di Clint Eastwood
Con: Angelina Jolie (Christine Collins), Jason Butler Harner (Gordon Northcott), Jeffrey Donovan (Commissario di polizia J.J. Jones), Michael Kelly (V) (Detective Lester Ybarra), John Malkovich (Reverendo Gustav Briegleb), Amy Ryan (Carol Dexter) Devon Conti (Arthur), Gayle Griffiths (Walter Collins)
USA 2008
La vicenda accadde realmente a Los Angeles tra il 1928 e il 1935. Tornando dal lavoro, una giovane madre non trova il proprio bambino di nove anni. Dopo alcuni mesi la polizia le riporta un ragazzino che dice di essere suo figlio ma che non lo è. Alle richieste della donna di proseguire le ricerche, le Istituzioni rispondono internandola in un manicomio dal quale la salva solo un pastore presbiteriano che da anni denuncia la corruzione e la violenza della polizia della città. Viene catturato un serial killer che ha massacrato una ventina di bambini. Lo scandalo è grande. Processi e commissioni d’inchiesta danno ragione alla donna e alla sua tenacia.
Come in Un mondo perfetto e soprattutto nel magnifico Mystic River, la violenza sui bambini diventa l’occasione per una riflessione classica nella forma e disincantata nella sostanza antropologica, nel riconoscimento della tenebra inestirpabile che intesse l’umano e le sue espressioni. Una saggezza che nei film di Eastwood si sta ampliando sempre più fino a decretare il limite, la violenza e l’infamia delle grandi Istituzioni: polizia, amministrazioni, manicomi. La struttura arbitraria e repressiva di questi ultimi viene descritta in un modo degno di Basaglia. Una donna fragile e sola riesce tuttavia a incunearsi dentro la Macchina del potere e a svelarne la natura malvagia. La «speranza» è così l’ultima parola pronunciata nel film. Uno sperare contro ogni rassegnazione, contro il buon senso dei più, contro la viltà. Consapevoli che il Leviatano è indistruttibile ma che va combattuto ugualmente per essere e sentirsi ancora umani. Un’idea necessaria anche nell’Italia di oggi e non solo negli USA della Grande Depressione.