Istanbul 05 010
Milano – Fondazione Stelline
Sino al 12 dicembre 2010
Lo spazio, gli spazi. Lo spazio come oggetto e soggetto, contenitore e contenuto, rappresentazione e sostanza. Gli spazi delle città che Gabriele Basilico sa cogliere nella loro natura fisica, di organismo che una volta nato cresce come un corpo vivo. E come un corpo, una città può essere ferita, invecchiare, rigenerarsi, morire.
Istanbul appare in tutta la sua confusa concrezione di legno, cemento, ponti, mare, luci, parabole satellitari. Un formicaio di case che nulla concede all’esotico, alla cartolina, alla storia. Per Basilico, la fotografia documenta e ricrea sempre e solo il presente. Protagonisti assoluti sono dunque e appunto gli spazi urbani, dei quali gli umani sembrano soltanto un epifenomeno.
Lo stesso sguardo il fotografo rivolge alle altre città che visita, come ben documenta il lungo e appassionante filmato che accompagna la mostra. Città soprattutto di mare, coi loro porti infiniti. La costa bretone sembra ampliarsi nel cielo cupo di tempesta; Genova è la potenza delle sue strutture portuali che fanno corona all’immobilità verticale della Lanterna; Beirut appena uscita dalla guerra sembra da lontano una delle tante città mediterranee, coi loro quartieri sventrati dalla pace e non dalle bombe; San Francisco è il conflitto/continuità tra i quartieri industriali dismessi e i tracotanti grattacieli della finanza.
Ma anche una città senza porto, Mosca, è colta nelle sue costanti e nelle trasformazioni, una città decisamente verticale, dove l’ossessione del potere si fa architettura. E l’architetto/fotografo torna poi sempre alla sua città, Milano, della quale lo interessano i quartieri meno alla moda, meno curati ma ricchi di una stratificazione produttiva e antropologica che l’immagine ufficiale cerca di nascondere o addirittura negare.
Per Basilico, infatti, la fotografia ha in sé una dimensione sociale essenziale e fondante. Che in lui diventa consapevolezza della non neutralità dello sguardo. Afferma infatti, in un brano della lunga intervista che intesse il film, che «posso fotografare le periferie accentuando il tono drammatico e gli scuri, ma posso invece avere uno sguardo più rispettoso della natura anche solidale di questi spazi». Ha ragione, non esistono luoghi ma solo interpretazioni. Basilico attraversa dunque le città col suo cavalletto sul quale una raffinata macchina analogica si ferma a cogliere, fedele, non soltanto ciò che si riflette nel diaframma ma soprattutto quanto l’occhio dell’artista aveva già colto e costruito.
4 commenti
agbiuso
Basilico è morto oggi a Milano. Aveva 68 anni.
Mi dispiace davvero. L’avevo incontrato lo scorso giugno in occasione della presentazione di una mostra e di una rivista e non mi era sembrato che stesse così male.
Alberto G. Biuso » Luoghi/Percezione
[…] del mondo. Esemplari, in questo senso, sono le opere di Gabriele Basilico e di Olivo Barbieri. Basilico trasforma lo spazio in una forma nitida, in una geometria del silenzio. Barbieri mediante un […]
Biuso
Caro Diego, sul prossimo numero di Vita pensata saranno pubblicati un testo di argomento fotografico e la recensione a un libro dedicato alla percezione visiva. Se non costituiranno esattamente l’articolo che lei propone, si avvicineranno comunque molto. Grazie per il suggerimento, come sempre interessante.
diegob
consapevolezza della non neutralità dello sguardo
sicuramente l’essenza del fotografare stà in questo, e senza ombra di dubbio lo sguardo su una città è uno sguardo, a volte sull’indolente decadenza, a volte sulla prorompente e tracotante vitalità
qualcuno ha scritto che per capire una città devi venire da fuori, devi leggerla con animo sgombro dalla storia personale
se debbo esser sincero nulla così bene come la parola scritta può descrivere il senso d’una città, e sarebbe interessante una specie di sfida fra fotografi e scrittori, al riguardo
magari un articolo su vita pensata, caro prof. biuso, che ne dice?