O’Clock time design, design time
Triennale Design Museum – Milano
A cura di Silvana Annicchiarico, Jan van Rossem
Allestimento di Patricia Urquiola
Sino all’8 gennaio 2012
Il tempo è reale, è pervasivo dell’essere, è molteplice. In tale molteplicità rientrano gli strumenti per la misurazione del tempo: gli orologi. Che cos’è davvero un orologio? «È un cuore meccanico che ci rassicura sul nostro cuore», afferma Jean Baudrillard (Le système des objets, Gallimard, Paris 1968, p. 34). È anche per questo che qualunque oggetto, qualunque movimento, qualunque situazione può diventare un misuratore del tempo, un orologio. È quello che si osserva visitando l’intrigante mostra che il Museo milanese del design ha dedicato al tempo e ai suoi strumenti.
Divisa nelle tre sezioni, Misurare il tempo, Viaggiare nel tempo, Rappresentare il tempo, la mostra ci pone davanti e ci fa toccare gomitoli che dipanano le ore; il video di alcuni operai che cambiano le assi che formano i numeri di un orologio digitale e fanno questo per 1440 volte, il numero di minuti di cui è composta una giornata; un vaso di porcellana che a ogni ora subisce il lieve tocco di un martelletto, il quale alla lunga produrrà delle crepe nell’oggetto, anche quelle crepe sono il tempo; delle tazzine che, al contrario, mano a mano che le si utilizza svelano disegni e forme, mostrando in questo modo le possibilità che il tempo apre e non soltanto la sua forza distruttiva; un armadio dalla cui serratura esce della sabbia, clessidra irreversibile; un dispositivo tritadocumenti che ogni giorno taglia a fettine la pagina di un calendario; il video nel quale John Cage esegue il suo brano 4’ 33’’; un cratere formato dalle gocce di cera fusa che roteano dall’alto e che cadono una al minuto; il veloce succedersi delle 365 immagini che un fotografo si è scattato ogni mattina alla stessa ora e nella medesima posizione; una sedia di plastica attaccata da dei funghi in grado di nutrirsene e quindi di farla svanire, «una procedura che aiuta l’inorganico a morire» (Silvana Annicchiarico, Catalogo della mostra, Electa, Milano 2011, p. 85); dei piatti che rompendosi rivelano al loro interno dei piccoli oggetti; alcuni orologi quasi normali ma nei quali la lancetta più lunga è piegata a indicare l’ora con cinque minuti di anticipo rispetto a quella reale, in modo da aiutare i ritardatari cronici a essere puntuali; un Time to Eat che tre volte al giorno -mattina, mezzodì e sera- segna non delle ore visibili o udibili ma emana i profumi delle diverse pietanze che si consumano a colazione, a pranzo e a cena; dei pennarelli in posizione verticale che lentamente perdono colore trasferendolo ai bordi e alle superfici di alcuni vasi, mostrando «come il divenire possa essere più affascinante dell’essere» (Jan van Rossem, ivi, p. 126); un video che riprende dall’alto due persone che spingono davanti a sé dei rifiuti dando loro la forma di due lancette, una corta e una lunga; un quadrante nel quale lo scorrere del tempo è radicalmente rallentato perché la lancetta dei minuti segna i mesi e quella delle ore segna gli anni, sino a 82; un domino le cui tessere cadono una dopo l’altra e poi si ricompongono a formare l’infinito ∞; un uomo dentro un pendolo che dietro il quadrante opaco cancella le lancette e subito dopo le ridipinge, leggermente spostate in avanti; candele inclinate che consumandosi accendono la candela successiva; un pannello bianco sul quale delle lancette in lento movimento formano per pochi secondi ogni 12 ore la scritta Eternity.
Questo elenco di idee, di manufatti, di plurali incarnazioni del tempo, è soltanto parziale. Il Time design non sembra avere davvero limiti di creatività e di intelligenza: «I designer della nuova generazione assumono così (involontariamente) il ruolo della filosofia, stimolando con le loro opere, che propongono nuovi modi di esperire il flusso del tempo, una riflessione sul tempo, sulla velocità e sulla fugacità» (Jan van Rossem, ivi, p. 38). L’altra curatrice della mostra, Silvana Annicchiarico, rileva la polarità tra Kronos e Kairos: «Kronos è quantitativo, Kairos è qualitativo. Kronos è ciclico e sequenziale, Kairos è occasionale, Kronos è il tempo circolare dell’orologio, Kairos è il tempo mercuriale del vissuto» (Ivi, p. 22). Ma oltre questi due archetipi, i Greci ne pensarono un terzo: Aión, il tempo eterno che in sé coniuga mobilità e stasi, finito e infinito, mente e materia. Quella materia che in questa mostra diventa ciò che è: tempo. Ancora.
7 commenti
agbiuso
Caro Prof. Ricupero,
credo che sia opportuno distinguere concezioni del tempo così diverse come quelle di Hegel, Nietzsche e Heidegger.
Hegel argomenta la coestensività di tempo e concetto, senza però ridurre il tempo al soggetto ma facendone piuttosto la dimensione che rende possibile la manifestazione dell’Aufhebung nell’esserci del singolo e della collettività, nel Geist. In Hegel il tempo mantiene una profonda ambiguità -la quale non mi è del tutto chiara- che lo dissolve nella storia e alla fine forse davvero in qualche modo lo nega in quanto intuizione vuota della coscienza che lo spirito deve superare per cogliere il concetto puro.
L’Eterno Ritorno nietzscheano non mi sembra neghi il tempo ma piuttosto voglia costituire la sintesi di stasi e movimento, divenire ed essere, mutamento e stabilità, eternità e istante. Infatti, “Che tutto ritorni, è l’estremo avvicinamento del mondo del divenire a quello dell’essere: culmine della contemplazione“. (F.N., Frammenti postumi 1885-1887, 7[54]).
Il “niente” di Heidegger non è l’assenza di tempo ma l’orizzonte di finitezza degli enti, compreso l’umano. Una finitudine che è insieme ontologica, gnoseologica ed esistenziale.
Di più non credo di poter e dover dire in questo spazio. Mi permetto, come suggerito da Diego, di rimandare a un testo nel quale ho tentato di affrontare la complessità di questo grande tema, tema che costituisce la stessa filosofia. E di farlo anche cercando di percorrere prospettive diverse rispetto a quelle dei grandi maestri dei quali ci stiamo qui occupando.
diegob
Mi sono spesso chiesto se l’eterno ritorno per N. non sia un esistere senza tempo, in cui passato e futuro sono “ingoiati” dal presente, in cui ricordi ed aspettative non hanno più senso: ogni istante è la perfetta immagine o replica di infiniti istanti del passato e la perfetta immagine o anticipazione di infiniti istanti del futuro.
ottimo salvatore, ovviamente molto più interessante puo’ esser l’opinione del nostro prof.b. (e molto su questo tema del tempo lo trovi ne la mente temporale)
mi permetto solo di osservare che se da un lato passato e futuro potrebbero essere solo prospettive generate nel presente, unico a esistere davvero, si potrebbe, al contrario, ipotizzare che esiste solo il travaso continuo del passato nel futuro, in un flusso eracliteo, ed essere il presente solo una specie di foto istantanea; questo perchè per esempio se mi guardo allo specchio, giorno dopo giorno, vedo i miei capelli più grigi, le rughe del mio volto più marcate, in un flusso continuo e inarrestabile
credo che il tempo sia un processo non completamente mentale, ma che sicuramente nella mente vede una generatrice potente, in un processo che è appunto ambiente, corpo, mente, tempo, in un grumo davvero difficilmente sezionabile in parti autosufficienti
ovviamente la mia interpretazione alla biuso è un po’ rozza, ma credo che sia quello il punto focale del tema
grazie salvatore per il tuo qualificatissimo suggerimento
Salvatore Ricupero
In premessa vi auguro un anno di speranza e… resistenza. dopodichè vi sottopongo alcune mie riflessioni di qualche tempo fa sul concetto di tempo. Dalle vostre critiche non potranno che scaturire nuovi rivoli nel mio pensiero. Grazie per il tempo che mi dedicate.
In questo periodo il mio pensiero è martoriato fra lo spirito hegeliano e l’eterno ritorno di Nietzsche. Mi sono spesso chiesto se l’eterno ritorno per N. non sia un esistere senza tempo, in cui passato e futuro sono “ingoiati” dal presente, in cui ricordi ed aspettative non hanno più senso: ogni istante è la perfetta immagine o replica di infiniti istanti del passato e la perfetta immagine o anticipazione di infiniti istanti del futuro.
Se così è, allora l’essere per Nietzsche è senza tempo?
E lo spirito hegeliano è la fusione dell’ente osservato con l’ente osservante, è lo svanire dell’idea e del tempo in cui l’idea si nutre?
E’ l’essere che si dissolve nel non essere di Heiddeger?
Se l’essere è condannato all’eterno ritorno allora è essere senza tempo!
Ma se è essere senza tempo, allora l’idea (o separazione osservante/osservato) si è dissolta nello spirito (osservante=osservato)l’ente si è nientificato (Heidegger) e perciò l’essere senza tempo vive l’angoscia che rivela il niente.
“.. solo nella notte chiara del niente della angoscia sorge l’originaria apertura dell’ente come tale per cui esso è ente-e non ente..”; l’idea si è dissolta nello spirito (Hegel);
oppure siamo in sintonia con il pensiero di Derrida per cui ciò che sembra antitetico (finito-infinito; tempo-non tempo; ….) in realtà è complementare.
“il niente è ciò che rende la manifestatezza dell’ente come tale per l’essere umano” – Heidegger.
Ma allora l’essere umano si può manifestare come ente solo nella nientificazione, cioè nel niente, in assenza di tempo, cioè nello spirito.
Ancora da Heidegger: “in ogni domanda metafisica l’esserci che domanda è sempre coinvolto nella domanda”
per cui l’ente che domanda svanisce, l’alterità svanisce, il domandarsi svanisce, il tempo si ferma e diviene eterno, sempre uguale a se stesso, infine l’eterno ritorno diviene un ciclo puntiforme e l’essere senza tempo è l’esserci senza domande o “l’essere che non si domanda”
agbiuso
Naturalmente hai ragione, caro Diego. Il tempo è visibile, esperibile e conoscibile perché il tempo siamo noi, l’umanità animale e inquieta poiché sempre consapevole della propria natura transeunte.
Questo non significa che siamo noi a generare il tempo ma che il tempo genera ogni ente ed evento e dunque anche noi e l’intero delle nostre esperienze individuali, collettive, storiche.
Quel libro non soltanto è alla tua portata ma io credo che tu sia tra i lettori che meglio ne hanno compreso struttura e intenti. Di più: a La mente temporale hai rivolto uno sguardo d’amore (oso pronunciare questa parola tabù) e come autore non posso che essertene profondamente grato.
diego b
grazie davvero della spiegazione, ma oso citare il filosofo che maggiormente leggo:
Pensare davvero il tempo è possibile solo guardando in se stessi, facendo del Sé il luogo in cui il tempo si incardina (la mente temporale, pag. 140)
forse allora leggendo troppo la questione dal lato della mente, ho rubricato il tempo, sbrigativamente, come un qualcosa di soggettivo, mentre è vero che c’è il processo del corpomente, ma esso è innestato nel tempo, è il tempo, ma non ne è l’unico generatore
peccato che ho poco tempo (involontaria ironia), per i miei impegni di lavoro, ma dovrei rileggere ancora una volta il libro, che è tanto bello quanto ai limiti della mia portata
agbiuso
Caro Diego,
credo che questa mostra sarebbe interessante per chiunque; io ne sono stato certamente coinvolto 🙂
Distinguerei tra di loro le due questioni che poni. Per quanto riguarda il rapporto tra tempo e mutamento/movimento, si tratta di una fondamentale tesi aristotelica, che però può essere senz’altro criticata. Lo ha fatto in maniera brillantissima Sydney Shoemaker in un suo saggio dal titolo Time without Change, disponibile in Rete. Che il tempo implichi dei cambiamenti è una tesi che va ben distinta dalla sua reciproca, «from the truism that change involves time» (p. 363). Secondo Shoemaker è possibile che il tempo si dia anche in assenza di mutamento. Per dimostrarlo elabora un esperimento mentale veramente ingegnoso, che nel testo citato è descritto con grande chiarezza.
Diversa è la questione della percezione soggettiva del tempo in assenza di marcatori meccanici o circadiani, come nell’esperimento che ricordi. Dato che siamo profondamente immersi nei ritmi della natura (perché siamo natura) la separazione artificiosa dei ritmi del corpo da quelli dell’ambiente non può che produrre distorsioni temporali anche gravi.
E questo conferma che di tempo siamo fatti. Anche del tempo del mondo.
diego b
caro alberto, una mostra che ha per tema il tempo ha di certo trovato in te un visitatore d’eccezione, essendo il tema così centrale ne «la mente temporale»
a me pare che in fondo potremmo anche definire il tempo come la conoscenza di un divenire, di un evolvere, di un mutamento, mentre forse ogni fissità, ogni non mutamento è una assenza di tempo
mi sovviene al riguardo il celebre esperimento del biologo francese siffre, che nel 1962 trascorse due mesi in una grotta, isolato, senza orologio e calendario, senza vedere il sole (in pratica avendo come unico segnale cronopoietico gli stimoli del suo corpo, cioè la fame e il sonno)
al volenteroso recluso accadde che i giorni si impastarono l’un con l’altro ed anche la memoria divenne evanescente (faceva fatica a ricordare quel che aveva fatto non avendo riferimenti cronologici, «ganci» cui appigliare gli eventi)
quando i collaboratori lo tirarono fuori, erano trascorsi due mesi ma per lui era passato solo un mese (e suppongo non fosse neanche molto di buon umore)
questo per dire che il tempo esiste solo se vi sono dei fenomeni che ce lo mostrano, da quelli lenti come veder ogni giorno la propria chioma farsi grigia, a quelli rapidi come un treno che sbuca sul ponte e scompare inghiottito dalla galleria
se non c’è un processo, non c’è il tempo, le cose senza tempo non esistono, sono solo istantanee concettuali
mi scuso, forse ho divagato, ma il tema è troppo interessante