«La speculazione è un sinonimo del mercato. La speculazione è il mercato»; ci troveremmo di fronte non a una crisi contingente ma a una vera e propria «crisi di sistema»; «il capitalismo è il male, e il male non si riforma: si abbatte».
Chi sostiene tesi così radicali? Karl Marx o qualcuno dei suoi eredi? Gli anarchici, e cioè degli inguaribili sognatori? Qualche sprovveduto dilettante di economia? No, sono affermazioni -nell’ordine- di Eugenio Scalfari, di Jean-Claude Trichet, presidente della Bce (la Banca Centrale Europea); del regista statunitense Michael Moore. Un giornalista liberale, la massima autorità della finanza europea, un intellettuale del Michigan, concordano su quanto i critici del capitalismo -di questa forma suprema della rapina reciproca tra gli umani- sostengono da sempre e che oggi si mostra con evidenza a chiunque non chiuda gli occhi di fronte a ciò che accade: «nella fase del capitalismo assoluto, lo sviluppo capitalistico devasta la natura, la società e la psiche» (M. Badiale – M. Bontempelli, Marx e la decrescita, abiblio, Trieste 2010). E oramai natura, società e psiche -la vita degli umani e della Terra- sembra affidata ad anonime e potentissime “agenzie di rating” che condizionano in modo totale le decisioni dell’economia viva. Il denaro morto divora le esistenze vive, “il tempo dei mercanti e dei banchieri” -di questi servi improduttivi, di questo ceto che in altre culture è composto da paria intoccabili- è giunto al suo culmine nella forma della “pubblicità” pervasiva che divora le coscienze e il cui scopo è rendere necessario il superfluo. La borghesia mercantile e finanziaria trionfando divora se stessa e l’intero tessuto sociale.
L’alternativa? Difficile dire ma intanto è necessario ripensare alla radice il paradigma e la pratica della produzione e del consumo senza fine. La decrescita non ha nulla a che fare con pauperismo o ascesi. Piuttosto, chiariscono ancora Badiale e Bontempelli, «il punto fondamentale da cui partire per comprendere la nozione di decrescita è la distinzione fra beni d’uso da una parte e merci dall’altra. “Merce” non è sinonimo di bene o servizio, ma è un bene o servizio prodotto per il mercato in vista di un profitto e dotato quindi di un prezzo. Non c’è sul piano teorico alcun rapporto necessario tra aumento quantitativo delle merci, diffusione del benessere e progresso delle conoscenze». Ancora una volta, è il dominio della quantità (un atteggiamento interiore prima che economico) a portare con sé la catastrofe.
4 commenti
Biuso
Un interessante contributo alla discussione viene dalla rubrica “Recensioni” del numero di maggio di Mente & Cervello. Vi di discute del libro di Benjamin R. Barber dal titolo Consumati. Da cittadini a clienti. L’immagine in copertina presenta un eloquente I shop therefore I am.
Massimo Barberi scrive che Barber analizza “le cause che hanno portato le società industriali a diventare ciò che definisce ‘capitalismo infantile” e le potenziali conseguenze. (…) Barber punta il dito contro le corporations, le istituzioni pubbliche e gli esperti di marketing che in questi anni hanno agito su due fronti: da un lato stimolare il pubblico più giovane a diventare ‘attore’ del consumo, dall’altro inculcare negli adulti i gusti dei ragazzi. Visto che non è possibile, come si credeva fino a qualche decennio fa, arricchire i popoli più poveri del pianeta per farli diventare consumatori, hanno pensato bene di indurre gli adulti dei paesi ricchi a rimanere bambini dai gusti impetuosi. (…) Sulle conseguenze Barber non ha dubbi: ‘ Un tempo il capitalismo era associato a virtù che, almeno marginalmente, favorivano anche la democrazia, la responsabilità e il senso civico’. Era l’etica protestante di Weber, che accanto al profitto creava beni comuni. Oggi invece l’ethos dominante va di pari passo con i vizi che pur essendo funzionali al consumismo, mettono in pericolo la democrazia, la responsabilità e il senso civico’. L’identità di cittadino è soppiantata da quella di consumatore”.
Salvatore Ricupero
Dario,
il mercato siamo noi! Noi compriamo, noi consumiamo, noi produciamo rifiuti. Ciò porterebbe a credere che noi siamo gli unici regolatori del sistema economico globalizzato. Sarebbe così se fosse vera la catena causale uomo-bisogni-mercato. Oggi però i bisogni dell’uomo vengono indotti dal mercato e quindi la catena causale è rovesciata in mercato-bisogni-uomo. Il sistema presenta però anche una sua circolarità: mercato-bisogni-uomo-mercato.
Il mercato, dal canto suo, ha come fine la produzione infinita di beni e la accumulazione infinita di ricchezza, per pochi o molti non importa. Tale dinamica dovrebbe essere governata dalla politica. Ma anche qui si innesca un sistema circolare politica-mercato difficilmente controllabile. Basta vedere i conflitti di interesse che esistono all’interno delle agenzie di rating, ove le funzioni di controllore e controllato sono perfettamente scambiabili o sovrapposte. In sintesi questo stato di fatto ha generato un sistema di produzione, di arricchimento e di consumi impazzito nel quale i segnali di feedback che provengono dall’ecosistema terrestre sono allarmanti ma non presi sul serio dall’uomo. Al fine di ottenere una inversione di tendenza della attuale preoccupante situazione si dovrebbe agire politicamente con decisione per imporre regole alla economia globale, che salvaguardino la sopravvivenza di tutti gli individui sul pianeta (altro che libertà di mercato, caro Dario!).
Ciò può essere fatto sia agendo sulle regole di mercato che sui comportamenti individuali. L’uomo è oramai divenuto un imbuto che convoglia tutto il sistema di produzione di un mondo usa e getta.
E’ il momento di cominciare a pensare un consumo intelligente da parte di ognuno, per riappropriarci della nostra vita e che la vita ci sia stata espropriata dal mercato lo dice Jean Baudrillard “…l’immenso universo degli oggetti che ci circondano si costituisce in un coerente sistema di segni che circoscrive e regola le condotte e le ideologie di una società di consumi…”.
Sono d’accordo con quanto rilevato dal prof. Biuso. Decrescita non è sinonimo di pauperismo o ascesi ed inoltre “è necessario ripensare alla radice il paradigma e la pratica della produzione e del consumi senza fine”. Saluti e buon lavoro. Salvatore Ricupero
filippo scuderi
In questo mondo, ci sono i cosi detti colletti bianchi, che prendono delle decisioni tutto a favore delle multinazionali, tutto a favore di profitti, dove non gli importa niente che ci sono aziende,che producono in paesi dove vengono sfruttati e usati sia uomini visti solo come numeri sia bambini, alla faccia delle associazioni che dovrebbero garantire loro studio e infanzia felice ( sacrosanta) alla faccia di sociologi e pedagogici. Questi maledetti colletti bianchi sanno perfettamente che in Colombia vengono schiavizzati interi villaggi per coltivare cocaina , e non credo che le società farmaceutiche non siano a conoscenza, non potevano fare in modo che questi villaggi confezionassero camice firmate? no questo si fa in Cina ,senza pensare minimamente che cosi facendo distruggono i lavoratori di aziende europee,in questo vortice di laureati in economia in chimica , dove la fanno da padrone formule,calcoli, numeri, e sicuramente non si sono mai avvicinati alla filosofia, no hanno un cultura etica morale, tutto e un tourbillon dove, no per il progresso, no per il libero mercato,, ma solo per i propri sporchi affari, sporchi colletti bianchi, macchiati di rosso di nero, e tutto per il dio denaro.
Ma,….ma allora mi chiedo in ogni caso ammesso che inevitabilmente Dio
esiste e Gesu’ Cristo ha diffuso la sua parola, ma, mi chiedo il
perche’ dobbiamo restare legati al maledetto cinismo economico che ci
abbassa di tanto la gioa di vivere, pur essendo sofisti piu’ per
necessita che per scelta, ma allora nonostante tutto non e’ meglio
cercare di non andare troppo sul lato economico, dare un taglio alla
ockam, e vivere pensando non tanto ai numeri ma alla possibilita’ che
abbiamo di mutare l’atteggiamento verso il dio denaro, cosi’ che esso
perda il potere negativo e rientri in noi il positivo che c’e’ nella
gioia di vivere, ma inevitabilmente con l’aiuto di DIO.
Filippo Scuderi
Dario Generali
Caro Alberto,
come sai, sono un convinto sostenitore della libertà di mercato e del liberalismo in generale, per cui non trovo possibile evitare le speculazioni e le varie forme di marketing, che ne sono un aspetto intrinseco. D’altro canto condivido in pieno alcune delle valutazioni che riprendi e sostieni contro il modello consumistico, conseguenza dell’ibridazione fra capitalismo e democrazia, almeno negli aspetti di massa che oggi conosciamo.
In particolare trovo insopportabile la moda, l’omologazione delle scelte che comporta e i consumi assurdi che induce. Si tratta infatti di un fenomeno che esisteva anche in passato (vedi, per esempio, la satira di Parini), ma che oggi, con la sua massificazione, ha assunto aspetti grotteschi e, mi pare, altamente emblematici dei consumi indotti che indichi.
Personalmente credo che più che invocare limitazioni della libertà di mercato si dovrebbe agire, come mi pare si stia ricominciando a fare, con modelli economici di partecipazione statale di tipo keynesiano e con una ferrea vigilanza – cosa che invece non si fa – del rispetto delle norme che dovrebbero regolare lo stesso mercato capitalistico. La maggior parte delle disfunzioni non viene infatti dall’applicazione del modello liberale, ma dalla mancanza del rispetto dello stato di diritto, che ne è invece una premessa indispensabile. In uno stato liberale e capitalistico, ogni investitore, per esempio del mercato dei titoli quotati, dovrebbe avere accesso alle stesse notizie e nello stesso momento, mentre sappiamo che non è così in nessun luogo del mondo capitalistico, per non parlare dei luoghi dominati da altre forme di governo, dove addirittura la libera informazione viene spesso considerata un reato. Non parliamo poi delle falsificazioni dei bilanci, delle truffe e di tutto quanto si vede così spesso impedire qualsiasi trasparenza dei mercati.
Tuttavia, anche ammettendo di riuscire a garantire una certa correttezza e trasparenza del mercato, rimarrebbe il problema dell’insensatezza di un’attitudine consumistica generata dalla ricerca della massimizzazione dei profitti e altamente dannosa per l’equilibrio della vita sul pianeta. Anche qui credo che la questione dovrebbe essere affrontata sul piano culturale ed educativo, perché solo un soggetto con gli adeguati strumenti critici e intellettuali può essere di solito in grado di difendersi da pubblicità e marketing, compiendo scelte consapevoli anche sul piano economico. In tale prospettiva, se fossi un decisore politico, mi muoverei verso una maggiore tassazione delle merci legate alla logica consumistica, investendo poi quelle maggiori risorse nelle istituzioni scolastiche e formative, nella ricerca e nelle attività culturali. Sarei poi attentissimo a colpire qualsiasi illegalità finanziaria e cercherei di garantire al possibile la massima trasparenza dei mercati.
Eviterei invece di limitare la libertà del mercato, della quale credo che si possa dire la stessa cosa che si dice della democrazia, cioè che è uno schifo, ma che il suo contrario è peggio.
Un caro saluto.
Dario