Qualche giorno fa in una scuola di Milano uno studente ha colpito con violenza il professore utilizzando un estintore, dopo aver innescato lui stesso un principio di incendio. Risultato: «quattro denti rotti, un trauma facciale e una contusione al ginocchio. […] Al momento —da parte della scuola e dello stesso insegnante— non sarebbe stata sporta nessuna denuncia alle forze dell’ordine. Solo una segnalazione al commissariato Lambrate da parte della preside, per un “episodio di intemperanza”. “È stata una bravata di un ragazzo che ha problemi di crescita e di esuberanza —spiega la preside, Clara Magistrelli, che ha in ogni caso sospeso l’alunno— si sentono piccoli geni incompresi, fanno scemenze in un’età molto difficile. E l’insegnante era solo intervenuto per placarlo, dimostrando senso civico e anche coraggio nell’affrontare con prontezza il problema. Quanto al ragazzo, dobbiamo tutelare chi è in difficoltà. Non abbiamo alcuna intenzione di allontanarlo dalla scuola o di prendere provvedimenti che possano danneggiarlo. Un atteggiamento inutilmente vendicativo non servirebbe a nessuno”».
I particolari della vicenda non sembrano legittimare simili giustificazionismi socio-psicologici e ricordano piuttosto le parole con le quali Pasolini mostrava ancora una volta la propria intelligenza del mondo: i ragazzi «sono regrediti -sotto l’aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita- a una rozzezza primitiva […] lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare» (Lettere luterane, Einaudi 1976, pp. 8-9). Lasciati a se stessi dalla vigliaccheria dei genitori e degli altri presunti educatori, troppi adolescenti sono diventati un settore della società fra i più violenti e conformisti, pervaso da una crudeltà gratuita e giocosa, da un’arroganza teppistica. Il nulla televisivo del quale si nutrono ossessivamente sin dalla loro nascita sembra ormai penetrato nel nulla dei loro cervelli.
I giustificazionismi d’accatto di fronte a un gravissimo episodio di violenza legittimano altri studenti a compiere azioni analoghe o ancora più gravi. In attesa che l’“intemperanza” arrivi sino all’omicidio, a essere estinta è in ogni caso la scuola.
20 commenti
agbiuso
Una società di teppisti, nella quale l’arroganza del potere interno e internazionale legittima la violenza privata, soprattutto contro chi cerca di fare il suo dovere professionale. Basta accusare qualcuno, chiunque, di «abusi sessuali» e questa persona è perduta.
L’Occidente è una società perduta, finita.
agbiuso
SE DUE LICEI OCCUPATI DAI “BARBARI” COSTANO (A TUTTI NOI) 821MILA EURO
Pochi giorni prima di Natale due istituti superiori di Firenze, il Machiavelli-Capponi e il Dante-Alberti sono stati occupati dalle solite minoranze di studenti, tanto volitive quanto confuse negli obbiettivi. Più che di occupazioni, però, sarebbe il caso di parlare di invasioni barbariche, dato che gli occupanti (o almeno una parte di essi) hanno commesso una serie di vandalismi, che il “Corriere Fiorentino” ha così documentato:
“L’elenco è lungo: telefoni rotti, arredi spaccate e tinti con vernice indelebile, wi-fi rotti e divelti dal muro, diversi computer rubati, vetri rotti, porte divelte, meccanismi delle porte di sicurezza danneggiati, porte tagliafuoco che riportano scritte con vernice indelebile che non le rendono più ignifughe, due distributori di bevande e merendine forzati per rubare contenuto e soldi, scarabocchi e scritte ingiuriose dovunque, la sparizione di molte chiavi che renderanno necessaria la sostituzione delle serrature. In una scuola poi si sono trovati escrementi disseminati in vari luoghi che hanno reso necessaria la disinfestazione di tutto l’istituto che è costata 3.500 euro e due giorni di chiusura».
Secondo una prima stima, i danni ammonterebbero a 20.000 euro. È bene però far notare una conseguenza in genere ignorata, cioè che il danno economico creato dalla cancellazione delle lezioni è, in questo come in tutti i casi analoghi, enormemente più alto. L’Associazione Nazionale Presidi (ANP) fece tempo fa un calcolo partendo da quanto lo Stato spende ogni anno per ogni studente: almeno 8.000 euro, cioè circa 40 euro al giorno. Dato che il liceo Machiavelli-Capponi ha 1500 allievi e l’interruzione delle lezioni è durata 7 giorni, dobbiamo moltiplicare 1500 x 40 e poi x 7, cioè di 420.000 euro per la loro istruzione buttati dalla finestra. Per il liceo Dante-Alberti, che ha 1060 allievi, lo stesso calcolo, considerando due giorni in più di sospensione della didattica, indica uno spreco di 381.600 euro. Aggiungendo i 20.000 euro di danni, il totale speso dai contribuenti per finanziare le due occupazioni ammonta a 821.600 euro. A questo si aggiunge il danno causato al diritto allo studio dei molti che non volevano l’occupazione. E si può anche capire che a quell’età sia difficile opporsi con determinazione, un po’ per timore, un po’ perché una vacanza a molti non dispiace troppo, infine per scarsa consapevolezza dei costi di cui sopra. C’è infine l’ennesimo discredito (questo non addebitabile agli studenti) inferto alla credibilità delle istituzioni dalla loro latitanza, dato che regolarmente omettono di far accompagnare cortesemente all’uscita chi occupa le scuole.
Giorgio Ragazzini
“ilSussidiario.net”, 9 gennaio 2024
agbiuso
Pedagogisti, psicologi, docenti, assistenti sociali “progressisti’, vale a dire plasmati dai modelli statunitensi, contribuiscono a fare delle scuole italiane dei cloni di quelle nordamericane, della loro violenza, del loro vuoto educativo, della loro nullità culturale.
agbiuso
Il piano inclinato che sempre caratterizza i fenomeni sociali condurrà certamente all’assassinio di qualche professore da parte di studenti ormai allo stato brado.
Naturalmente psicologi, sociologi e giuristi del vuoto correranno a giustificare la violenza degli studenti contro docenti ormai ridotti a puro assistentato sociale. E tuttavia si tratta di fenomeni e fatti emblematici della rinuncia a educare e quindi della rinuncia a sopravvivere.
agbiuso
Questa è una buona notizia. Il ‘guidatore’ oltre a non avere la patente e a condurre un veicolo non assicurato avrà anche bevuto o altro; l’automobile avrebbe potuto uccidere chiunque. Invece in questo modo hanno spento da sé le loro inutili vite. Loro e dei genitori che li hanno così ‘educati’. Altri esempi di vite dannose a sé e agli altri.
agbiuso
La violenza di gruppo contro un soggetto debole è ai miei occhi il culmine dell’infamia, del degrado interiore, del fallimento collettivo. Mi rifiuto di venire accomunato a costoro sotto l’universale essere umano; in questi casi l’universale è soltanto flatus vocis. Apparteniamo a strutture biologiche diverse.
agbiuso
Leggo la seguente notizia: “Un provvedimento di bocciatura ‘adottato all’unanimità dal collegio dei docenti nel rispetto della normativa ministeriale e per tutelare questi alunni’, come spiega il dirigente scolastico della Giulio Tifoni, ha scatenato polemiche e persino due interrogazioni ‘bipartisan’: quella firmata dal Pd chiede l’invio degli ispettori, quella del Pdl esprime ‘ solidarietà ai genitori degli scolari’ “.
(Mente & cervello, n. 103, luglio 2013, p. 70).
Anche così si crea una società di servi.
agbiuso
E’ molto importante, caro Diego, questa tua testimonianza concreta e appassionata.
Ne condivido per intero spirito e contenuti, in particolare la conclusione: “la scuola è ottima, ancora oggi, ma il contesto in cui agisce è repellente, rivoltante, disgustoso”. Un elemento centrale della critica che ho tentato al Sessantotto è proprio questo: l’aver distrutto la scuola e l’università anche come strumenti di riscatto sociale. Dato che in quel libro ho cercato di dirlo nel modo più chiaro possibile, riporto qui alcuni dei suoi argomenti.
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La retorica antiselettiva, il disprezzo verso il merito colpiscono fatalmente, prima o poi, proprio coloro che godono di minori protezioni, coloro che non hanno il patrimonio di famiglia su cui contare, coloro che non possono usufruire di raccomandazioni. Se «una scuola che seleziona distrugge la cultura» ([Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa,] p. 105), una scuola che non seleziona più ribadisce tutte e ciascuna delle diseguaglianze di partenza, sposta la differenza sul mercato del lavoro, diffonde nella società civile la convinzione della inutilità dell’apprendere, del formalismo del diploma e dell’efficacia invece delle protezioni. Almeno, è questo ciò che è avvenuto.
[…]
Tanto è potente l’idiosincrasia verso parole come “merito” e “capacità”, da farle respingere anche quando vengono in soccorso di quanti sono socialmente meno privilegiati.
No, nessun merito, nessuna differenziazione possono valere di fronte a un’altra enunciazione apodittica: «tutti i ragazzi sono adatti a tutte le materie» (81). Qui opera per l’ennesima volta una delle grandi e potenti utopie scaturite dall’antropologia di Rousseau: l’immane pretesa di abolire per decreto i limiti cerebrali di una persona, la negazione prometeica della natura, il disconoscimento della molteplicità delle intelligenze e delle conseguenti inclinazioni personali.
[…]
È qui, dunque, in questo abilissimo testo che trovano la loro prima espressione il sei politico nelle scuole e il ventisette garantito nelle Università.
Strumenti, questi ultimi, di distruzione effettiva della scuola. Una sorta di notte nella quale tutte le menti sono mediocri e se ne vantano quale segno di fratellanza umana.
(Contro il Sessantotto. Saggio di antropologia, Villaggio Maori Edizioni, 2012, pp. 31-33)
diegob
sarò ruvido, in queste mie righe a seguire, ma voglio esser sincero fino in fondo, su un argomento così fondamentale, e sarò anche lungo, chiedo scusa a tutti
caro alberto, non sono un docente, non sono un uomo di cultura, non sono un addetto ai lavori, ma credo che a volte la «distanza» sia un vantaggio nel valutare gli eventi
punto primo: non è vero che i licei classici di oggi sono scadenti, vi sono certo eccezioni, vi sono certo casi di insegnanti indegni, ma, nel complesso, direi che i licei classici statali sono ottime scuole
cito volutamente il liceo ove la mia figliola più grande ha conseguito la maturità: il liceo arnaldo di brescia, un’ottima scuola, una classe docente di prim’ordine, e fra essi cito volutamente perchè lo merita, ma non è il solo, il prof. loda, eccellente persona e professore di filosofia e storia
punto secondo: accade spesso però che il rapporto fra le famiglie e la classe docente, fra le famiglie e la scuola, è conflittuale, a volte addirittura pessimo, improntato a sfiducia e disprezzo reciproco
perchè accade? ecco, caro alberto la mia ipotesi, la mia spiegazione
la colpa non è della scuola e neanche del tutto è delle famiglie, ma della situazione generale nella quale la scuola si è trovata ad operare
per capirlo, andiamo indietro nel tempo
mi iscrissi al liceo classico nel 1970, e a quel tempo, quando un ragazzo usciva con voti buoni alla maturità, le banche locali lo chiamavano a fare un colloquio, e la semplice maturità classica offriva già la possibilità di un impiego più che decoroso in banca o in qualche altro apparato amministrativo
la scuola era rispettata, i genitori avevano quasi soggezione dei professori, perchè era un efficace ascensore sociale; il muratore che, facendo sacrifici, faceva diventare il figlio geometra, era certo che il figlio avrebbe fatto un vita meno dura della sua; l’operaio che faceva studiare il figlio da ragioniere, levandosi il pane dalla bocca, era certo che il figlio non avrebbe fatto la vita schifosa che faceva lui
le famiglie amavano la scuola per questo, e poi, chiaramente, consideravano anche bella la cultura, non la disprezzavano, ma questo era un apprezzamento supplementare
non era meschinità delle famiglie, era la durezza della vita e la speranza di un futuro meno schifoso per i figli, e chi ha figli lo capisce benissimo (ma anche chi non ne ha, ovviamente)
oggi che accade? l’operaio, il piccolo commerciante, il piccolo impiegato, vedono nella scuola solo un fastidio, perchè sanno che poi, finiti i cinque anni, il giovane sarà di nuovo lì, in casa, con tutti i problemi irrisolti
accade quindi che le famiglie non amano più la scuola, e ritengono che sia alla fine utile solo ad alcune centinaia di migliaia di persone che, beati loro, ci prendono lo stipendio, uno stipendio modesto ma altissimo rispetto alla sottoccupazione, allo sfruttamento repellente cui sono sottoposti i giovani neo laureati di oggi
forse sono stato ruvido, ma questa è, a mio avviso, la pura e nitida verità: la scuola è ottima, ancora oggi, ma il contesto in cui agisce è repellente, rivoltante, disgustoso
agbiuso
Un altro preside milanese ha proposto al Collegio Docenti della sua scuola -il Liceo classico Berchet- di abolire i voti più bassi e di partire dal 4.
Proposta naturalmente demagogica e dannosa, che ancora una volta tratta i ragazzi come dei soggetti psichicamente instabili e fragilissimi.
La scala docimologica va dall’1 al 10 e bisognerebbe che i professori la utilizzassero per intero, evitando i mezzi voti, i + e i –
Tra i critici di questa proposta del preside c’è Alessandro Generali, figlio del collega e amico Dario, le cui motivazioni sono state raccolte dal Corriere della sera nell’articolo dedicato alla questione.
Condivido per intero le parole di Alessandro.
Adriana Bolfo
Letto l’articolo sulla Bicocca. Preoccupante. E pensare che, “un tempo” (espressione, peraltro, di cui diffidare),noi figli ci si faceva un punto d’onore ad andare da soli alla seduta di laurea o, anche, era ovvio andarci da soli, prassi consueta e consolidata.
Adesso,mediamente, hanno codazzi di parenti e amici: ci può anche stare, se si tratta di reale condivisione e gioia.Può esserlo.(Ho presenziato con piacere alla seduta di laurea della figlia di una compagna di liceo, presente inoltre una nostra ex insegnante. Ma la ragazza se l’è sempre sbrigata da sola, dalla burocrazia agli esami, e i genitori hanno sempre dosato sostegno e distacco).
Che dire? Non è tanto la scelta tra due estremi (nel caso, preferisco il primo), ma l’incapacità di molti genitori, (ex giovani-autonomi-e-contestatori, e anche di quelli che ribelli mai sono stati)a far riflettere a tutto campo: per dire, quelli che si affrettano a dotare di cellulare la figliolanza in quanto sarebbe più controllabile!!! E fanno finta di non sapere che è proprio grazie al “mobile” che i figli, pur rintracciabili, possono raccontare quante storie vogliono sul luogo e sulla durata della permanenza. Per non parlare della compagnia. (Su questa, anche noi preistorici senza cellulare ne abbiamo raccontate, e molte…e i genitori poco potevano, allora come ora).
Forse molti degli attuali genitori si comportano come se si proiettassero-identificassero nei loro figli, piuttosto che accettare i diritti-doveri di una reale maggiore età, con compostezza d’animo (rassegnazione? realismo?)e qualche, comprensibile, rimpianto, inerenti a un momento più maturo della vita.
Paolina Campo
Da troppo tempo ormai passano messaggi sbagliati. I ragazzi non hanno bisogno di essere commiserati, protetti, gestiti. Hanno, credo, un solo grande bisogno: essere presi sul serio. Ho visto come seguivano interessati le sue lezioni, professore Biuso, e li ho sentiti commentare e discutere su ciò che lei con entusiasmo trasmetteva loro. Ed ero molto contenta per questo.
Dario Generali
Caro Alberto,
l’episodio si commenta da sé e non posso che condividere totalmente la tua analisi.
Del resto la scuola, in un paese come il nostro, non potrebbe essere diversa. L’avversione a ogni merito e la totale impunità per reati anche evidenti sono una pratica diffusa e consolidata a ogni livello. Un ministro del governo berlusconiano, dopo essere stato scoperto ad aver avuto l’indebito beneficio di un appartamento lussuoso a Roma semiregalato in cambio di appalti truccati, si è permesso di sostenere di non essersi accorto del dono e ha minacciato di denunciare chi gli aveva regalato circa mezzo milione di euro senza il suo permesso e questo quasi senza conseguenze rilevanti, visto che siede ancora in parlamento e non nella cella di una galera, come gli sarebbe successo in qualsiasi altro paese civile.
Qualche anno fa hai scritto che la scuola era un cadavere irrecuperabile. Sono senz’altro d’accordo, ma aggiungerei, sempre in sintonia con altre tue prese di posizione, che lo è il nostro paese nel suo complesso.
Un caro saluto.
Dario
agbiuso
Quando poi i pargoli lasciano il mondo ovattato e finto della scuola e si avviano (o dovrebbero avviarsi) verso l’autonomia e le difficoltà dell’età adulta e dell’università, ecco che i genitori, rimasti anch’essi allo stato infantile, scatenano la loro grottesca protezione. Lo dimostra una notizia che riguarda l’Ateneo milanese della Bicocca ma che può certamente valere per molti altri luoghi: “Ci sono addirittura genitori che chiamano fingendosi i figli, altri lo fanno a loro insaputa, altri telefonano con i ragazzi al loro fianco, ma evidentemente considerati incapaci di parlare direttamente con l’operatore”.
Mantenere l’umanità in uno stato infantile è certamente funzionale alla tranquillità di ogni potere. Non a caso, Immanuel Kant definisce l’Illuminismo come “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso”” (I.Kant, Che cos’è l’illuminismo?, a cura di N.Merker, Editori Riuniti 1987, p. 48; corsivo dell’autore).
Andrea Tavano
Mi trovo completamente d’accordo anch’io.
diegob
un mio amico, che finalmente dopo tanti anni è riuscito ad andare in pensione, scelse proprio con spirito missionario di insegnare la matematica in una scuola di periferia, in un contesto sociale difficile (per inciso: lombardia, non profondo sud)
tempo fa mi disse: certi ragazzi, non hanno proprio nessuno che si interessa di loro, non li posso abbandonare
forse è perchè non ha figli, forse per un’inclinazione naturale, forse perchè è scemo, ma lui la pensava così
io penso però che la scuola, da sola, non ce la può fare, costretta anche alle costanti cure dimagranti
un mio amico, raffinato poeta che per vivere fa il bidello, mi ha detto che è veramente angosciante essere in tre, solo in tre, a far fronte alle esigenze di una scuola con settecento ragazzi dentro, è ormai diventata pericolosa la scuola
io penso che la soluzione sia invertire le scelte scellerate degli ultimi anni, e investire denaro, risorse, sulla scuola, perchè il progresso civile passa dalla scuola
e invece si spende molti soldi in guerre lontane, mentre si lascia sguarnita la linea del fronte che parte dalle nostre periferie, sia quelle geografiche che mentali
Roberto Battaglia
Sante parole: “Il nulla televisivo del quale si nutrono ossessivamente sin dalla loro nascita sembra ormai penetrato nel nulla dei loro cervelli”.
E secondo il mio modesto parere, andrà sempre peggio.
Marco
Be’, se pensiamo che analoga fattispecie è stata considerata sufficiente per esimere dall’accusa di omicidio l’allora carabiniere Placanica… e qui nemmeno si osserva l’obbligo di denuncia…
Adriana Bolfo
Totalmente d’accordo.
Dario
Sono completamente d’accordo con lei, caro professore, su ogni parola. Purtroppo amareggia vedere come davvero certi vuoti adolescenziali siano riempiti solo dal nulla mediatico, che veicola anche una vera e propria idea antropologica miseranda. Devo dire che questo fatto mi ha particolarmente colpito; certo, probabilmente la situazione che è capitata a quel povero insegnate non è una situazione ordinaria (non capita tutti i giorni che uno dei tuoi alunni tenti di appiccare il fuoco all’interno della scuola né capita tutti i giorni che il suddetto alunno ti tiri anche un estintore in faccia) e penso che magari quel ragazzo avrà avuto non solo una cornice sociale come quella che lei ha descritto, ma anche qualche lieve squilibrio nervoso, quindi forse ciò che sto per scrivere non vale in questo caso: ecco, però io credo che, in generale, una buona via d’uscita (o per lo meno un piccolo tentativo di miglioramento) potrebbe darsi se gli insegnanti capissero che non basta essere solo tali, ma bisogna essere anche e soprattutto in primo luogo educatori; dunque non solo “trasmettitori” di nozioni(nella maniera più oggettiva e cosale del termine) ma anche esempi, modelli, maestri. La scuola si estingue nella maniera peggiore non appena non si comprende che insegnare non è un lavoro, bensì una vocazione (e come tale non un compito da tutti) e chi la esercita non può assolutamente pretendere di fare un lavoro da impiegato, perché sta lavorando con persone, non con numeri; ed oltretutto, se sbaglierà nel suo compito, non avrà un qualcosa di paragonabile ad un errore di calcolo o ad un conto che non torna, ma probabilmente avrà contribuito ad indirizzare una/delle persona/e su di una strada che non porta a niente.
Questo secondo me andava detto, ma ho già precisato che è una sorta di sfogo, piuttosto a parte rispetto al triste fatto. Va da se’ che le parole del preside di quella scuola sono veramente incredibili.