un esercizio iconico e antropologico, è un esperimento su ciò che si possa filmare del corpo di una persona, per far parlare quel corpomente con il suo stesso esserci, muoversi, osservare, respirare, prima che con le sue piatte parole.
Funzionali a questo obiettivo sono il frequente piangere di Adèle -con le gocce che le scorrono copiose sulle guance e con l’umido al naso- e la sua passione per il cibo (ampiamente condivisa dagli altri personaggi), che ingurgita spesso e con soddisfazione. Gli organismi hanno bisogno di nutrirsi e le persone hanno bisogno d’essere amate. Sennò piangono.
Travestito da banale storiella, infarcito di pretenziose citazioni da Sartre, corredato dai brutti quadri che Emma dipinge, questo film è in realtà un munifico sguardo cinematografico sul corpo umano, su quello dell’attrice.