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I Greci e l’Irrazionale

I Greci e l’Irrazionale

di Eric R. Dodds
(The Greek and the Irrational, 1950)
Trad. di Virginia Vacca De Bosis
La Nuova Italia, Firenze 1978
Pagine XIII-387

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«Un semplice professore di greco» (p. 314), così si definisce Eric R. Dodds (1893-1979). Ma questo suo libro ha contribuito a modificare a fondo l’immagine edulcorata e neoclassica della Grecità. Se i Greci pervennero alla ricchezza di risultati, alla molteplicità di prospettive, al rigore razionalistico che stanno a fondamento della cultura europea, fu anche perché non ebbero timore di scorgere nell’umano la tenebra.
«I Greci avevano sempre sentito l’esperienza delle passioni come un fatto misterioso e pauroso in cui sperimentiamo una forza che è in noi, e che ci possiede, anziché venir posseduta da noi» (222). Questa ipotesi guida l’itinerario di Dodds dall’VIII secolo al II d.C. Nei poemi omerici l’ate si impadronisce della mente, annebbia la coscienza, rende temporaneamente folli. Si tratta quindi di una forza esterna e oggettiva, che si inscrive in una civiltà di vergogna per la quale ciò che conta non è la buona o la cattiva coscienza del soggetto ma il godere o meno della pubblica stima. Con l’irrompere della tragedia, invece, quella greca si trasforma in una civiltà di colpa, nella quale spira -specialmente in Eschilo– «un’atmosfera oppressiva, popolata di spettri», di angosce, di indicibili colpe (55). Tale civiltà trova ulteriore espressione nel mito dei Titani, in fenomeni come lo sciamanesimo, nella credenza in premi o in castighi post mortem, nella paura dei corpi. In questo modo, e prima dell’Ellenismo, si sarebbe sviluppata una dottrina della colpa: «Il mito dei Titani spiegava in modo soddisfacente ai puritani greci perché si sentissero contemporaneamente dèi e criminali; il senso “apollineo” del distacco dal divino, e quello “dionisiaco” di identificazione con la divinità, erano ambedue spiegati e ambedue giustificati» (208-209).

Il tentativo di reagire a un quadro così incontrollabile non ebbe inizio secondo Dodds con la Sofistica ma assai prima, con le origini stesse della filosofia nella Ionia. Dai pensatori greci arcaici prenderebbe avvio il razionalismo dell’età classica, del quale Platone rappresenta la più complessa e controversa manifestazione. Dodds scrive un vero e proprio saggio su di lui. Platone sarebbe sempre rimasto un autentico figlio di Socrate e dell’Illuminismo ellenico. Tuttavia la progressiva indipendenza dal maestro, la morte stessa di Socrate, gli eventi politici ai quali partecipò, indussero Platone a operare sul tronco del razionalismo «un fecondo innesto delle idee magico-religiose che hanno remota origine nella civiltà sciamanistica settentrionale» (245-246). Dodds giunge ad affermare che i tanto controversi Custodi della Repubblica sarebbero «una specie nuova di sciamani razionalizzati» (248). Nel pensiero platonico pulsa dunque una duplice e contraddittoria spinta: da un lato la fiducia nella ragione umana propria del V secolo, dall’altro la disincantata e amara consapevolezza di che cosa sia l’umano e di quanto poco esso valga.

Mentre Platone e anche Aristotele erano consapevoli della, per dir così, rarità della ragione e della necessità di comprendere i fattori irrazionali del comportamento, filosofi come Epicuro e gli Stoici vollero invece eliminare il nocciolo duro della prassi e, in ciò necessariamente fallendo, aprirono la strada a ogni sorta di pensiero della salvezza, a riti e culti lontani dalla mediazione razionale. L’analisi di Dodds si chiude proprio con l’invito a tener conto del cavallo (le tendenze più nascoste) per conoscere meglio le possibilità e i limiti del cavaliere (la razionalità). Solo così si potrà «affrontare il salto decisivo» oltre ogni chiusura, paura, fanatismo «e saltare felicemente» (316).

Il libro costituisce anche una messa alla prova filologica della Nascita della tragedia. Dodds cita Nietzsche soltanto una volta (molto più di frequente, invece, Rohde) ma fra i due libri vi è un legame inevitabile, che si esprime, tra l’altro, in due tesi care a Nietzsche e qui ribadite e argomentate con un apparato filologico più agguerrito.
La prima sostiene che «il senso schiacciante dell’ignoranza umana, dell’assenza di sicurezza in cui vivono gli uomini, la paura del phthonos [invidia] divino, la paura del miasma [contaminazione]» sarebbero stati intollerabili «se un divino consigliere onnisciente non avesse garantito ai Greci, dietro il caos apparente, l’esistenza di una sapienza e di una finalità» (100). Apollo, il dio solare, nasce da tale abisso di angoscia, dalla densità di questa paura.
In un’altra pagina Dodds rileva quanto spesso il razionalismo si mostri miope col non tener conto che anche quando la divinità scompare i suoi riti possono sopravvivere assai più a lungo nella coscienza dei popoli e dei singoli. E questo mi sembra il fondamento culturale e psicologico della definizione nietzscheana delle chiese come «die Grüfte und Grabmäler Gottes» (“le fosse e i sepolcri di Dio”, La Gaia scienza, af. 125, p. 130 della traduzione Adelphi).

Diventa così molto più ricca, contraddittoria, feconda, la visione di un mondo -i Greci- la cui suprema forza è forse consistita nella consapevolezza dello strato ctonio e indicibile della razionalità, nel percepire l’orrore della luce.

10 commenti

  • mariella catasta

    Agosto 1, 2011

    La confusione avvinghia e stritola la moltidudine. Il denaro generatore simbolico inchioda alla sottomissione …Acquistare servigi per ottenere benessere è l’imperativo categorico, ma fondamentalmente non si sa più in che cosa il benessere consista : alimentare l’inconscienza o stimolarla e renderla vivida per pensare . Il problema di Platone è ancora attuale.
    Quale giustizia senza struttura ontica oggettiva ovvero quale verità senza realtà ?
    La soluzione è sempre una determinazione discutibile
    imperfetta e generatrice di interpretazioni e ambiguità . Ma oggi lo sgomento maggiore non nasce ancora dall’incapacità di dare alla politica un significato forte di ancoraggio con la realtà e la verità?
    Lo stupore che ci porta al mal-essere non nasce dall’irrazionalità che ci governa?
    La frammentarietà del quadro di valori la perdita dell’umano non è legata a forme di egocentrismo narcisistico che assurge a durevole istituzione?
    Come perseguire il bene di tutti se non abbiamo la capacità di definirlo nè la volonta di perseguirlo? Il bene di ciascuno rimane un’astratta determinazione nelle carte nazionali europee e mondiali, un progressivo tentativo di mettere ordine per impedire la violenza per superare le diatribe ,il disordine,la guerra. Nel terzo millennio la carneficina non è finita:
    ragazzi, giovanissimi vengono immolati vittima della follia di chi vuole essere il novello super uomo che considera la libertà la solidarietà e l’uguaglianza espressione di un marxismo culturale da combattere , donne e bambini sono nel mirino di chi considera la vita un facile bersaglio da colpire, gli interessi economici di pochi assurgono a principi universali e calpestano i diritti faticosamente conquistati nel corso dei secoli e annegati nel mare magnum dell’irrazionale. Un nuovo contratto sociale ??? ma chi sono i contraenti?

  • Eniautos Dioniso Daimom

    Luglio 31, 2011

    Perchè risolvere un problema che non c’è e sciogliere un enigma che non esiste?

    Osservate il mondo, vi pare che esista un senso logico (logos) del tutto? e l’esserci (con noi dentro) vi pare che si svolga secondo azioni che possano giudicarsi razionali o irrazionali? In base a quale criterio noi le giudichiamo tali?

    Ritengo che nulla di tutto quello che appare alla nostra coscienza possa avere un senso.

    Dentro il mondo ci siamo noi, che viviamo in bilico tra il senso di colpa, dettato dalla morale della sopravvivenza (caratterizzato dalla ricerca dei rimedi assoluti, in enti e paradisi astratti, che ci aiutino a lenire il terrore dell’imprevedibilità della vita e fugacità dell’esserci) e il desiderio di dominio del nostro egoismo sessuale su tutti (caratterizzato dalle violenze, dai soprusi e dall’uso della forza senza limiti per sottomettere e utilizzare gli altri al fine di soddisfare i nostri istinti animali, ricorrendo anche all’omicidio e l’olocausto di massa, ma anche all’uso personale della struttura tecnologica, al servizio del potere di pochi).
    Se escludiamo qualsiasi ragione di fondo, il mondo ci appare del tutto naturale così come è, anche negli aspetti più crudeli.
    In tale ambito il comportamento dell’uomo si esplica in modo incerto ed imprevedibile. Il suo esserci si pone in essere come tutte gli altri oggetti, muovendosi su un asse, in bilico tra la quiete dei sensi, indotta dall’etica e dalla morale della sopravvivenza creata ad hoc, e l’inferno degli istinti ancestrali (desiderio sfrenato di soddisfare i propri istinti sessuali per dominare), in cui vivono ebbri e senza ritegni morali. Indole naturale che dimora in loro come la brace sotto la cenere, pronta a scatenarsi in tutto la loro forza distruttrice. Al di la del bene e del male.

    Urge un contratto sociale equo ed un autorità onesta e saggia che lo faccia rispettare.

    Altrimenti l’uomo è destinato all’autodistruzione.

  • Mariella Catasta

    Luglio 12, 2009

    …ordine o disordine , è chiaro che l’uomo continua a mutare il mondo con gli strumenti concettuali che affina e supera , ma il problema di fondo è inserire la nostra vita in un orizzonte di senso è conciliare il mutamento con l’orientamento, con la direzione del nostro comportamento di persone che godono di uno status di libertà senza il quale la vita perde il fascino delle infinite possibilità .
    Il disordine esistenziale genera incapacità , dipendenza e perdita della facoltà di autodeterminazione e dunque perdita della condizione di agire responsabilmente.
    Mettere ordine dopo un terremoto , mettere ordine dopo un cataclisma , mettere ordine dopo un’esplosione, mettere ordine dopo un attentato. Mettere ordine dopo un genocidio, mettere ordine dopo una guerra mettere ordine dopo qualsiasi rottura dello status quo.
    Non si può ricostruire senza criterio cioè senza principi generali e i principi non possono essere autoreferenziali , devono essere pensati per sè e per gli altri ,devono orientare l’agire di ognuno per evitare che la rottura, la crisi , lo stravolgimento annienti solo gli indifesi .
    Che un terremoto faccia crollare le scuole o le case degli studenti , non è un caso non è frutto della legge che divora ogni cosa , non è espressione di una necessità intrinseca delle cose, ma della responsabilità umana . La razionalità rimane ancora la forza che deve arginare la distruzione e la morte. la bellezza è euritmia è proporzione è ordine possibile e contingente . La musica che riesce a penetrare nell’animo dei molti è l’espressione di un ordine che fa vibrare l’animo senza rinchiuderlo .
    La gioia autentica è scoprirsi capaci di essere artefici di infinite possibilità di essere e che, in un libero gioco rompono schemi desueti.
    Occorre essere capaci di sperimentare il nuovo , con la consapevolezza che ogni istante è come un soffio che ci spinge verso l’alto alla ricerca di possibili spiragli di trascendenza.

  • marco de paoli

    Luglio 11, 2009

    Sul commento 6 (Erasmo):
    no, il cosmo non è così bello, così perfetto, così ordinato.

  • Erasmo

    Luglio 10, 2009

    L’apparente irrazionalità del mondo è illusione, dovuta all’ignoranza dell’essere umano. Noi tutti partecipiamo all’ordine perfetto del cosmo, solo che non siamo capaci di coglierlo appieno perché cerchiamo di ridurlo ai nostri piccoli bisogni organici.

  • Mariella Catasta

    Giugno 16, 2009

    …terribile è la vita, nella sua agghiacciante nudità .
    Il lato oscuro e orripilante che emerge dai fatti di sangue è un indizio di cui noi ancora non abbiamo trovato razionali giustificazioni?
    La mente umana , folle e razionale insieme non è capace di uscire dall’ angoscia che può essere una vera e propria malattia mortale ?
    Le tragedie del terzo millennio ma anche del secolo scorso o dei millenni precedenti sono esperienze indecifrabili? Penso ai genocidi , alla guerra, alla violazione dell’infanzia, alla brutalità : trucidare il figlio, il padre, la fidanzata, il marito, il vicino di casa …oggi fatti di cronaca , che come una datità inquietante ci spinge alla ricerca della soluzione dell’enigma “uomo”. Per uscire dall’angoscia è necessario un
    “principium individuationis” rassicurante ma se “polemos è il padre di tutte le cose” non abbiamo scampo! L’irrazionalità è rottura della forma che quando si cristallizza è quiete , ma anche immobilismo stagnante e asfittico. Il rifiuto della circolarità del tempo e l’appropriarsi della forza originaria interiore della coscienza quale espressione della responsabilità e della scelta apre nuovi orizzonti di luce .
    Il problema si può risolvere e l’enigma si può sciogliere.
    La violenza nasce dalla mancanza di fiducia in una pluralità di modelli alternativi di razionalità che sfida ogni presunzione di un unico ordine necessario del Tutto. La legge che divora ogni cosa la necessità intrinseca nel mondo può essere sconfitta con l’idea di libertà originaria della coscienza che intuisce la possibilità come
    “arazionalità” che non è pazzia, ma che può essere considerata la condizione primaria della creatività, del pensiero divergente e della grande potenzialità dell’essere umano di innalzarsi al divino senza essere blasfemo.

  • elettra

    Giugno 15, 2009

    Salve mi chiamo elettra e frequento l’ultimo anno del liceo classico. Sto preparando la tesina e come argomento centrale porterei l’ irrazionale partendo da nietzsche e collegandomi alla tragedia greca trattando dello spirito dionisiaco..potreste suggerirmi come impostare il discorso e su quali argometi puntare?(Ho lasciato il mio indirizzo email!) Vi ringrazio tanto! Elettra

  • Marco de Paoli

    Marzo 28, 2009

    Caro Francesco Rotondo,
    Lei può inviare le sue richieste di chiarimenti, le sue obiezioni, i suoi dubbi.
    Io sono qui in linea (infatti con gentile concessione l’amico Alberto Biuso offre lo spazio per la discussione di temi di interesse generale).
    In attesa,
    un saluto cordiale
    Marco de Paoli

  • Francesco Rotondo

    Marzo 27, 2009

    Buongiorno.
    Non sapendo come fare altrimenti, chiedevo se fosse possibile comunicare direttamente con il prof. Marco de Paoli. Sono infatti estremamente curioso di porgli alcune domande relativamente ad argomenti da lui affrontati nel suo libro ‘la relatività e la falsa cosmologia’. Ci sono alcune evidenti contraddizione (almeno per me) nelle ipotesi da lui esposte di cui volevo (se possibile) discutere per comprendere meglio questi argomenti. Capisco che forse è una strana richiesta, ma l’uomo è un’animale molto curioso ( sigh !!!) e vorrei proprio capire il perchè di alcune sue esposizioni..
    Speranzoso,
    Saluti
    email:francesco.rotondo.it@gmail.com

  • marco de paoli

    Febbraio 18, 2009

    A ALBERTO BIUSO
    Caro Alberto,

    visto il tuo interessante excursus su un autore (il Dodds) che mi è molto caro (come, devo dire, anche Rodhe) mi consenti qualche piccola riflessione in postilla?
    Il fatto è che l’argomento mi sta a cuore, poiché io ho cercato (già vari anni or sono) di rintracciare quell’Irrazionale di cui parla il Dodds perfino nella roccaforte del razionalismo greco, all’interno della matematica pitagorica e poi euclidea: l’incommensurabile geometrico, e l’irrazionale aritmetico, costituirono uno scacco della ragione matematizzante greca, in quanto sfaldava l’ordito della trama cristallina e ordinata del mondo (essa stessa matematica) che la matematica umana, adombramento della matematica divina, doveva disvelare. E non si trattava di un problema pratico, perché nella pratica l’approssimazione funzionava benissimo. Si trattava di una impasse teoretica, che (ad esempio rendendo impossibile la perfetta definizione della commensurabilità fra lato e diagonale nel quadrato o fra diametro e circonferenza nel cerchio) incrinava l’ordine cosmico stesso. Le radici sapienziali dell’Enigma di Delo (= l’impossibile duplicazione del cubo) sono qui, nella voce dell’oracolo che rideva dei vani tentativi umani di duplicare l’altare di Delo senza farne un parallelepipedo (su questo scrissi “L’Enigma di Delo. Sul Teorema”, ed. Arktos). Parallelamente nei paradossi di Zenone Achille che si avvicina sempre più alla tartaruga senza mai raggiungerla è a mio giudizio una metafora del numero irrazionale che rimpicciolendo (decimi, centesimi, millesimi etc.) si avvicina sempre più al proprio oggetto (ad es. la commensurabilità fra lato e diagonale) senza mai raggiungerla, lasciando per l’appunto un residuo irrazionale non filtrato e decantato (questo in “I paradossi svelati. Zenone di Elea – libro ormai introvabile perché l’editore, spero non per colpa mia, è fallito).
    Il limite di Nietzsche, in quel piccolo libro geniale e sovversivo che fu “La nascita della tragedia”, fu a mio giudizio di aver sostanzialmente concepito Apollo e con esso l’ordine razionale del cosmo soltanto come un’emanazione di Dioniso, volta a rendere sopportabile la vita inventando un mondo illusorio inesistente sovrimposto al cieco e insensato divenire. Ritengo invece che la verità non sia solo nel dionisiaco, ma anche nello sguardo complementare di Apollo che non è soltanto una maschera di Dioniso in quanto figura simbolica autonoma nella diarchia e nel gioco eracliteo degli opposti in cui consiste il reale: in altri termini il reale non è solo un cieco divenire, perché sorretto da strutture ontiche che lo sguardo di Apollo non semplicemente inventa onde coprire l’orrore (la “scena”, la “scaena”, è “oscena”) ma vede esistenti.
    Peraltro, che la civiltà di colpa (anch’essa antitetica alla limpidezza apollinea) fosse molto antica è verissimo, perché si trova financo nel celeberrimo frammento di Anassimandro, che è la prima parola scritta della filosofia. Già altri hanno visto in questa sensibilità greca una precoce perdita dell’antico senso dorico (e dunque ariano) dell’esistenza, in favore di religioni escatologiche volte alla salvezza e a contrapporre l’anima e il corpo (orfismo e pitagorismo), e perfino Platone è stato non a torto visto in ciò come emblema di una decadenza greca. Direi però che tale contaminazione dell’originario spirito dorico (su cui ha fatto luce Evola) in favore delle religioni della salvezza avviene non solo nell’età classica ed ellenistica greca, ma (anche stante quanto si diceva su colpa e vergogna) molto prima, in quanto prima che il terreno preparasse la strada all’avvento del cristianesimo v’erano già le religioni escatologiche iranico-persiane e quelle salvifiche orientali (il buddismo) che influenzarono sicuramente il mondo greco. Del resto lo stesso sciamanesimo, che è di provenienza nordica come tu ricordi, ha origini antichissime (come ha mostrato il Kerenyi).
    Prendi queste note per quello che sono, rapide riflessioni su un tema grande che richiama le stesse origini della civiltà occidentale.
    E’ il caso di dirlo: Saluti pagani
    Marco
    MARCO DE PAOLI

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