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Piazza Cimitero

Ritorno sulla questione della piazza principale di Bronte dove il 4 giugno si è svolta una cerimonia per ricordare i 150 anni dell’Unità d’Italia e dare riconoscimenti al valore dei soldati brontesi reduci della II Guerra mondiale. Pochissimi i cittadini presenti, l’evento è stato rallegrato da alcune scolaresche precettate alla bisogna, che hanno ascoltato una poesia -dedicata ai “caduti di Nassirya”- persino imbarazzante nell’eccesso di sentimentalismo encomiastico. Non è mancata, poi, la benedizione impartita alla bandiera da un ecclesiastico, seguita da vari discorsi delle “Autorità”. In uno di essi, il sindaco Firrarello ha per fortuna ricordato la giustizia sommaria contro i cittadini brontesi perpetrata dai garibaldini durante le giornate dell’agosto 1860.

In questi casi, si sa, la retorica scorre a fiumi, diversamente dalle tristi e ormai quasi sempre a secco fontane poste al livello del pavimento della piazza che non potevano e non possono funzionare, dato che l’inclinazione della superficie trasforma immediatamente qualunque getto d’acqua in un antiestetico rigagnolo. L’Amministrazione ha comunque e finalmente tenuto conto delle ripetute critiche di chi lamentava che una piazza senza panchine e senza alberi è un penoso controsenso rispetto al concetto stesso di agorà. Sono state dunque collocate delle graziose panchine e dei vasi con qualche pianticella e albero. E qui dobbiamo tornare a piangere. Questi sfortunati alberi, infatti, sono costretti dentro cilindri di plastica/metallo di lugubre colore nero, invece di essere posti in quei bei vasi di terracotta che si trovano ovunque in Sicilia. La piazza, poi, è costantemente occupata da automobili parcheggiate anche dove non si dovrebbe.

Fontane senz’acqua, auto fuori posto, tristissimi cilindri generano una sensazione di disordine e di bruttezza. Questa piazza è nata sotto una cattiva stella e forse potrà essere resa diversa -da quel cimitero che continua ad apparire- soltanto quando la miseria estetica dell’attuale Amministrazione comunale sarà sostituita da nuove e colorate speranze.

150

150 anni di unità politica e amministrativa. Non entro nella questione Piemonte/Borboni, centralismo/autonomie. Non ne ho le competenze storico-scientifiche. Non parlerò dell’Italia ma degli italiani. Quindi ciò che dirò non ha nulla a che vedere con la balordaggine della Lega Nord e del suo ormai più che evidente secessionismo, che dovrebbe allarmare la destra sua alleata, se tale destra avesse una pur minima capacità di pensare in termini politici e non soltanto affaristici o fallici.
In questo secolo e mezzo il territorio della Penisola è stato saccheggiato in modo feroce dalla speculazione urbanistica, da una antropizzazione pervasiva e devastante, da mafie e camorre che ora -2011- sono arrivate direttamente al potere e lo gestiscono con determinazione a favore degli interessi loro e dei gruppi sociali che le sostengono. Perché è accaduto tutto questo? Perché gli italiani sono un popolo grottesco, patetico e cialtrone. E soprattutto un popolo di una ignoranza che non ha pari in Europa. Chi viaggia per le capitali e le città del Continente vede quasi ovunque le persone lèggere; le biblioteche e i musei aperti sino a notte; il paesaggio, la storia e i luoghi difesi e anche utilizzati come fonte economica, rispettandone l’identità. Gli italiani sono dei barbari analfabeti e teledipendenti, il cui degno ministro dell’economia -un commercialista di provincia- sostiene che «la cultura non si mangia», mentre qualunque studioso di fenomeni sociali e storici sa che è vero esattamente il contrario. Dopo un secolo e mezzo, in Italia spadroneggiano i peggiori parlamento e governo dell’intera sua storia unitaria. Un parlamento e un governo composti da criminali, da ignoranti, debosciati e venduti. 150 anni buttati nel cesso. Alla lettera, visto che gli italiani siamo degli escrementi. Il vero inno di questo anniversario sono i versi che Pier Paolo Pasolini dedicò Alla mia Nazione e che si concludono con il seguente invito: «Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo».

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